“Quante infrazioni ai
LOQUOR
Il no di Claudio Ranieri scatena Arrigo Sacchi
limiti di decenza”
Fabrizio Caramagna
Per anni non ha mai avuto buona stampa, considerato un tecnico con poco glamour, forse perché la sua carriera da calciatore si è svolta tutta nel meridione d’Italia, lontano da quei giri nobili dove anche chi non sa stoppare tre palloni di fila assume un’importanza nell’araldica nobiliare. Diviene quindi un nero a metà, come da canzone di Pino Daniele, e da allenatore comincia nella provincia che più provincia profonda non si può accomodandosi(si fa per dire) prima sulla panchina della Vigor Lamezia e poi su quella della Puteolana, in quella Pozzuoli poggiata su quei “Campi Flegrei” omaggiati da una bellissima canzone di Edoardo Bennato. Claudio Ranieri è un romano divenuto “terrone” per necessità professionali, e dei “terroni” assume l’inclinazione a non avere paura a fare l’emigrante, anche nelle situazioni più difficili e complicate, anche quando tutto attorno a te è scetticismo e nasi arricciati dal sospetto. Non ha timori reverenziali, quindi, quando nel settembre del 1997 viene chiamato dal Valencia per sostituire dopo solo tre partite Jorge Valdano, un monumento del calcio argentino e madridista, un filosofo dall’aurea letteraria prestato al calcio. Agli occhi dei Valenciani deve essere stato come se si fosse presentato su un set cinematografico il mitico “Bombolo”, dopo aver visto agire Al Pacino. Ma, come detto, i “terroni” sono nati per dover essere costretti dal destino a dover sempre dimostrare qualcosa. I giornalisti lo definiscono un perdente, al massimo uno capace di arrivare al secondo posto, riguardo al primo posto meglio passare altrove, ci sono dei tre quarti di nobiltà in attesa senza la volgare valigia di cartone. E’ una carriera da travet della panca quella attribuitagli, e questo luogo comune da cortile, più che da giornalismo serio, se lo porta dietro fino al giorno in cui vince la “Premier League” con lo sfavoritissimo Leicester, preso sull’orlo di una crisi di nervi dovuto da uno scandalo sessuale con protagonisti alcuni giocatori delle “Foxes”, affermazione che viene definita la più grande impresa sportiva di ogni tempo. A quel punto sor Claudio diventa sir Claudio, e comincia per lui una primavera proprio in quel momento della vita in cui a farsi largo è quell’autunno che prelude all’inverno. Tutti si accorgono della sua bravura, del sapere aggiustare dove tanti altri hanno sfasciato, del suo essere una persona profondamente perbene e innamorata del calcio. E quel “turning point” da lui mai cercato, ma che a ad un determinato momento della vita, per qualche ragione misteriosa conosciuta solamente dal mistero, si presenta nella sua biografia, stravolgendola. Tutti ora da eterno secondo lo considerano un taumaturgo, un facilitatore di miracoli o delle classiche nozze con i fichi secchi. Insomma, il sogno di ogni presidente di club che con il minimo voglia realizzare il massimo. Deve aver pensato a tutto questo Gabriele Gravina nello stesso istante in cui ha deciso di giubilare Luciano Spalletti dalla panchina della Nazionale, consapevole che si sarebbe trovato davanti ad una opinione pubblica non paga di vedere rotolare solo la testa del luminare di Certaldo per pagare il conto di una squadra Azzurra smarrita nel gioco, e soprattutto nell’onore.
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Gli serviva l’aurea di uno dei più rispettabili e grandi uomini di sport che l’Italia abbia mai avuto, per far passare ancora una volta in secondo piano il tema più che mai urgente da dibattere: le sue dimissioni da presidente federale. Sir Claudio deve averci pensato bene, dopo aver dato un primo sì di massima, perché la Nazionale è pur sempre la Nazionale, poi deve aver capito quale era la reale posta in gioco, cioè l’ennesimo gioco da illusionista messo in piedi dal peggiore presidente mai passato da Via Allegri, si è tirato indietro rendendosi così indisponibile ad essere la foglia di fico di Gravina. Il no di Ranieri è proprio quello auspicato da una persona perbene, di uno perfettamente a conoscenza della complessità della vita e dei doverosi compromessi a volte da farsi, ma non disponibile a far tracimare il compromesso nell’indecenza. Ovviamente la cosa non deve essere andata molto giù a Gravina, che non ha tardato a mandare un siluro attraverso il suo nuovo amico Urbano Cairo, da lui premiato a Coverciano nel maggio 2024 come protagonista di successo nell’imprenditoria e nello sport. Il mondo, si sa, è fatto di relazioni da dove nascono spesso occasioni di affari e di operazioni di mutuo soccorso, ed ecco quindi ieri scendere in campo “La Gazzetta dello Sport” con una intervista, che definire velenosa è dire poco, ad Arrigo Sacchi(ma il personaggio è sempre stato quello che è, ed è meglio non aggiunga altro). Il vate di Fusignano non si fa pregare e colpisce subito al cuore del collega: “… ritengo che alla Nazionale non si possa dire di no. E’ un dovere morale rispondere alla chiamata”. Ora, a parte l’uso del congiuntivo in modo traballante(ma Sacchi ha sempre avuto una sintassi da bracciante agricolo), è stato davvero di cattivo gusto, oltre ad essere fuori luogo, aver fatto un richiamo alla morale. Ma l’Arrigo quando comincia con la retorica da propaganda è praticamente impossibile da fermare, e d’altronde la Gazzetta lo ha convocato esattamente per questo. Per cui continua con il suo sproloquio da retorica “ad minchiam”(in certi casi citare il compianto professor Franco Scoglio è quasi un dovere): “…qui bisogna capire che siamo nel bel mezzo di una situazione drammatica, quella che sta vivendo tutto il nostro calcio, e che per risolverla serve un atto di coraggio e di responsabilità… immagino che il presidente Gravina e i dirigenti federali siano rimasti a bocca aperta dopo aver appreso della decisione di Ranieri”. Il gioco retorico è tra quelli di più bassa lega a cui si sia mai assistiti, e fa rivenire alla mente un antico detto Ceco: “quando pensi di essere giunto nel fondo, tendi l’orecchio: sentirai bussare qualcuno sotto di te”. In pratica Sacchi da del vile e del poco morale a Ranieri, e individua nel suo rifiuto una delle possibili cause per cui esiste il rischio concreto di non andare al terzo mondiale di fila. Stupenda in tutta la sua comicità è l’immagine di Gravina a bocca aperta davanti al no di Ranieri, espediente dilettantesco e triste per far passare il presidente federale, nel giudizio del malcapitato lettore, da colpevole a vittima. Ma imperdibile è la caduta di stile finale, perché è davvero impossibile per Sacchi non approfittare dell’occasione per dare una spazzolata al suo noto narcisismo: “io(Totò avrebbe detto Noio), pur di allenare la Nazionale, rinunciai a due miliardi di lire nel 1991. Eh sì, perché ne prendevo tre dal Milan e la Federcalcio me ne offriva soltanto uno. E c’era pure il Real Madrid che aveva messo sul tavolo addirittura cinque miliardi perché andassi in Spagna”. Saremmo davanti ad un personaggio comico congeniato tra Goldoni e Moliere, se non fosse per l’uso di un linguaggio da rigattiere. Il quale rigattiere chiude l’intervista non dimenticandosi di omaggiare Carlo Ancelotti e Roberto Mancini, come in uso tra aristocratici di lungo corso. Da sottolineare quel “me ne offriva soltanto uno”, a cui, non potendo scomodare Sigmund Freud, lascio al lettore la valutazione. Ovviamente nel corso della coraggiosa ed epocale intervista, nessuna parola è stata riservata, a parte il riferimento alla bocca aperta, alle responsabilità di Gabriele Gravina, ad una sua gestione pluriennale tremendamente deficitaria del calcio italiano, che ha sempre meno praticanti ed interessi da parte della famosa “Generazione Z”. Anche il calcio, che nel corso della storia e dell’evoluzione del nostro Paese ha perso sia l’oratorio che la strada, è affetto dal “drop out” sportivo, ovvero il fenomeno precoce della pratica sportiva. Il paniere da cui possono sgorgare nuovi talenti si è ristretto progressivamente, ed inoltre esiste, come dimostrato da recenti inchieste giornalistiche, una discutibile gestione di tutto l’apparato del calcio giovanile. Esistono reticoli di interessi opachi e di malaffare, che di fatto impedisce la ricerca e l’emersione del vero talento. Di tutto ciò l’attuale Presidente federale è il principale responsabile, non fosse altro per carenza o omissione di controllo. Non sarà un allenatore, per quanto bravo, a farci vincere contro un’Argentina con già a disposizione giovani del calibro del diciassettenne Franco Mastantuono e del diciannovenne Claudio Echeverri. Il gioco tutto italiano del potere da qualche tempo si ripete, e consiste nel personalizzare su una figura tutta la responsabilità, scaltra premessa nel farlo divenire il futuro capro espiatorio e salvare così il proprio posto. Claudio Ranieri è troppo signore per rispondere all’attacco sgangherato di Sacchi, ma comunque, oltre alla sua storia, al suo onore bastano queste parole sentite e vere dell’attuale Ministro dello Sport Andrea Abodi: “… il no di Ranieri non penso sia stato a cuor leggero, è il frutto di una persona retta che ha dei principi morali forti e un amore nei confronti del calcio sano”. Sono parole aperte verso concetti vasti e concreti. Sarà meglio rifletterci sopra per capire.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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