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Il Toro è nato ‘tremendista’…non scordatevelo

Il tremendismo è centrale nell'epica e nell'etica granata. Il giudizio dei tifosi (positivo o negativo) su intere squadre si è basato su questo metro, su...

Redazione Toro News

Il tremendismo è centrale nell'epica e nell'etica granata. Il giudizio dei tifosi (positivo o negativo) su intere squadre si è basato su questo metro, su quanto i granata fossero “tremendisti”. Lo scopo di questo articolo è quello di ricostruirne un percorso archeologico, immergendosi nella storia del Torino fino alle sue più profonde stratificazioni. La tesi che si vuole difendere è la seguente: il Toro non è diventato tremendista in un dato momento della sua storia ma il Toro è nato tremendista.  Ovviamente il poco spazio di una rubrica non consente una trattazione esauriente: ci limiteremo per ora ad analizzarne solo alcuni aspetti, rimandando al futuro integrazioni che possano arricchire la ricerca. L'uomo che adattò il termine al Torino, Giovanni Arpino, ne diede la seguente definizione: tremendista «è il club che magari non vince grappoli di trofei, ma costituisce osso durissimo per chiunque. Una squadra di orgoglio, di rabbie leali, di capacità aggressive, mai vinta, temibile in ogni occasione e soprattutto quando l'avversario è di rango: tutto questo significa “tremendismo”». È opinione comune presso alcuni che questo atteggiamento sia figlio di Superga, quando giocare nel Toro voleva dire portare in campo un'eredità pesante, onorare colori gloriosi e una squadra imbattibile. Queste motivazioni avrebbero spinto le squadre granata a essere tremendiste, colmando deficit tecnici con la furia agonistica, facendo quadrato intorno a calciatori carismatici. Tutto ciò è vero solo in parte: il trauma e il mito del Grande Torino hanno fatto esplodere il tremendismo, mettendolo sotto gli occhi di tutti ma, dal nostro punto di vista, il tremendismo non è un'eredità di Superga. Il tremendismo è congenito, connaturato al Torino. La storia del Toro, infatti, non inizia negli anni '40 ma molto prima, nel dicembre 1906. Nella classifica perpetua del campionato italiano di calcio dal 1898 al 1929 il Torino occupa la terza posizione. Dato significativo, se pensiamo che nel 1929 il suo palmares consisteva in un solo titolo, il campionato 1927-28 (un titolo e mezzo in realtà, considerando lo scudetto revocato l'anno precedente per il caso Allemandi): davanti troviamo Genoa (1° posto e 9 titoli), Pro Vercelli (2°posto e 7 titoli), dietro Juventus (4°posto e 2 titoli) e Milan (5°posto e 3 titoli). Come spiegare questo piazzamento? Se è vero che dal 1907 al 1929 il Toro ha portato a casa un solo scudetto è altrettanto vero, va detto, che ha collezionato molti punti vincendo ben 204 partite su 353. Questi numeri dimostrano come il Toro sia stato, fin da subito, una realtà importante nel panorama calcistico nazionale: una squadra in grado di vincere, opporsi e imporsi a molti avversari. Nella stagione 1907 il Toro – matricola assoluta – si qualifica al girone finale del campionato e senza mai perdere una gara terminerà secondo, pareggiando con il Milan campione del torneo per ben due volte. Squadra rognosa e avversaria difficile fin dai suoi primi giorni: per arrivare al girone finale aveva eliminato i cugini bianconeri vincendo due stracittadine. Sarà proprio la Juventus la squadra che più patirà il Torino: pochi, infatti, saranno i derby vinti dai bianconeri prima del 1930. Il Toro, quindi, è una squadra che sa esaltarsi contro avversari blasonati: nel 1910 la Pro Vercelli dovrà giocarsi uno spareggio scudetto contro l'Inter (che perderà) grazie a una vittoria corsara, tremendista, della compagine granata: 1 a 0 a Vercelli, il 13 febbraio, contro la squadra campione d'Italia. Stesso destino per il Genoa che nel campionato 1913-14 impatta in casa contro il Toro, finendo a spareggiare (e a perdere) contro il Casale, luminosa meteora del calcio delle origini. L'anno successivo, invece, sarà ricordato come quello della beffa, la prima della storia granata. Durante la stagione il Toro conquista il girone e le semifinali nazionali, fino a raggiungere il girone finale. Può essere l'anno della svolta, della consacrazione, ma la Federazione decide di interrompere i campionati proprio sul più bello: il 23 Maggio (vigilia dell'entrata in guerra) salta l'ultima partita del torneo, Genoa-Torino. Il Genoa – in quel momento in testa al girone finale con 7 punti – sarà poi dichiarato campione d'Italia mentre il Toro – secondo a due punti dalla capolista – vivrà la delusione clamorosa di non potersi giocare il titolo sul campo, contro un avversario già battuto 6 a 1 meno di un mese prima. Quando il Toro tenta il salto di qualità, insomma, ecco comparire l'altra grande invariante della storia granata: la sfortuna. Nei primi campionati postbellici il Torino ritorna squadra da medio-alta classifica, osso durissimo per le pretendenti al titolo. Lo sa bene l'Inter che, pur vincendo lo scudetto nel 1919-20, si vedrà bloccata dai granata in un rocambolesco 6 a 6, mentre il 9 ottobre 1922 sarà la Pro Vercelli, campione in carica, a piegare la testa perdendo la partita d'esordio 2 a 0 contro il Toro. Anche nelle felici stagioni degli anni '20 si ricordano pagine di alto tremendismo, come il campionato 1928-29 in cui il Toro campione d'Italia vende cara la pelle, consegnando lo scudetto al Bologna – che si sta attrezzando a diventare «lo squadrone che tremare il mondo fa» – solamente nello spareggio finale (dove i felsinei vinceranno segnando a 8 minuti dalla fine). Questa piccola galleria di risultati e classifiche dimostra come il Toro sia tremendista da sempre. Da matricola terribile nel 1907 fino alle stagioni vittoriose di fine anni '20, i granata hanno affrontato e vinto molte delle squadre che hanno insegnato e consacrato il calcio nel nostro paese. Contro squadre blasonate il Torino ha sempre saputo scendere in campo per difendere rabbiosamente il proprio orgoglio sportivo, la propria maglia, superando il gap tecnico con la grinta.   Roberto Voigt