“Gallipoli” non è propriamente il nome che un amante del calcio accosterebbe a “Torino”, né tantomeno a “Grande Torino”, se si trovasse incaricato di scegliere l'avversaria migliore per celebrare la squadra di calcio più forte di tutti i tempi. Ma siccome a scegliere gli abbinamenti non è la mano di nessun uomo, ma quella del destino, capita che nella gara più prossima alla fatidica data del 4 Maggio i granata si trovino a dividere il campo da gioco proprio con questa formazione dal nome che evoca tutt'al più spiagge&mare e dalla storia sportiva che si è sempre dipanata diversi piani più in basso rispetto a quella granata.L'attualità però dice questo; dice che il Toro, anziché i Lorenzi, Amadei e Nyers che affrontava negli stessi giorni di 61 anni fa a San Siro, oggi debba vedersela con Di Carmine, Artistico e Pederzoli. Il Gallipoli, sia detto per inciso, merita rispetto tanto nei propri giocatori (professionali pur lavorando in condizioni al limite del grottesco) quanto nei tifosi (numerosi ed appassionati, che applaudono, tutti in piedi, per l'intera durata dell'omaggio agli Eroi di Superga). D'altro canto, e così riemergiamo definitivamente dal bel tuffo nel passato, neppure tra le fila granata militano Mazzola, Gabetto e Maroso, ma Pestrin, Statella e D'Ambrosio.Ripartiamo proprio da qui: dagli uomini che ieri hanno vinto la propria partita. L'avversaria, l'abbiamo detto, era quello che era; batterla vuol dire aver fatto, probabilmente, niente di più che il proprio lavoro. “Lavoro”, già: una parola importante; la parola cui era dedicata la giornata di ieri, in tutto il mondo. Dei calciatori, di solito, si chiede “come hanno giocato, ieri?”, non “come hanno lavorato”. I professionisti del pallone sono dunque dei lavoratori, oppure no? Probabilmente sì, lo sono, e molto privilegiati. Poi, per alcuni maestri del passato, su un campo da calcio i giocatori si dividono in “campioni” e “mestieranti” (ossia, appunto, lavoratori). I primi, sono baciati dalla natura e trovano molto più facile riuscire in ciò che desiderano fare; i secondi devono sopperire al gap che li distanzia dai primi con corsa, impegno, applicazione... lavoro.Ecco, quasi tutti gli elementi dell'attuale Torino appartengono alla seconda categoria, con pochissime eccezioni. Paragonarli a chi lavora “davvero”, e tantopiù a tutti coloro che ieri avevano poco da festeggiare perché il lavoro è scomparso da un giorno all'altro, sarebbe offensivo verso la maggioranza della popolazione; ma i lavoraTori del pallone, ieri, hanno fatto il proprio mestiere. Niente di più; niente di eccezionale, sconfiggere il Gallipoli. Ma era il minimo, per onorare il Grande Torino, per onorare la propria professione e il propro stipendio, per onorare le persone che ieri sono andati ad applaudirli mentre facevano il loro lavoro. Hanno fatto gol due veri lavoraTori del pallone, non due campioni: un cileno che quand'era ragazzo sognava in grande e ora vuole affrancarsi dai bassifondi della Lega Pro, e un ragazzo veneto dai piedi poco fini ma dal cuore grande. Il pensiero di quest'ultimo, dopo la sua prime rete in carriera, è andato proprio lassù; ma prima di recarsi a salutare gli Invincibili, quelli che sì erano campioni, è volato da una persona molto più importante.Con quest'afflato il Toro dovrà continuare a fare il proprio Lavoro.
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Festa dei LavoraTori
“Gallipoli” non è propriamente il nome che un amante del calcio accosterebbe a “Torino”, né tantomeno a “Grande Torino”, se si trovasse incaricato di scegliere l'avversaria migliore...© RIPRODUZIONE RISERVATA
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