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L’omelia di Don Robella: “Il Torino è come una mano, formato da 5 dita…”

A Superga / Il prete, per ricordare le vittime del 4 maggio, esegue la consueta omelia

Redazione Toro News

"Don Riccardo Robella, come di consueto, ha esposto la sua omelia in onore dei caduti del 4 maggio a Superga, di fronte a molti tifosi e a tutta la squadra del Toro, compresi presidente e dirigenti. Facendo avvicinare i bambini all'altare, il prete ha così cominciato:

""Bello ritrovarsi insieme per riportare il cuore alle cose essenziali"

""Voglio ringraziare il Torino, tutte le persone che vivono la realtà granata, la basilica, gli ultras e gli steward. Anche gli amici del museo del River e della Fiorentina, al Torino FD, a Salvadori e alla fondazione, perché finalmente torniamo a casa."

""Un saluto è una preghiera a don Aldo, ci mancano le sue parole, il suo essere ironico e saggio. Un saluto anche agli amici della Chapecoense, stessa tragedia che abbiamo vissuto noi, che il dolore non sia solo rimpianto ma spinta per il futuro."

""Anno zero del Fila, momento importante per la storia del Torino. Tutta la realtà sportiva ed umana è di dio."

"Molinaro e Ossola effettuano delle letture, intervallandosi a Don Robella, che poi riprende:

""La cosa che colpisce di Superga è l'afflusso di persone che arrivano alla lapida degli invicti, che sono i "non vinti", non gli invincibili. Davanti alla lapide si lascia un pensiero, e si scopre qualcuno che fa un segno di croce, o dà un bacio: è segno di vicinanza, il segno che che chi vive questo, vive un fatto. Il Torino è come una mano, formato da 5 dita: primo dito è il popolo granata, come i pugni di Pulici, chi non si arrende, ma ha speranza e va oltre l'oggi, anche perché se no avremmo dovuto arrenderci tante volte, ma non è mai avvenuto. Il secondo dito sono i ragazzi, sempre di più il 4 maggio: è il dito del 'batti cinque', di chi si scambia sempre un sorriso. Per il Torino si ride si piange (io stesso ho pianto dopo alcuni derby), ma non si perde mai il sorriso: il giorno che lo perderete vorrà dire che tifare Toro non è più un piacere, vuol dire che si è diventati brontoloni e che non andrà bene neanche vincere la Champions League. Il terzo dito sono i parenti delle vittime, chi conserva la memoria del Grande Torino: le spose, i parenti, e il gesto è quello del saluto, il saluto ai ragazzi che partono. Il quarto dito è la squadra, chi ha raccolto l'eredità: magari molti di voi vi chiederete dove siete finiti, siete finiti in qualcosa di grande che neanche immaginate. Io capisco che sentiate il peso di questo. Quando la domenica scendete in campo, abbiate dietro di voi e con voi quella squadra che stiamo ricordando e per cui preghiamo: non dovete essere come loro, ma continuare quello che loro hanno cominciato. Il quinto dito è il Presidente, senza il quale non ci sarebbe il Toro. In un mondo cinico e spietato, gli è capitata la fortuna di avere una squadra particolare, Cairo ha lavorato bene, sta creando futuro, ha ridato identità col Filadelfia, il Robaldo, ci ha ridato dignità. Ora però c'è da diventare grandi."

""Ci vuole la paternità, che voglia bene al Toro e ai suoi ragazzi, come un padre non curante delle critiche, perché questa è la nostra forza."

""Le Cinque dita devono stringere in mano un testimone. Il Toro non lo abbiamo inventato noi, così come la chiesa, le abbiamo ricevute: dobbiamo fare la nostra parte e consegnare il testimone a chi verrà dopo. Ma per farlo, ci vuole che le cinque dita siano strette, che nessuno dito pensi di fare la propria strada, perché se no il testimone cade. Ciascuno ha un compito: vincere, tifare, giocare e gioire, questa è una cosa unica. Se saremo bravi a tenere questo testimone allora avremmo fatto bene la nostra parte, dandolo ai nostri figli. Da lassù fanno il tifo per noi, e gli chiediamo di esserci vicini. Ripartiamo dal Filadelfia, dove nel è iniziato tutto, ed è li che ripartiamo per riacquisire identità"