di Fabiola Luciani
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E’ un Toro senza passione
di Fabiola Luciani
Di solito il commento pre partita non lo faccio mai, ai fini del risultato, ma oggi lo sfogo ha prevalso sulla razionalità, compreso un pizzico di scaramanzia che spero possa...
"Di solito il commento pre partita non lo faccio mai, ai fini del risultato, ma oggi lo sfogo ha prevalso sulla razionalità, compreso un pizzico di scaramanzia che spero possa portare bene domani. La giornata piovosa e l'idea che il campo sarà pesante su gambe che, a occhio e croce, sembrano pesanti, non conforta di certo, come non conforta sentire che quelli del Siena fanno dichiarazioni spavalde, che loro, il Siena appunto, pensa di poter venire all'Olimpico a fare risultato, "visto come sta il Toro", dicono.Eppure guardo la foto della squadra scesa in campo al Meazza e vedo l'eterno degente Capitano e altri dieci rincitrulliti e credo che a questo punto la spavalderia senese sotto certi punti di vista ci possa anche stare. Sembra la foto di undici pensionati che buttano un occhio alle papere del laghetto cui hanno portato il mais e un altro al nipotino che hanno portato a giocare con la barchetta. Uno con lo sguardo fisso, l’altro con gli occhi abbassati, un altro ancora con la pancetta e così via.Troppo severa? No, se consideriamo una squadra che sulla carta avrebbe dovuto ambire a ben altre mete e quindi ritengo inverosimile il calo fisico, a meno che domenica non avessero Valium al posto del potassio nelle bottigliette dell’acqua.Mi chiedo allora: il Toro, dov'è?Nel silenzio perenne della Società? … silenzio peraltro, in cui i media continuano a sguazzare.Dico questo perché abbiamo l'immagine di un rottame sfiduciato che è stato sottoposto a costanti colpi di pressa e che, come Terminator, perde pezzi di latta a ogni piè sospinto, con un aspetto sbullonato e triste. Ecco l'immagine che ho oggi. In questo momento, forse non corrisponde alla realtà, bensì è la proiezione interiore della tifosa delusa, che si aspettava una stagione radicalmente diversa da com'è invece andata, una stagione assurdamente negativa che ha aspetti quasi grotteschi sul piano "infortuni", al solito tragicomici sul piano "decisioni arbitrali", e che, senza tenuta atletica e fisica, s'è progressivamente trasformata in un calvario.
"Ebbene, Camolese disse che "abbiamo l'obbligo di credere" alla salvezza.Un po' strano … tempo fa aveva parlato di vivere il proprio lavoro con passione, di voler arrivare al mattino presto alla Sisport, di lavorare duramente e di non andare via prima delle 18.00, oltre a lavorare anche durante il riposo. Così è stato, ma non è il solo a doverlo fare però, mi pare, e comunque accolgo di buon grado quest'ulteriore sincera prova di maturità dell'uomo.Solo che è il connubio, l'accostamento "passione"/"obbligo" che mi lascia un po' perplessa.Se lavori con passione, non ti accorgi del tempo che passa e la passione ti fa superare tutto, un po’ come un fuoco perenne sempre acceso. Se invece qualcuno sente un obbligo, evidentemente la passione, in quel momento, è necessariamente scemata o sta proprio da un'altra parte. Insomma, se è vero che oggi nel Toro, purtroppo, manca in molti la passione, è il momento di alzarsi e correre quanto più si può, non di lamentarsi, o di fare calcoli, o di chissà quali altre illusioni mentali. T'alleni, sudi, corri e via, basta … anche se gli avversari si fanno di “coca”, ahimè!Ecco, oggi mi piacerebbe sapere quanta passione c'è rimasta in questo Toro, oggi.Perché c'era una volta una squadra che cercava di lottare per i vertici e per traguardi ambiziosi anche senza avere la forza economica dei potentati pallonari italioti, sorretta da quella caratteristica peculiare denominata “passione”. E quella squadra era animata da un solo progetto, un solo desiderio: fare, e cercare di fare bene sempre, il meglio possibile in ogni circostanza, lottando e lavorando duramente in silenzio.Ma la passione di quei giorni, dov'è andata a finire oggi?Non c’è! Ecco perché con pazienza, senza cercare “un” colpevole, con responsabilità, senza dividersi in bande, ciascuna con il “suo” innocente, con calma, perché non è questione di giorni o settimane, con affetto, e non c’è bisogno di spiegare il perché, con il tempo e con un po’ di soldi, da trovare entrambi restando ancora un po’ in questa serie A quest’anno e provando a starci anche la prossima stagione; con il coraggio di correre qualche rischio vendendo e comprando, con la fantasia di cercare gente fresca, di testa, di piede e di nome, con tutto questo e non trascurando nulla di tutto questo, bisogna necessariamente rifare una squadra nei prossimi quattro mesi. Squadra da rifare nuova, perché quella vecchia da aspettare non c’è più e, se c’è, non basta più. Proprio la partita con il Milan, se non erano sufficienti quelle giocate prima, lo ha dimostrato: non è stato un crollo, una buca in cui si è caduti, è stato invece un limite, un muro contro il quale si è sbattuto. Non è stato il peggior Toro di questo campionato, è stato, più o meno, quel che il Toro è stato in tutto questo campionato. Prima di essere devastato da un Milan “devastante”, non era stato soltanto un brutto Toro inteso come gioco, ma molti giocatori hanno ormai chi a livello tecnico, chi per problemi fisici, chi invece per motivi caratteriali, consolidati limiti oltre i quali non vanno. E, con loro, oltre la squadra non va.Eppure, nonostante una rifondazione da attuare nei prossimi mesi, non tutto è ancora perduto. Andato, svanito ormai da tempo, per chi ancora ci credeva, il sogno di combattere per un posticino in Europa, ma il campionato resta ancora scalabile per quello che oggi è la nostra cima, il nostro Everest, ovvero il quart’ultimo posto finale, sempre e solo se i giocatori che scenderanno in campo nelle prossime partite avranno nell’animo sia la dedizione che la passione che fin’ora sono mancate.Servono al Toro nei prossimi mesi, giocatori che siano per il futuro quel che per il passato sono stati: invenzioni, intuizioni e progetti. Giocano nel nostro campionato non solo gli Ibrahimovic e i Kakà, ma anche i Pazzini e gli Jovetic, tanto per fare degli esempi. Ecco, serve gente così. Non questi ovviamente, non proprio questi che ormai altri li hanno presi e valorizzati, ma gente del tipo, ovvero gente che rimpiazzi sul terreno di gioco e non allunghi la panchina, che sostituisca il sangue granata e non allunghi il brodo insipido.Cambiare le ruote all’auto in corsa non è mai facile e ci sono almeno due cose che impediscono al Toro un pit-stop: la flebile situazione finanziaria della società e le aspettative dei tifosi granata abituati ad un rango da grande squadra. Allora bisogna guidare il mezzo sapendo che le gomme sono consumate, non saltare assolutamente sui cordoli e cercare di arrivare in fondo al Gran Premio aspettando il prossimo turno per provare a tornare sul podio. Appunto, la squadra da rifare. Succede, è una faticaccia e una scommessa, ma succede e non necessariamente deve coincidere con dramma e rovina, il calcio ricomincia sempre. Dunque, squadra da rifare, e non è la delusione tifosa che parla e inonda questo mio scritto alla vigilia dell’ennesimo match da dover vincere, al contrario è la serena speranza tifosa di un nuovo inizio. Nuovo inizio con cui non abbiamo appuntamento né domani con il Siena e nemmeno fra quindici giorni con il Bologna. Anche se non perdiamo in nessuno dei due incontri, anche dovessimo vincere in entrambi, non sarà quello il nuovo inizio. I punti in classifica da prendere contro le prossime avversarie sono il cibo e l’aria per cominciare il lungo cammino dei prossimi mesi per rifondare questo Toro. Atto dovuto per i tifosi che hanno dimostrato il loro amore, senza compromessi, a prescindere e questa è vera Passione, che a loro non manca e non mancherà mai.Forza Toro al di là del tempo e dello spazio.
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