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Meglio a pezzi che a strisce

Mai Cuntent / In vista del prossimo Derby della Mole ecco le differenze di idee delle due squadre

Stefano Gurlino

"“Che squadra tifi?” era la domanda più difficile mai ascoltata in cinque anni di elementari. Mica era poi così tanto semplice rispondere: provate voi a tifare Toro nel fiore degli anni di Franco Ramallo, Magallanes e il piccolo Conticchio. Ricordo ancora il primo derby che seguii con quella che Cimminelli chiamava “filosofia zen”: 0-4, Del Piero che ci segna di tacco, il bambino che ero in lacrime e già a letto dopo lo 0-2. E lo sguardo sconsolato di mio padre, che avendo già preso la medicina, si lasciò andare ad un consiglio spassionato che allora mi suonava di tradimento: “Dammi retta, cambia squadra”. Eh no, troppo facile. Impossibile non amare un’Idea: l’idea che stai sotto e tornerai sopra, l’idea che si è scarsi, ma dal cuore grande. L’idea che è sempre meglio essere a pezzi, che a strisce.

"Dura, la legge dei giardinetti. Pur di dare un calcio ad un pallone, all’uscita di scuola alla mamma raccontavo le migliori frottole. Ne ricordo una, che a distanza di anni mi chiedo non sia ancora stata utilizzata per qualche sceneggiatura almeno di un film dei Vanzina. Ero un bimbetto vivace, simpatico, (già) polemico. Stimavo i coetanei vivaci come me ma furbetti, odiavo le coetanee leccaculo dai voti altissimi, ma la maestra Mussetto era nell’Olimpo delle persone più odiose del 2002 o del 2003, adesso dovrò dare un’occhiata. La Mussetto incarnava il “moggismo” bello e buono, quello del “a Torino sono troppe due squadre” salvo poi veder la propria sparire giù nei bassi ranghi della B. Insomma, anche se non voleva ammetterlo, una juventina bella e buona: strizzava l’occhio ai salotti buoni dei genitori, ammiccava i bimbetti tutti silenziosi e scansanti la sua severità. E a me riempiva di bigliettini. Tutti uguali, tutti con quel “gentile signora, dovremmo parlare con Lei per il comportamento di suo figl…”, che altro non erano la dimostrazione di un complotto fatto e finito. Mia madre un pomeriggio si accorse di questo bigliettino, ma la mia maglia di Lucarelli (ebbene si) doveva sfrecciare nel campetto di cemento insieme ai miei amichetti. E quante volte quel: “Stefano, cos’è che questo fogliettino?” finivano con: “Oh mamma, scusami, non te l’ho detto. Eh niente, vogliono parlarti perché sono il più bravo della classe, fidati”. Magari non ero il più bravo, ma sapevo riconoscere cosa fosse giusto da cosa fosse sbagliato. D’altronde, c’è poco da fare: del Toro si diventa così.

"Era sbagliato vincere tutte le volte, sempre e comunque. Era sbagliato lamentarsi dopo un piccolo graffietto, quando c’è chi di graffi ne ha mille ma continua a non dire nulla. E poi, un fattore estetico mica da ridere: sbagliatissimo entrare in campo con addosso i colori di una striscia pedonale. Ma loro sono così, lo sappiamo. Sono quelli che ce la fanno, quelli che se cadono, cadono da in piedi, quelli che ti ciulano la ragazza, perché te la ciulano, salvo poi farsi dire da lei: “Eh ma, almeno lui mi porta a cena e mi capisce”. L’importante è essere noi, magari non fino alla fine, ma fino in fondo. Perché questa non è una semplice partita di calcio: è un incontro tra due mondi. Che dobbiamo vincere: anche per Franco Ramallo. E per tutte le Mussetto esistenti nell’universo.

"P.S.: La filosofia zen del Cimmi era la seguente: “I tifosi del Toro devono smetterla di piagnucolare. Lamentarsi non aiuta ad avere culo”. Hai capito.