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Il mental coach e tifoso Cassardo: “Il Toro è una squadra di perdenti. E la colpa… “

Esclusiva / L'opinione di un esperto per capire cosa non va nella testa di società e squadra: "Belotti non è un fenomeno, deve ritararsi. I tifosi parlino meno e vadano di più allo stadio"

Marco Parella

Il Toro che si fa rimontare due gol dal Bologna in maniera tragicomica, il Toro che rischia la beffa con il Frosinone, ma anche il Toro che ha ormai una amara tradizione di gol allo scadere nei derby. “È un problema di testa”, si dice sempre. Ok, ma vogliamo fare qualcosa per risolverlo? Abbiamo chiesto di farci da guida in un viaggio dentro la mente di questo nostro Toro a un professionista del settore, Marco Cassardo, mental coach. E tifoso granata.

Partiamo dal Marco tifoso. Come hai visto questo inizio di campionato?

Si è di nuovo aperta la solita stagione dei condizionali: “se avessimo fatto questi due punti, se il Var non ci avesse tolto quelli”. Mi sembra il solito campionato che si ripete identico da anni e le prospettive sono abbastanza deprimenti, non c’è stata ancora una partita che mi abbia minimamente emozionato. Non mi sembra che ci siano i presupposti per fare una stagione diversa da quelle anonime e mediocri degli ultimi anni.

I condizionali rovinano il fegato ai tifosi, ma possono trasformarsi in alibi per una squadra. Come se ne esce?

Il Toro purtroppo è recidivo in questi cali di concentrazione, sembra quasi si siano inseriti nel nostro dna. Ti ricordo il 2-2 col Verona l’anno scorso o quello in casa della Spal. Da un punto di vista psicologico, quando accadono queste cose vuol dire che tu, giocatore, non sei più focalizzato sulla prestazione. Essere focalizzati sulla prestazione significa che per 95 minuti la palla che stai giocando è la più importante della partita, sei concentrato sul processo, cioè sul fare quel gesto al tuo meglio secondo per secondo. L’errore arriva quando invece sposti l’attenzione dal processo al risultato e inizi a pensare “stiamo vincendo”, “manteniamo il risultato”, “mancano solo 20 minuti”. La rimonta diventa praticamente inevitabile quando ti proietti sul futuro e distogli l’attenzione dal presente.

Non è solo un problema del Toro questo, ma il concetto è chiaro.

Vero, ma la storia dei derby degli ultimi vent’anni insegna. Perché le grandi squadre riescono a vincere al 97esimo? Perché sono sul pezzo dal primo all’ultimo secondo della partita. Perché dal punto di vista del focus attentivo, il terzo minuto è uguale al settantesimo o al novantatreesimo, a prescindere dal risultato. Così non è stato per i giocatori del Torino contro il Bologna: sembravano cadaveri in campo. La reazione di Djidji è da bar, il modo in cui Berenguer si “dimentica” di fare fallo sull’avversario lanciato a rete idem.

Ci sono altre componenti da considerare per provare a curare questo “male”?

Più in generale, il Toro è diventato una squadra di perdenti. Ci siamo consolidati come una squadra che non conclude nulla da vent’anni, l’emblema di un club che non ottiene risultati. Questo toglie la voglia, la rabbia. Ormai c’è il pensiero che se vinciamo bene, se non vinciamo pazienza, tanto i tifosi applaudono felici una sconfitta in casa contro una Roma che sta prendendo pallonate da chiunque, applaudono felici il bel gioco del Napoli. Se Sirigu avesse vestito la maglia di un top club, quel rinvio non l’avrebbe sbagliato perché avrebbe avuto inculcato in testa il pensiero che non puoi permetterti svarioni, che quella vittoria la devi portare a casa. Si è creata una logica inconscia per cui il Torino non deve per forza vincere, al Torino basta fare i suoi bei campionati da nono posto, l’Europa neanche dichiarata come obiettivo. Si è instaurato un clima molto riduttivo a livello di ambizioni. Manca la ferocia e un tempo non era così perché ho visto dei Toro scarsissimi entrare in campo per vincere, mai rassegnati.

Quindi una parte della colpa è anche dei tifosi?

I tifosi dovrebbero parlare di meno e andare allo stadio di più, perché è vergognoso che siamo dodicesimi per media spettatori dietro a Udinese, Bologna, Genoa, ecc…. Io vado allo stadio ogni domenica dal ’75 e gradirei meno banfate sulla tastiera e più presenza sugli spalti. E poi smettiamola di applaudire alle sconfitte. Il tifoso del Toro deve tornare a essere un tifoso caldissimo, ma esigente, deve farsi sentire, incavolarsi.

In tutto questo c’entra qualcosa anche l’allenatore?

Il Toro non gioca bene e Mazzarri, a mio parere, è un buon allenatore, ma eccessivamente prudente, quasi pauroso. Però non me la sento di colpevolizzarlo, perché ho visto cose inenarrabili anche con Mihajlovic e Ventura. Gli ultimi tre allenatori del Toro hanno personalità completamente diverse, eppure rimangono gli stessi problemi. Mihajlovic era proprio l’emblema del duro e invece gli avversari hanno continuato a rimontarci e prenderci a pallate. Nell’unico derby che stavamo vincendo, abbiamo preso un gol assurdo al 92esimo. Basta cercare capri espiatori, non si fa il bene del Toro ad addossare tutte le colpe a Mazzarri adesso. Credo che ci sia un discorso di mentalità Toro che vada risolto ai piani alti. Cairo non sta riuscendo a far passare l’immagine di una società vincente, tutt’altro, siamo dei perdenti. Servirebbero delle figure carismatiche nell’organigramma, ma non figurine, gente esecutiva. E poi uno staff adeguato per supportare i calciatori.

Effettivamente ormai quasi tutte le squadre professionistiche di tutta Europa si avvalgono di mental coach e psicologi. Il Torino com’è messo?

Alla Juventus sono trenta tra psicologi e mental coach, coordinati dal professor Vercelli dell’Università di Torino (anche responsabile della Nazionale italiana di Sci). Al Torino non sanno neanche di cosa stiamo parlando. A Cairo non interessa e questo, dispiace ammetterlo, non rientra nella logica di un club che vuole crescere. Il fatto che nel 2018 nessuno in società pensi che il calcio vada affrontato anche dal punto di vista mentale è grave. Soprattutto per una squadra come il Torino che ora ha dei palesi limiti psicologici, dei palesi limiti di identità, che ha smarrito la propria rabbia e non si sa più se è carne o pesce. Non funziona più entrare nello spogliatoio e urlare “tirate fuori le palle!” ai giocatori. È grave che il Torino sottovaluti questo aspetto. Bisognerebbe fare un discorso a più livelli, con non uno, ma uno staff di mental coach che inizi a lavorare già dalle giovanili.

È un quadro terribile al momento. Come si fa a recuperare l’identità tremendista?

Le domande sono due: Come siamo diventati dei perdenti? E, più importante, invece che piangerci addosso, come possiamo tornare a essere il Toro che faceva paura a tutti? Perché la nostra identità è sempre stata quella. Altrimenti il Toro di Giacomini imbottito di ragazzini non si sarebbe salvato e non avrebbe eliminato la Juve dalla Coppa Italia. Bisogna lavorare pesantemente sull’identità, ma la società è completamente assente.

Al di là di capire l’importanza dell’aspetto psicologico nel calcio e dotarsi di uno staff di mental coach, cos’altro potrebbe fare Cairo?

L’identità si recupera investendo sui patrimoni emotivi. In parole povere, gli stadi. Vogliamo fare uno stadio di proprietà? Lo sta facendo persino il Pisa… E poi vogliamo tirare fuori i soldi per un Filadelfia come si deve con un Museo granata all’interno e un’apertura garantita ai tifosi? È un grande lavoro, ma è questo che serve, non dare la colpa a Mazzarri o al giocatore di turno.

A proposito dei singoli, quello che forse avrebbe più bisogno di un supporto per uscire dal tunnel in cui è entrato già dalla fine dello scorso campionato è Andrea Belotti.

Finchè lui si percepisce come un attaccante da 26 gol a stagione, che vale 100 milioni e che deve dimostrarlo a ogni partita, non ne uscirà mai. Lui deve tornare a percepirsi come un buon attaccante, non un fenomeno, che ha tutte le carte in regola per fare i suoi 12-15 gol a stagione. Soltanto con una percezione più realistica di se stesso può lavorare con calma e magari segnarne anche 20 di gol. Ma deve fare un passo indietro, farsi aiutare e vivere la sua esatta dimensione, estraniandosi dall’ambiente esterno e dalle aspettative che hanno gli altri su di lui. Solo i fenomeni veri riescono a sopportare e poi confermare le aspettative a ogni partita, ma parlo di gente come Cristiano Ronaldo o Ibrahimovic. Belotti non è niente di tutto questo, deve ritararsi e ripartire dai suoi punti di forza.

Non c’è solo Belotti che accusa la pressione…

Alcuni giocatori del Toro sono solidi mentalmente, li vedi: penso a Sirigu, a Nkoulou, a Moretti. Altri sono insicuri già a partire dalla postura in campo: spalle basse, atteggiamento dimesso. È il caso di Baselli, ma anche di Lukic, per esempio.

Tutto molto chiaro, tutto molto triste. Una ricetta magica non c’è?

Servono volontà e amore per il Toro. Ma da parte della società.