di Fabiola Luciani
toro
Generazioni a confronto
di Fabiola Luciani
Se penso a quante poche informazioni erano disponibili ai nostri nonni sul Toro, che pure già tanto era capace di rappresentare ... cerchiamo di renderci conto quale peso...
"Se penso a quante poche informazioni erano disponibili ai nostri nonni sul Toro, che pure già tanto era capace di rappresentare ... cerchiamo di renderci conto quale peso avessero le notizie sulla squadra e sulla società, del lungo tempo per recepirle e commentarle. L’unico fatto immediatamente circolante era quanto accadeva in campo e poi narrato dai presenti o dalle cronache; le iniziative societarie ed i provvedimenti amministrativi erano circostanze destinate a pochi membri decisionali diretti e poi trasmesse come atteggiamenti definiti e compiuti. Potevano essere accolti o criticati dai sostenitori ma in una dialettica lenta e veramente partecipativa, sicuramente discussi, compresi, analizzati.Oggi si ha un profluvio di notizie, spesso contraddittorie, in tempo reale, e i tifosi dispongono di mezzi di intervento immediato e ridondante ( perché individuale e privo di dibattito ), con cui contano di influenzare la dirigenza e sovente ci riescono, in quanto assunti non più come seguaci, ma come consumatori. Oggi un intervento pubblico e diretto di Cairo ad esempio, sarebbe polverizzato e sommerso da ondate di commenti istantanei, di interpretazioni, di rilievi e rilanci critici, perderebbe qualsiasi significato e non conterebbe nulla; a fine giornata non esisterebbe più. Piaccia o no, questo influenza la maggior parte possibile di tifosi granata o potenziali tali di oggi.C’è da sempre un dilemma che mi tormenta quando ascolto o discuto di Toro con tifosi di generazione diversa: essere o avere. Basta girovagare per le scuole, i bar, i club, oppure per i forum o tra le radio, ovunque si parli di Toro e di granatismo. Insomma, ovunque il popolo granata possa esprimersi. Per comprendere fino in fondo questo dilemma dell’alternativa contrapposta tra i tifosi dell’essere e quelli dell’avere, tutti noi supporter granata siamo chiamati ad affrontare il tema. Per individuare i due opposti dell’alternativa non serve nemmeno scomodare Erich Fromm e quel suo saggio che ha portato una generazione intera a riflettere, guarda caso quella che oggi ha visto per ultimo le imprese del Toro. La generazione dei tifosi del Toro dell’essere, quelli che fanno dell’appartenenza una ragione di vita, sempre e comunque aldilà del risultato. In linea di massima si può tranquillamente affermare che il popolo granata è da sempre tendente all’essere. I cori, le coreografie, le canzoncine, hanno sempre celebrato un’identità ben definita, un attaccamento alla maglia granata, nonché ai colori e alla Storia, piuttosto che alle ambizioni di trofei o di vittoria.Le tifoserie dell’avere sono facilmente individuabili da sempre tra le squadre con le maglie a strisce, perché sono loro che contestano continuamente le loro società, solo perché nel corso della stagione non hanno vinto nulla. Però il timore che la deriva del “Cairo vattene” porti a questo cambiamento d’identità, di cultura Toro, sta divampando in una parte del popolo granata.Riecheggia nella generazione dei tifosi quasi cinquantenni per difetto o per eccesso, l’invocazione di coloro che hanno visto il Toro trasformarsi in torello e che hanno goduto dei successi di allora, ma sono rimasti fedeli alle proprie origini, ovvero a quando andavano allo stadio per tifare il Toro, per difendere il Toro, qualunque Toro, anche e soprattutto nella sconfitta. Questi sono quelli che considerano questo modello dell’essere parte integrante, essenziale e indelebile, del proprio essere granata.Il “nuovo” tifoso Toro in questi tempi, dopo anni tormentati, è per me fondamentalmente un granata stanco. Stanco di doverle prenderle anche quando dovrebbe invece darle, di essere e d’indossare sempre e solo i panni dell’incudine e mai quelli del martello, di non avere mai quel maledetto centesimo per poter fare l’euro. Un granata che vuole vincere, perché non ha mai visto vincere nulla e che ha la netta sensazione, anzi la certezza, che con questa proprietà non vincerà mai. Che solo con la passione, il progetto, l’azionariato popolare, le giovani leve, si potrà sperare di vincere qualcosa, perché i tempi sono decisamente cambiati, il mondo si è evoluto, il calcio non è più lo stesso e tocca adeguarsi al radicale cambiamento. Che serva un qualcosa di “altro”, anche se ancora non è in grado di capire cosa sia questo ”altro”.“Cairo vattene”, “Urbano cancellati, eliminati, fai spazio” … anche se questa richiesta di spazio attira sciami di acquirenti dai contorni non definiti, quasi impalpabili e del tutto anonimi. Un “altro” che solo per essere considerato tale non potrà che essere vincente, in quanto la percezione dell’oggi è perdente e troppo negativa perché un nuovo presente possa essere considerato peggiore di quello attuale.Sia chiaro che l’aspettativa epicurea di vincere è perfettamente legittima e che la contrapposizione non deve affatto far pensare che il tifoso così detto “vintage” sia di conseguenza un perdente.Il problema è solo uno: a che prezzo?Il fatto è che le tifoserie che a suo tempo hanno segnato il passo passando dalla cultura dell’essere a quella dell’avere hanno pagato dazio. La trasformazione del tifoso in utente, o peggio ancora in “fan”, ovvero in tifoso senza tanti peli sullo stomaco, specie quando si tratta di scegliere la strada per la vittoria. Tifoso che a sua volta condiziona la sua presenza allo stadio, l’acquisto del merchandising, la sua stessa appartenenza, ai risultati raggiunti in una stagione, pronto quindi ad innamorarsi con le vittorie, come a disamorarsi dopo le sconfitte.“Noi siamo diversi” è l’obiezione comune che fanno i “nuovi tifosi”.Lo saremo anche col primo Ciuccariello che passa?Lo saremo anche senza porci quesiti nel sapere da chi e da dove provengono gli euro che spenderà e come si muoverà per arrivare ai risultati che tutti noi auspichiamo?Lo saremo se la proprietà capeggiata dal suo Presidente, privilegiasse il business alla passione?Si può continuare ad essere “diversi” se la società, i dirigenti, la cultura sportiva di una squadra cambiano sempre in continuazione?Ebbene, ritengo sia giusto ed importante un cambiamento perché noi vogliamo comunque essere diversi, ma nel contempo vediamo di alimentare quella nostra pervicace e antica ostinazione, il nostro conservatorismo radicale, perché abbiamo ancora tecnici e calciatori e perché no, un presidente da educare all’austerità, al rigore ( non al penalty ), alla bellezza, all’umanità; ma con un conto da saldare alla sopravvivenza.Niente mugugni, please, ma solo critica costruttiva attraverso i sistemi fuggevoli e chiassosi di oggi, o finiremo in un Museo meno pacchiano, ma di nobili ombre e di cadaveri eccellenti.Forza Toro al di là del tempo e dello spazio.www.babyfabiola.splinder.com
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