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Torino, Ventura: “Io cresciuto tra Italsider e pallone. Come Radice, grazie a Cairo”

Il tecnico granata racconta a La Gazzetta dello Sport la sua vita al di fuori del pallone: amicizie, religione, donne (fino a Luciana)

Redazione Toro News

"Ventura, tecnico granata, ha rilasciato a La Gazzetta dello Sport una lunga intervista di natura extra-calcistica: solo in parte però, perché "il calcio è più che amore, è la mia vita".

""Amici? Tradito sì, a volte, è ciò che fa più male. Ma il rapporto che si creava anni fa, lo dico con presunzione, è diverso da quello che si crea adesso: stare a parlare fino all'alba è un'altra cosa rispetto all'iterazione virtuale, ti entra dentro e lo ritrovi dopo anni. Dopo anni sono ritornato a Cernigliano: pochi minuti e avevo otto amici a fianco. Le donne? Ero già "allenatore" all'epoca: come oggi bilancio l'assenza di campioni con l'organizzazione, così allora si copriva la mancanza di soldi con simpatia e sfrontatezza. Erano gli anni dell'amore libero: prima era un peccato farlo, poi è diventato un peccato non farlo. Ai calciatori non posso dire non fatelo, non ascolterebbero. Se è con la propria donna, però, è ok, altrimenti cresce stress negativo".

"Ventura ricorda inoltre la sua infanzia: "Forse non sono stato abbastanza vicino ai miei genitori, loro lavoravano in un negozio di alimentari, ricordo pochissimo tempo passato con loro. Mi hanno tuttavia trasmesso etica del lavoro e serietà, due cose che, se le incontri, ti ritrovi attaccato addosso per tuta la vita. A scuola? Ero bravo, ricordo Padre Guzzi, insegnante di italiano e latino che a 11 anni mi fece scoprire la passione per il sapere. A 12 anni andai a Lourdes e guarii da una congiuntivite cronica, tuttavia non credo ai miracoli: mi definirei un cattolico non praticamente. Nei tempi attutali è difficile parlare di religione, anche se ciò che sta succedendo, più che con la religione, c'entra con il petrolio."

"E oggi? "Oggi sono in Sisport dalle 9 alle 20, è difficile avere altre passioni, non ho tempo per coltivare altri sport: golf, tennis e boxe le mie passioni, al basket ho rubato qualcosina. Vorrei viaggiare di più: viaggiare è un piacere, il mare godimento, così come il cibo: mi suiciderò con un'indigestione di castagnaccio e gorgonzola. L'errore più grande? Due momenti bui, uno dopo Napoli: pensai di smettere. L'altro è stato tornare alla Samp da allenatore, non si è mai profeti in patria. Ricordo però quando portai dei giocatori che compravano le calze di cashmere all'Italsider di Cernigliano, per mostrare loro chi il pane deve sudarselo giorno per giorno, veramente. Al Torino volo come con un paracadute, senza le vertigini però: l'adrenalina è tanta, come sempre, mi spiace per Sasà Sullo che deve sopportarmi. Lo stress c'è la mattina. prima della partita, poi passa perché so di aver fatto quello che c'era da fare. Il ringraziamento, se ho raggiunto Radice come presenze, va a Cairo, che ha creduto in me".