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L’adrenalina del gol

di Michele Ferrero

Uno dei compiti assegnati fin dall’inizio a questa rubrica è quello di andare oltre il risultato, ovvero di approfondire l’analisi di una partita senza farsi condizionare dal lato...

Redazione Toro News

di Michele Ferrero

Uno dei compiti assegnati fin dall’inizio a questa rubrica è quello di andare oltre il risultato, ovvero di approfondire l’analisi di una partita senza farsi condizionare dal lato emotivo. Col senno di poi, ed i punti in tasca, noi tifosi tendiamo ad esaltare la prestazione della squadra, oppure a lamentarne la mancanza di attributi in caso di sconfitta. Anche se magari tra le due prove non c’è una grossa differenza in fatto di occasioni prodotte e concesse.

Non vi verrò quindi a raccontare che i ragazzi di De Biasi hanno fatto a Roma una gran partita. Non l’avevo fatto dopo Messina ed ero stato criticato da qualche forumista: ma come, vinciamo 3 a 0 fuori casa e non dobbiamo esaltarci? Il diritto alla gioia è sacrosanto, il dovere di stare in campana anche, come le partite seguenti hanno purtroppo dimostrato.

Ora il traguardo salvezza, l’unico che andava preso in considerazione quest’anno, è più vicino, ma i limiti di questa squadra emergono evidenti ogni qual volta scende in campo. E’ successo anche a Roma, ovviamente, pur accompagnati da una concentrazione tenuta alta. A differenza del Milan, i giallorossi non possiedono però quel tipo di personalità che da sola mette in soggezione facendo tremare testa e gambe.

Il fatto che invece dello 0 a 0, sognato e preparato, sia arrivata addirittura la vittoria dipende da qualche episodio: abbiamo visto finalmente Muzzi di punta (un bomber di razza è ancora capace di sfruttare con mestiereun errore difensivo) ed avuto la buona sorte dalla nostra. Perché 3 legni, quelli che ha colpito la Roma a portiere battuto, sono tanti. Noi reduci di Amsterdam lo sappiamo bene, ed anche quest’anno ci è capitato più volte di recriminare.

Ho comunque enormi difficoltà, essendo tifoso di questo fantastico colore granata che ancor oggi ci sa commuovere, a raccontare questa gara. La più importante per la sopravvivenza, quella che, se fallita, avrebbe certificato la nostra condanna.Ci provo, dopo averla riguardata, il giorno dopo. A caldo non mi è stato possibile buttare giù una sola riga, pervaso dalla tensione di una sofferenza interminabile, ma anche dalla gioia immensa.

Accolto con comprensibile scetticismo, l’impiego in mediana del legnoso Di Loreto si è rivelato utile. E questo indipendentemente dal risultato e dalle giocate individuali, a volte lucide altre assai meno. Un retropassaggio nei primi minuti, per esempio, avrebbe potuto compromettere tutto, ma il suo peso sulla gara è poi risultato superiore alle aspettative.

Tatticamente la posizione di Di Loreto è stata una novità, ma solo per quest’anno. Non certo in senso assoluto, ricordo infatti che altri tecnici italianisti come Reja e Mondonico sono ricorsi varie volte ad una mossa difensiva di questo tipo. Tenendo un giocatore che si muove orizzontalmente davanti alla difesa a 4, con l’incarico di prendere a uomo i centrocampisti che si inseriscono partendo da lontano, si corre il rischio di sprecarlo. In ogni caso si rinuncia in partenza ad un altro elemento più avanzato, e quindi a ripartire in modo pericoloso quando si conquista palla. Specialmente se il giocatore è un difensore e non un centrocampista di buon piede, diventa possibile esclusivamente difendersi. Ma il jolly pescato da Muzzi dopo pochi minuti, ha dato un senso a questoatteggiamento, che la reazione degli avversari avrebbe provocato comunque. Senza contare l’adrenalina entrata nelle vene dei nostri, che si è sostituita alla paura delle ultime settimane. Solo il gol (e forse il sesso) ha questi poteri miracolosi: se lo avessimo per caso trovato contro Siena e Milan probabilmente non avremmo accusato i nostri giocatori di mollezza. Così come non facendolo oggi (finendo magari per subirlo) avremmo parlato di squadra rinunciataria e senza attributi. Il problema di base è che questo Toro punge poco, ed allora è stato spesso obbligato a giocare per non prenderle. E molte volte non ci è riuscito, per questo non ci ha autorizzato ad un sano ottimismo.

La Roma di Spalletti, tecnico che va molto di moda ma che dispone comunque di troppi validi giocatori per piangere miseria, era priva di De Rossi, Pizarro ed inizialmente anche Mancini, elementi che esaltano l’imprevedibilità del suo modulo. Il fatto che fosse appagata dalla goleada di 3 giorni prima e che quindi agisse a ritmi più bassi del consueto, ha senza dubbio facilitato il piano di De Biasi, ma i meriti dei nostri giocatori, caratteriali e tattici, rimangono. E i due aspetti sono sempre legati, nel senso che tramite lo spirito di sacrificio si aiutano i compagni: una tattica prende corpo quando la si applica tutti insieme.

Di Loreto ha aspettato Faty e Perrotta (schierato mediano) vedendoli arrivare da lontano e prendendoli a uomo, con Ardito ad aiutarlo sul più vicino Taddei (guastatore centrale al posto di Perrotta). Il centro è stato particolarmente curato, ma anche De Ascentis e Rosina, seguendo Cassetti e Tonetto, hanno contribuito a chiudere gli spazi rimasti sulle fasce: Comotto e Balestri si sono comunque trovati a fronteggiare numerosi uno contro uno, ma senza spazi per essere puntati in velocità. Non sono mancati i cros, per fortuna solo dalla trequarti e raramente dal fondo. Il fatto che i nostri sono parsi disposti anche a mettere la palla in angolo deliberatamente (15 alla fine i corner contro) ha denotato fiducia nella propria organizzazione difensiva, specialmente sui palloni alti.

Accettando molti duelli individuali ne è venuta fuori una gara di altri tempi, con i granata a formare un catenaccio da far impallidire il paron Rocco. Per il quale spazzarla via lontano non era un disonore. Franceschini ha ringhiato su Totti, Brevi ha agito quasi da libero classico e Muzzi si è dannato per impegnare i centrali e non farli troppo salire (Chivu in particolare sa colpire quando viene avanti). Un aiuto è saltuariamente arrivato perfino dal signor Barone. L’ingresso nel secondo tempo di Stellone, abbastanza statico anche prima del guaio muscolare che l’ha poi inchiodato, mi ha ulteriormente fatto apprezzare Muzzi.Non solo per la prova di giornata, ma più ancora per il modo di vivere il Toro.