“Era stanca, di quella stanchezza
loquor
La Tv è stanca del calcio
che sa dare solo il vuoto”
Paolo Giordano
Al netto di Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e Jasmine Paolini, non è un buon momento per lo sport in tv in Italia. Nonostante la stampa provi a scaldare i cuori e l’attenzione, i principali appuntamenti sportivi tv paiono diluirsi nella prima calura estiva, dando l’idea di essere un passatempo a cui si rinuncia sempre più volentieri. Certo c’è la guerra a tenere banco nelle priorità degli italiani, e per i giovani ormai lo sport è quasi regredito allo stesso rango dell’Opera: fa parte della tradizione nazionale, quando vi cade l’occhio sopra si prova magari anche qualche simpatia, ma la percepiscono come qualcosa di “polveroso”, di usi e costumi dei tempi andati. E poi l’estate è musica dal vivo, da adunata dentro gli stadi per vivere smartphone alla mano ciò che da sempre pare memorabile alla gioventù. Temo non si sia ancora ben capito quanto lo sport stia defluendo via dall’anima di una gioventù bruciata dalla troppa offerta di eventi agonistici, tutti proposti come mirabolanti ma dal sapore dell’accaduto troppe volte, infinitamente troppe volte. Lo sport avrebbe bisogno di alcuni necessari “time out” per ricaricare attenzione ed entusiasmo, non di proporre continuamente menù talmente gonfiati da dare subito la sensazione dell’indigesto al solo leggerli. Verrebbe da dire, quasi di urlare, allo sport di lasciarci per un attimo in pace, che la vita è fatta anche di altro, che esso non può diventare una stancante consuetudine o, peggio, una pura formalità. Probabilmente è la crisi della Ferrari divenuta con i contorni dell’eterno, ad aver interessato il Gran premio del Canada solo un 1.251.000 spettatori nella sua versione in “chiaro” su “TV8”, ma poi ti sposti negli “States” e prendi sconsolatamente atto come “Gara 2” della “NBA Finals” tra “Oklahoma City” e “Indiana Pacers” abbia fatto registrare un calo di audience tv del 29% rispetto allo scorso anno. Certo, niente di paragonabile agli sparuti 150.000 spettatori, a questo punto eroici, che su “Nove” hanno deciso di seguire la partita decisiva per lo scudetto del basket tra “Germani Brescia” e “Virtus Segafredo Bologna”. Siamo allo 0,9 di share, roba da far piombare in depressione anche il più ottimista. Nella stessa serata è andata un po’ meglio a Italia Spagna under 21, con 1.940.000 spettatori, ma nonostante la calura resta il freddo interesse per un classico del calcio europeo, che metteva in vetrina giovani interessanti specie in un momento di prossima apertura del calcio mercato.
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E così dopo essere andati sotto la crescita zero a livello demografico, i giovani sedotti dalla filosofia del “fast content”, ovvero un tipo di contenuto confezionato breve, conciso ricco di informazioni e fatto per essere consumato rapidamente, nel nostro calcio non sostituiscono gli spettatori che anagraficamente smettono di guardare le partite. La famosa “Generazione Z” non è che abbia smesso di vivere di passioni, probabilmente preferisce spendere soldi e tempo in altro. Ovviamente gli eventi, quelli veri, continuano ancora a radunare davanti alla tv frotte di spettatori, ma gli eventi, specie nel calcio, sono stati ridotti nella triste condizione di essere difficilmente distinguibili. Prendiamo il mondiale per club attualmente in corso negli Stati Uniti, una sorta di farsa o di appendice, fate voi, di nessuna rilevanza agonistica, e che si sta svolgendo in un Paese, diciamoci la verità, quasi completamente disinteressato al calcio. In un video si vede la Juventus ricevuta da Donald Trump nello “Studio Ovale” della “Casa Bianca”, dove il presidente americano non ha nessuna idea di chi siano i due giocatori americani presenti nel “roster” bianconero. Così si volta un po’ smarrito, sotto lo sguardo di “Mr Bean” Gianni Infantino(che ride. Lui ride sempre alla presenza dei potenti), alla ricerca di Weston McKennie e Timothy Weah, di cui ne disconosce completamente le fattezze. L’iperbolico campionato del mondo per club americano sta raccogliendo sulle gradinate degli stadi Usa una media di 22.000 spettatori a partita, praticamente un quasi un flop.
Non c’è niente da fare, nonostante l’insistenza il calcio in Usa proprio non riesce a sfondare, nonostante ci sia tutto un movimento assai subliminale a livello pubblicistico per raccontare un parto felice mai realmente avvenuto. Ma tornando alla tv, drammatica è la crisi della Ligue 1, che fino a pochi anni fa riceveva un miliardo di euro all’anno di diritti tv, con tre milioni di abbonati su “Canal+” e 1,2 milioni su “Amazon”. Oggi l’accordo firmato con “Dazn” nel 2024 fino al 2029, prevede a malapena 400 milioni, con gli abbonati ridotti alla cifra assai esigua di 400.000. Joseph Oughourlian, presidente del Lens, ha dichiarato, tra la rabbia e lo sconforto che “in un Paese con 65 milioni di abitanti, avere solo 400.000 abbonati alla Ligue 1 è patetico”. La Serie A si barcamena con 900 milioni l’anno, sempre fino al 2029, e con 1,7 milioni di abbonati a “Dazn”. Ma il futuro all’orizzonte è sempre più nero, e fa a pugni con Gianni Infantino prono a fare l’uomo sandwich del calcio in giro per il mondo. La maggior parte delle stime a disposizione, indicano un lento declino degli acquisti per i diritti dello sport in tv a causa della disaffezione delle giovani generazioni di cui sopra. Una partita di medio/basso interesse raccoglie meno spettatori di un qualsiasi video mediamente interessante presente su “You Tube”, ed è una dimostrazione lampante di quanto il consumo del tempo libero stia cambiando molte tendenze dalle nostre parti. Probabilmente anche la crisi della Nazionale, in genere un acceleratore di entusiasmo e di interessi sul gioco più seguito al mondo, sta contribuendo ad un disinteresse che non sarebbe stato nemmeno lontanamente immaginabile fino ad un decennio fa. Si assiste al paradosso, che nonostante oggi ci sarebbero potenzialmente molti più dispositivi a disposizione per fruire delle partite, i numeri dicono come ci siano molte meno persone interessate a vederle.
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Forse bisognerebbe prendere finalmente atto di un calcio giunto alla sua stazione finale nei margini di crescita, senza più prospettive di sviluppo, ridotto ad essere uno spettacolo da divano ormai ricercato da pochi intimi, quelli talmente drogati dal calcio da non badare a spese e alla qualità del prodotto pur di continuare a provare un piacere sempre più artefatto e sempre meno vero. Se parli con i broadcaster la versione fornita è costantemente la stessa: “noi e gli sponsor abbiamo capito quanto l’abbuffata di calcio televisiva abbia procurato una irrimediabile indigestione e sintomi evidenti da nausea. Serve scremare le competizioni su cui puntare gli investimenti”. La mossa di trasmettere il campionato del mondo per club in chiaro, è quella di chi è giunto davanti la fossa della disperazione, da dove non si vede più nessuno orizzonte a parte il precipizio. Nella disperazione non si crede più a niente e non ci si cura più di niente, si va avanti esclusivamente per forza di inerzia. In tale contesto fa quasi tenerezza Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega di Serie A, che imputa la crisi di risultati della Nazionale alla pirateria tv, che toglie risorse per investimenti nei vivai dei club. Sembra una chiamata alle armi per un guerra da svolgersi in un campo di battaglia diverso da quello in cui si dovrebbe svolgere. La classe dirigente italiana del calcio proprio fatica a capire, che quanto non stanno raccogliendo oggi è frutto di aver allontanato il calcio dalle sue origini sociali per riconvertirlo in spettacolo. E siccome lo spettacolo ha le sue leggi psico/sociali a regolarlo, scevre da ogni sentimento di cuore o appartenenza, probabilmente non hanno tenuto d’occhio alla qualità offerta e al marketing sul prodotto. Un prodotto tv che prima ha reso il calcio dipendente dalle sue risorse, poi ha reso più ampia la sperequazione tra gli eventi top e gli eventi minori( che sta condannando al disastro questi ultimi. Basti soffermarsi sulla situazione apocalittica della nostra Serie C), infine sta creando disaffezione da assuefazione. Qualche mese fa Pippo Russo, ricercatore dell’Università di Firenze e giornalista attento alle tematiche sportive, ha sinteticamente inquadrato in modo impietoso la situazione: “… così, d’incanto, alcuni ricchi(nel calcio) si ritrovano a rischio impoverimento senza essere pronti a vivere questa condizione. La Ligue 1 è il primo vagone ad essere stato sganciato. La serie A sarà il prossimo. E chi rimarrà nella corsa dovrà guardare a una prospettiva di sopravvivenza anziché di espansione”. A molti non è ben chiara una cosa: l’analisi di Russo è così vera, che se non si è giunti ancora alla “SuperLeague” è solo per la presenza anomala della “Premier League” nel panorama del calcio continentale. Ma per quanto ancora reggerà come argine questa anomalia?
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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