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Esclusiva

Patrizio Sala fa 70 anni su TN: “Paolino, Gigi e il mio sogno granata”

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In esclusiva su Toro News l’ex mediano granata nel giorno del suo compleanno racconta la sua storia nel Toro, dalla Scudetto all’estate 2005
Andrea Calderoni
Andrea Calderoni Caporedattore centrale 

Una vita a tinte granata, una vita che gli ha permesso di entrare nei cuori di centinaia di migliaia di tifosi. Oggi, lunedì 16 giugno, spegne 50 candeline uno degli eroi dello Scudetto: Patrizio Sala. L’ex mediano ha deciso di raccontare in esclusiva su Toro News tutto quello che è stato ed è il Toro nella sua vita dentro e fuori dal campo.

Buongiorno Patrizio, tanti auguri. Arrivato a settant’anni, se le dico Toro cosa pensa?“Il Toro è stato il raggiungimento del sogno, in tanti lo dicono, nel mio caso posso assicurare che è una verità assoluta. Fin da ragazzo sognavo di fare il calciatore. Con il Monza avevo già giocato in Serie C, poi grazie alla volontà di un allenatore che mi ha fortemente voluto come Gigi Radice ho potuto vivere le emozioni incomparabili con il Toro. Vi dirò che me le sono godute che se le gode un ventenne, quindi in modo differente rispetto a un adulto. Avevo vent’anni, ero spregiudicato e un po’ inconsapevole. Devo ammettere che non l’ho assaporato fino in fondo quello Scudetto, anche perché quel campionato in granata concise con il mio anno di leva militare obbligatoria”.

Come fu l’estate di passaggio dal Monza al Torino?“Io sono partito militare proprio quell’anno, nel 1975. Feci la finale di Coppa Italia con il Monza a Sorrento, da Milano a Napoli con l’aereo, poi da Napoli a Sorrento in bus. Giocammo la partita, la vincemmo ai rigori e l’indomani partii per militare. Da Napoli presi il treno per Cassino. Poi, tornai a casa qualche giorno, smontai le valigie e andai in ritiro con il Torino. Insomma, fu un’estate davvero particolare”.

Come riuscì a coniugare la leva militare con la Serie A?“Tutto l’anno dello Scudetto sono stato militare e quindi avevo una settimana tipo molto differente rispetto a quella dei miei compagni. La domenica c’era la partita, Radice voleva che gli scapoli andassero in ritiro fin dal venerdì per fare gruppo e ci radunavano a Villa Sassi mentre chi aveva moglie e figli si congiungeva al resto della squadra il sabato. Questo era anche il mio fine settimana tipo. Il lunedì mattina prendevo il primo treno per andare a Roma in caserma e tornavo il mercoledì sera o il giovedì mattina in aereo. Facevo a volte la partitella contro la Primavera il giovedì, l’allenamento completo del venerdì, la rifinitura del sabato e la partita la domenica”.

Una storia difficilmente pensabile e replicabile oggi.“Sì, oggi impensabile. Anche al tempo non fu semplice. Ripensandoci io mi allenai poco con il Torino in quella stagione. Feci la preparazione e poi la seconda parte di ciascuna settimana. Nella prima parte della settimana facevo allenamento con la Nazionale militare il martedì, mentre il mercoledì capitava di fare amichevoli con la Nazionale militare contro formazioni di Serie B e Serie C. Detto questo, avevo uno spirito spensierato tipico dei ventenni. Avevo voglia di competere e di vincere: questa fu la mia forza”.

Poi, rimase ancora a lungo dopo lo Scudetto nel Torino.“Sì e ho avuto il tempo negli anni successivi di assaporarmi il Toro. La stagione dopo quella dello Scudetto fu clamorosa come tutti ricordano: 50 punti noi, 51 la Juventus. Quello fu il campionato più equilibrato dal punto di vista del gioco. Eravamo cresciuti parecchio in quei mesi, anche la breve esperienza in Coppa dei Campioni ci aiutò. Devo dire che ho vissuto tutte le esperienze possibili in quel periodo della mia vita. Dal 1975 al 1981 il Torino è stato la mia famiglia perché mi ha fatto raggiungere tutti i traguardi che un calciatore sogna, compresa la Nazionale e il Mondiale del 1978”.

Le faccio una serie di nomi e lei prova a spiegarci cosa significavano per quel Toro. Paolo Pulici.“Sentiva molto il Toro, in casa si trasformava. Era un torello giovane che quando sentiva il richiamo della Maratona si esaltava. In casa giocavamo in dodici perché Paolino valeva doppio, aveva un’emotività particolare. Al Comunale Paolino era un qualcosa di impensabile”.

Claudio Sala.“Beh, dobbiamo dire che il Torino dello Scudetto era una bella torta che a mano a mano si è amalgamata e Claudio era la ciliegina di questa torta. Claudio ha davvero fatto la differenza, era un dribblomane che sfornava assist tutte le partite. Pulici e Graziani con lui non potevano che andare a nozze”.

Gigi Radice.“Gigi è stato il vero artefice dello Scudetto. Ci ha inculcato la mentalità di aggredire l’avversario subito. Lasciavano un giocatore libero al massimo. Faccio un esempio. Contro la Juventus si lasciava libertà a un Furini o un Brio, tutti gli altri erano seguiti, compreso Scirea che era bravo a impostare. Lasciavamo libero solo quelli un po’ meno dotati tecnicamente, per il resto massima aggressione”.

Nella turbolenta estate di vent’anni fa firmò per il Torino...“Sì, sono partito nell’estate 2005 insieme a Renato Zaccarelli che mi chiamò per darmi la Primavera del Torino. Ero reduce dall’esperienza in Serie C con la Pro Patria. Firmai il contratto per due anni, vidi la casa dove mi sarei trasferito. Il 1° agosto partimmo per il ritiro, il 10 agosto il Torino chiuse bottega e io rimasi appiedato”.

Ha rimpianti per quella mancava avventura e magari per non essere stato riconfermato dalla nuova proprietà?“Mi è spiaciuto perdere quell’opportunità, però non ho mai pensato che dovevo essere considerato anche successivamente per il semplice fatto che ho vinto lo Scudetto con il Torino. Ho sempre pensato che chi subentra ha altre idee rispetto a chi lo precedeva. È normale che sia così, ognuno fa le sue scelte. È naturale che mi sarebbe piaciuto tornare un giorno nel Torino, non è andata così ma, lo ripeto, è lecito che non sia andata così”.

Chi è Renato Zaccarelli nella sua vita?“Renato è un grande amico, aggiungo che un po’ tutti siamo rimasti legati. Lo Scudetto ha cementificato il nostro rapporto. Del resto, i miei anni più belli nel calcio sono e restano quelli in granata”.

Passiamo all’oggi. Come giudica la stagione 2024/2025 del Torino?“Direi discretamente bene perché quando si fa male un giocatore che poteva essere l’artefice di un campionato diverso subentrano tante domande. Ad esempio, perché non è stato preso un giocatore di livello simile per il medesimo reparto? I cambi modulo e i cambi di giocatori richiedono tempo, purtroppo nel calcio non c’è pazienza. Se scegli un allenatore, lo scegli perché pensi che possa valorizzare il tuo prodotto. Bisogna però lasciargli il tempo per fare il suo lavoro. L’allenatore dovrebbe essere considerato un po’ come il manager di un’azienda e raramente un manager d’azienda viene cacciato dopo un anno”.

Affrettato licenziare Paolo Vanoli?“Per carità tutti vorrebbero vincere subito, però bisogna sempre tenere conto del prodotto che si ha a disposizione. Se ho una rosa come quella del PSG, partirò con l’ambizione di vincere quanto meno il campionato di Francia, poi se arriverà anche la Champions League sarà tanto di guadagnato. Lo stesso l’Inter: è rimasta in corsa su tutto fino all’ultimo, poi non ha vinto niente ma era lì agganciata rispettando il valore umano a disposizione”.

Un’ultima. È giunto il momento per Cairo dopo vent’anni di lasciare?“Ci sono due variabili. La prima: Cairo vuole lasciare. La seconda: qualcuno vuole il Torino. Sarei molto contento se ci fosse qualcuno che voglia prendere il club e abbia possibilità economiche e la pazienza giusta per lavorare in prospettiva”.