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Ecco perché Ljajic ha fatto bene a non cantare l’inno serbo

Ecco perché Ljajic ha fatto bene a non cantare l’inno serbo

"Penna Capitale" / La rubrica di Lorenzo Bonansea: "Prima del match contro la Costa Rica il fantasista è rimasto in silenzio durante l'inno, facendo scoppiare un putiferio in patria tra gli ultra-nazionalisti. Ma perché Ljajic non ha cantato...

Lorenzo Bonansea

In Serbia è scoppiato il caos: il nome di Adem Ljajic ha sfondato di testa la porta nel dibattito politico dopo che il giocatore del Torino non ha cantato l’inno nazionale prima della gara d’esordio a Russia 2018. Su Twitter, il politico ultra-nazionalista ortodosso Bosko Obradovic ha infatti puntato il dito contro il numero 10 granata, reo di non aver rispettato “la patria” in maniera ormai recidiva (fu già “cacciato” dalla selezione nel 2012 con Mihajlovic per lo stesso motivo), scatenando un vero e proprio caso in Serbia - repubblica (lo ricordiamo) governata da Aleksandr Vucic.

Ma perché Adem Ljajic si ostina a non cantare "Bože pravde”, letteralmente “Dio della Giustizia” - inno nazionale serbo dal 1872? Semplicemente perché rispettare una Nazione vuol dire prima di tutto rispettare se stessi: senza questo passaggio, non esiste rispetto. E nel caso di Ljajic, le radici non si dimenticano per una partita di pallone.

I primi anni ’90 hanno visto la penisola balcanica al centro della più sanguinosa guerra europea dopo il 1945, e in particolare a Novi Pazar - città natale di Adem - la situazione era complicata, con la Jugoslavia che cominciava ad autodistruggersi in conflitti etnici. Per una famiglia musulmana di etnia bosgnacca* come quella di Adem la vita non era affatto semplice: Novi Pazar sorge infatti nella regione del Sangiaccato**, una zona serba popolata per oltre il 90% da musulmani di origine bosniaca/kosovara, proprio come la famiglia Ljajic. Nel 1991 - anno della nascita del calciatore -  il livello del conflitto intestino si alzò considerevolmente: il criminale serbo ultra-nazionalista Arkan cominciò una vera e propria pulizia etnica, eliminando musulmani, bosgnacchi e chiunque non facesse parte dell'etnia serba. Un genocidio riconosciuto dalla storia e nel quale la città natale di Ljajic Novi Pazar,abitata ancora oggi per l’85% da musulmani bosgnacchi, fu crocevia tristemente importante. La famiglia Ljajic uscì fortunatamente indenne dal conflitto, con Adem che continuò la sua crescita professionale e umana da cittadino della repubblica serba.

L'uomo Adem, dunque, è cresciuto in Serbia e ha imparato ad amare la sua Nazione, ma non può dimenticare le sue radici. “Io amo la Serbia, ho sempre voluto giocare per questa nazionale sin da quando ero bambino. Rispetto tutti, ma prima ancora devo rispettaremestesso le sue parole nel 2012 dopo il primo rifiuto nel cantare l’inno. Un inno che loda un Dio in cui Ljajic non crede e che si fa manifesto di una Nazione che quasi 30 anni fa mise a ferro e fuoco Novi Pazar e dintorni, uccidendo chi come Adem credeva in Allah e non in Dio. Il Mondiale è quel momento durante il quale in Italia anche i meno nazionalisti cantano l’inno. Ma prima di onorare la patria, occorre saper onorare se stessi e la propria storia personale. E quando si ha una storia come quella di Adem Ljajic, il silenzio è la miglior forma di rispetto. Altro che "Giustizia di Dio".

*etnia slava convertitasi all'Islam all'epoca dell'occupazione Ottomana. Presente principalmente in Bosnia e Kosovo

**regione storico-geografica al confine tra Serbia, Montenegro e Bosnia. Prima del 1912, sotto il diretto controlla dell'Impero Ottomano