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Miti argentini da sfatare

di Andrea Ciprandi

Devo ai miei soggiorni a Buenos Aires la lettura più completa di un mondo calcistico di cui si è sempre parlato molto ma, ahimé, non sempre correttamente. Andando subito...

Redazione Toro News

di Andrea Ciprandi

"Devo ai miei soggiorni a Buenos Aires la lettura più completa di un mondo calcistico di cui si è sempre parlato molto ma, ahimé, non sempre correttamente. Andando subito al punto, uno dei Club argentini più evocativi è certamente il Boca Juniors, di cui si dicono tante belle e certamente meritate cose che sono pronto a sottoscrivere ma anche tante che non sono proprio andate come si dice, si vuole far credere o si è convinti. So che in molti potrebbero dissentire quando affermo che non poco di quel che gira intorno al Boca è da rivedere e correggere, o se non altro reinterpretare, ma la storia questo dice. E io desidero provarvelo senza esprimere giudizi.

"Partendo dalla sua fondazione per arrivare a un giocatore famosissimo che unicamente al Boca è quasi sempre accostato, almeno in Italia.Il Boca Juniors venne fondato nel 1905 in Plaza Solìs, nel cuore del quartiere di Buenos Aires conosciuto come la Boca perché si trova alla foce di un piccolo fiume, il Riachuelo, che si tuffa proprio in corrispondenza del più importante porto cittadino di fine Ottocento, quando era anche uno dei maggiori approdi commerciali del pianeta. Quella piazzetta si trova a due passi da calle Necochea, ove hanno resistito fino a oggi molte trattorie italiane, benché abbandonate, e dal ponte trasportatore sotto il quale lavorò per un breve periodo nient’altri che un giovane Onassis: un po’ l’ombelico del mondo di allora, insomma, come testimoniano le coloratissime tele di Benito Quinquela Martìn. Tra i fondatori di questo glorioso Club, che continua a oscillare fra il primo e il secondo posto nella graduatoria dei più titolati al mondo, gli italiani Baglietto, Scarlatti, Sana e Farenga (due fratelli). E considerata la stragrande maggioranza di genovesi presenti nella comunità italiana che si era trapiantata nella Boca, il soprannome Xeneizes, che viene da Xena, poi Zena, ossia Genova, era più o meno ovvio. Oggi invece, con le nuove ondate migratorie di carattere principalmente sudamericano e il riassetto sociale, non ha più troppo senso né riscontro territoriale. Senza per altro che il Boca abbia responsabilità, sia chiaro.

"Se poi guardiamo alle origini italiane, sempre dal punto di vista dell’esclusività, solo per fare alcuni esempi non può passare sotto silenzio l’incidenza dei nostri emigrati fra i primi sostenitori anche del Velez Sarsfield, altra squadra di Buenos Aires nella cui fondazione ebbe parte tal Guglielmone e che arrivò addirittura ad adottare una maglia tricolore. Ma non si può nemmeno trascurare la nascita del Club Sportivo Italiano, benché risalente agli anni Cinquanta. E spostandosi sull’altra sponda della foce del Rio de la Plata, a Montevideo, ecco che si trova il Peñarol, nato in seno alla comuinità italo-uruguaiana originaria di Pinerolo.

"Ma la propaganda boquense non si ferma qui. Trova proseliti fra coloro che non sono stati in Argentina e, non potendo toccare con mano la realtà, sono portati a credere ciecamente a una bella favola… proprio perché troppo bella per non crederci. La propaganda tocca anche i calciatori. Maradona ama il Boca ed è riamato dalla gran parte dei tifosi xeneizes (non tutti, attenzione) ma non è un suo prodotto, avendo mosso i primi passi nel famosissimo vivaio dell’Argentinos Juniors. Batistuta, invece, è uscito dalla giovanili del Newell’s Old Boys, fucina di campioni quali anche Sensini, Balbo, Messi, Samuel e Heinze. E in Argentina, abituati come sono a veder partire i loro campioni a vent’anni o anche meno, alle radici tengono eccome. Andate a dire a chi non tifa Boca che il Pibe de Oro viene da lì e vedrete se non vi riderà in faccia…

"Tutto questo per dire che il Boca, grande com’è e col giusto spazio da riservare alle origini leggendarie sue come di tutte le squadre di maggior tradizione, non ha bisogno di cercare ulteriore mito attraverso l’appropriazione esclusiva di caratteristiche che storicamente hanno riguardato molti altri Club quale logica conseguenza della vita sociale argentina di cento anni fa. Come si è dimostrato. Non me ne voglia chi adora questa squadra, perché nello scrivere l’articolo sono stato mosso anch’io dall’amore: quello per la verità, però. Ma chiuso detto capitolo mi bastano pochi attimi per rivivere tutti i pomeriggi passati sulle gradinate di tanti stadi argentini, incluso quelle di uno dei più belli che ci siano, la Bombonera, a vedere una squadra che emoziona al solo vederla o sentir nominare. Non è l’unica, ma rientra comunque in una cerchia ristretta di patrimoni calcistici da onorare. Xena o non Xena.