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Cagliari-Torino: intrecci secolari tra calcio, campioni e politica

Guida al granata in trasferta / Storie di regni e regnanti. Dal Fila all'Amiscora, fino a Giagnoni e quel Toro portato sempre nel cuore...

Redazione Toro News

"Se è vero che la storia del Mediterraneo è stata per gran parte la storia dell'Occidente, Cagliari non ha nulla da invidiare a città ben più celebri. Prima di tutto vanta un fondatore mitico, Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene, noto per aver insegnato agli uomini l'apicoltura e per aver insidiato Euridice, sposa di Orfeo. Secondariamente tutti, ma proprio tutti, i grandi popoli protagonisti della Storia sono passati dalla città sarda lasciandone testimonianza: i Micenei (ovvero i grandi guerrieri dell'Iliade), i Fenici (che usarono la città come base commerciale) e i loro ex coloni cartaginesi. Con il compiersi della prima guerra punica arrivò il turno di Roma, che resse la città fino alla fine dell'Impero e oltre, se consideriamo che i bizantini (romani d'oriente) respinsero per secoli barbari e saraceni dalla città.

"Città strategica, fondamentale per i commerci nel Mediterraneo, Cagliari seppur isolana non fu mai isolata: il mare fu l'autostrada con cui si tenne a contatto con il continente durante i secoli. E fu sempre dal mare che arrivò la repubblica marinara di Pisa, nel medioevo, per rovesciare il potere locale colonizzando “la chiave del Mediterraneo”. Da allora i padroni, mal tollerati, della città furono sempre continentali: spagnoli e (dopo il 1720) piemontesi.

"Qui entra in scena Torino: come un consumato giocatore d'azzardo Vittorio Amedeo II di Savoia s'era giocato il suo ducato di Piemonte contro i Francesi nella guerra di successione spagnola; terminata la guerra dalla parte dei vincitori il duca ottenne una corona reale, tanto agognata in casa Savoia. Vittorio Amedeo II divenne così re di Sardegna e fu con quel titolo che i suoi discenti unificarono l'Italia.

"I piemontesi non fecero granché per farsi apprezzare: continuarono a governare l'isola con viceré installati a Cagliari, scelti tra una nobiltà senescente e provinciale quale quella che il Piemonte poteva offrire; un governo intenzionato a non concedere alcuna forma di autonomia e per questo costantemente alle prese con congiure, sedizioni e attacchi. Una situazione che perdurò almeno fino alla svolta costituzionale e liberale di Carlo Alberto e allo spirito “positivo” di Alberto La Marmora; il biellese avviò uno studio scientifico sulla Sardegna, dalla mappatura geografica all'illustrazione di costumi, tradizioni e monumenti, negli stessi anni in cui l'intellighenzia locale, sulla scia del romanticismo europeo, andava riscoprendo sia le proprie radici culturali che la propria lingua locale. Furono così in molti dal Risorgimento in poi – politici e intellettuali – a fare la spola tra Cagliari e Torino, una lista di nomi su cui giganteggia quello di Antonio Gramsci: nel capoluogo piemontese il giovane studiò e visse gli anni più importanti della sua vita, diventando uno dei protagonisti della vita politica italiana del primo dopoguerra con la rivista “Ordine Nuovo”.

"Lo stesso anno in cui Gramsci approdò a Torino, il 1911, la Società Ginnastica Amsicora di Cagliari raggiunse il capoluogo piemontese per esibirsi con altre società sportive ai giochi per il cinquantennale dell'Unità d'Italia; qui ebbe modo di confrontarsi con le realtà calcistiche del Nord Italia. Questa prima trasferta (documentata) di una squadra sarda nel continente rappresentò uno snodo importante per il calcio isolano: sempre nel 1911, infatti, si data la fondazione della sezione calcistica della Torres. Nove anni dopo i loro avversari tradizionali anche il Cagliari venne alla luce: correva l'anno di grazia 1920.

"Una squadra destinata a regalare al calcio italiano e alla propria città una vera e propria epopea, una mitologia contemporanea in piena regola: il Cagliari di Scopigno il filosofo, il nuovo Aristeo, e di Gigi Riva rombo di tuono. All'Amiscora, tempio dell'Isola. Uno stadio a modo suo storico, la risposta rossoblù al mitico Filadelfia. Quella squadra fu qualcosa di unico e clamoroso, qualcosa di talmente grande da affascinare ancora adesso. Fu l'epopea di una città antica e colonizzata capace di rivincite calcistiche contro i “colonizzatori”, contro le squadre del nord e contro ogni stereotipo esistente negli anni delle grandi emigrazioni verso il nord del Paese. Il Toro, suo malgrado, fu spettatore del trionfo rossoblù nel campionato 1969/70 quando il Cagliari (già matematicamente campione) terminò la propria cavalcata tricolore al comunale, contro i granata.

"Non sono poche le partite disputate tra Cagliari e Torino, più o meno ottanta, così come non sono pochi gli allenatori che si sedettero su entrambe le panchine (vengono in mente, a memoria, i nomi di Radice, Ulivieri, Sonetti e Ventura). Tra questi ci piace ricordare Gustavo Giagnoni, nativo di Olbia e mantovano d'adozione, che nella sua stagione d'esordio sulla panchina granata – stagione 1971/72 – condusse il Toro al secondo posto in Serie A sfiorando di pochissimo lo scudetto. Giagnoni lavorò con una squadra eccezionale, mettendo le basi del Torino dello scudetto del '76. Un vero cuore Toro, amato dai tifosi (storico il cazzotto a Causio durante un derby) e grande professionista: Giagnoni sedette sulla panchina più famosa della Sardegna nella stagione 1982/83 non riuscendo a impedire la retrocessione nonostante i 26 punti conquistati (che in quei campionati a sedici squadre erano sinonimo di salvezza) e ci tornò nel 1986, dove riuscì a portare un Cagliari ormai destinato alla serie C in semifinale di coppa Italia. Per arrivarci aveva collezionato scalpi importanti: «eliminammo Juve e Toro» ricordò qualche anno dopo «il mio Toro, che porto nel cuore».