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Le Loro storie, Mauro Bonomi: “Spigoloso, martellante, un Messia. Chapeau, Mondo”

Il selfie, come da tradizione de Le Loro storie, che ci manda Mauro Bonomi. Ecco com'è oggi.

Esclusiva / La confessione di un duro dal cuore sincero come l'ex difensore granata (e cagliaritano): "Ci scontravamo perchè voleva farmi crescere. Porto tanto di lui con me nella vita"

Marco Parella

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Questa è una puntata un po' speciale di "Le Loro storie". E speciale è detto nell'accezione più positiva e gioiosa possibile. Perchè di gente come Emiliano Mondonico non ne nasce tutti i giorni, ancor di meno di simboli come lui. Mauro Bonomi appartiene forse più di quanto si riconosca lui stesso in quel calcio valoriale che è esistito sul serio al tempo del "Mondo", non solo nei ricordi di quattro vecchi rincitrulliti. Mauro Bonomi era un beniamino dei tifosi perché dava tutto. Come il "Mondo". Perchè era trasparente, genuino e passionale, come il "Mondo". Sono di Cremona entrambi e con queste poche parole, Mauro ci spiega perché è stato così importante per lui un allenatore di provincia che ha incrociato per sole due stagioni.

Dal momento in cui ho saputo la notizia non ho chiamato nessun mio ex compagno di squadra, no, non li ho sentiti. Sono uno che non ha mai frequentato i compagni al di fuori del campo. In spogliatoio cercavo di fare gruppo, ma nella vita ho sempre tenuto separati il calcio e le amicizie. Non sono un solitario, ho coltivato rapporti veri e sinceri in ogni città in cui ho giocato. Gente che non mi stava vicino perché ero un calciatore, ma che invece mi faceva capire quando sbagliavo. Fino a oggi mi sono portato dietro quelli, pochi ma buoni.

Sono uscito completamente dal mondo del calcio. L’ho sempre considerato un hobby, un sogno che sono riuscito a realizzare, ma sempre conscio che sarebbe finito e ci sarebbe stata ad aspettarmi una vita da affrontare. Il grosso problema di molti è che non si preparano per il “dopo”. Da più di dieci anni gestisco il ristorante di un mio amico a Milano Marittima e ho trovato la mia dimensione, la mia realtà; ho la mia famiglia, due bimbi e sto da Dio. Sono sempre stato tanto aggressivo in campo, quanto timido e schivo fuori. Forse andavo in campo proprio per sfogarmi.

 Due degli allenatori più amati dal popolo granata: Mondonico e Camolese

Il Mondo mi ha insegnato tante cose. Era di Cremona come me, innanzitutto. Di Rivolta d’Adda lui, di Soresina io, per la precisione e prima di averlo da allenatore al Toro l’avevo incontrato qualche volta e ci eravamo fermati a parlare di pallone e della nostra terra. Di lui mi ero fatto l’idea di una persona carismatica, sicura di sé e competente per quanto riguarda il calcio e soprattutto la vita. Intendo dire che aveva dei valori giusti, ma non solo quelli della famiglia del Mulino Bianco. Portava in sé anche quel pizzico di sregolatezza che serve in un rapporto famigliare o con gli amici. Queste cose però me le conservo egoisticamente, godiamocelo per quello che hanno potuto apprezzare tutti, che è molto.

Era molto schietto, ti metteva davanti alle tue responsabilità e, se eri uno con le palle, dovevi dimostrarlo. Stavamo perdendo uno a zero contro la Fiorentina: in spogliatoio disse che la colpa era di Bonomi perché aveva segnato Batistuta e Batistuta lo doveva marcare Bonomi. Era una verità, una di quelle che ti fa maturare, che forse non ti fa dormire quella notte, ma che ti aiuta a far meglio la prossima partita. Io sul momento mantenni la calma. Una calma incazzata, diciamo. Non ci dormii due notti, ma col tempo ho capito che aveva ragione e che dovevo migliorare. Per carattere, io non dormivo se vincevamo cinque a uno e segnava il mio uomo, figuratevi se addirittura perdevamo.

Il Mondo mi ha aiutato molto a responsabilizzarmi. A molti può essere sembrato che con i suoi modi sfasciasse lo spogliatoio, ma lui voleva solo spronarci. Se non eri tra i titolari era dura sopportare i suoi allenamenti perché cercava sempre la reazione da quelli che non giocavano, a volte in modo brusco; e dovevi essere veramente uomo per venirne fuori. Ad esempio, il giovedì, quando c’era l’amichevole, lui divideva la squadra in due: i titolari si allenavano al mattino e poi erano liberi, gli altri giocavano la partitella e ci si rivedeva il giorno dopo. Voleva insegnarci ad affrontare gli ostacoli e le incazzature, perché poi nella vita le difficoltà arrivano e quando smetti di giocare entri in un mondo in cui non c’è più uno spogliatoio o un mister che ti possono dare una mano. Sei solo con te stesso. Io ho capito tardi che quei suoi atteggiamenti che allora mi apparivano distruttivi, in realtà avevano lo scopo opposto.

Io ero uno dei privilegiati, nel senso che quando dai sempre il 200% in partita e durante gli allenamenti, ti guadagni  il rispetto di tifosi e allenatori. Ai sanguigni si perdona anche qualche errore. Agli Annoni, ai Policano, a quelli che sputano sangue, a quelli che non ci stanno, che vanno contro anche all’evidenza perché hanno troppo cuore, carisma. A quelli che cercano di non arrendersi mai. Perché i miracoli ogni tanto succedono, ma quando arrivano tu devi essere pronto ad approfittarne. Il Mondo era una persona così e in questo modo verrà ricordata da tutti, dai tifosi delle squadre in cui è stato e non solo. Il Mondo è il Mondo, ci sono poche parole da dire.

Era spigoloso, come i grandi allenatori devono essere. Non credo che Ancelotti abbia vinto solo con la carota perché ci sono delle circostanze in cui devi per forza usare il bastone, altrimenti la squadra ti mangia. Il ruolo di allenatore è molto più logorante di quello del calciatore perché sei sempre sotto la lente d’ingrandimento dei giocatori che osservano ogni mossa, valutano ogni parola. Dopo la doccia non pensi in quale ristorante andare a cena, ma alla domenica successiva, a come motivare un ragazzo che ti è sembrato particolarmente scarico, se giocare a tre o a quattro. Non stacchi mai e ti logora perché tu non scendi direttamente in campo e allora devi sperare che Bonomi marchi bene Batistuta, altrimenti le colpe sono tutte tue, non di Bonomi. Aveva ragione lui.

Quel concetto di indiani e cowboy, il Mondo ce lo ripeteva a ogni partita, a ogni allenamento. Sempre, sempre, sempre. A tal punto da scontrarsi coi giocatori, ma è una caratteristica che io apprezzo in una persona. Apprezzo uno che si confronta con me, che dialoga con me. Perché quei momenti ti fanno crescere, ti insegnano e ti segnano. Ho sempre rispettato la figura del mister e cerco di inculcare lo stesso tipo di atteggiamento nei miei figli. Uno dei due gioca a basket e quando mi parla di ciò che gli ha detto di fare il suo coach, io sto zitto. Ci convivo anche se non sono d’accordo e anche se mio figlio arriva talvolta a mettere il coach davanti alla figura di me come padre. La parola dell’allenatore è legge. Quando sei all’interno di uno spogliatoio, lui è il Messia. E se tu pensi che sia giusto andare a sinistra, mentre lui ti dice di andare a destra, stai zitto e vai a destra. E io andavo a destra col Mondo.

 FLORENCE, ITALY - MAY 28: Emiliano Mondonico former manager of ACF Fiorentina during the Serie A match between ACF Fiorentina and Pescara Calcio at Stadio Artemio Franchi on May 28, 2017 in Florence, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Quando ero un ragazzino e andavo in curva a tifare la Cremonese, in panchina c’era lui. Non mi sarei mai aspettato di fare il calciatore nella vita perché, pur essendo nelle giovanili di una squadra che ha sempre puntato a valorizzare i giovani, quanti ne escono ogni anno? E spesso non esce neanche il migliore: io avevo compagni molto più forti di me, ma per colpa di una donna, per la droga, per la fatica, la bella vita, ecc… si sono persi e in Serie A sono arrivato io. Sono stato semplicemente quello più focalizzato sull’obiettivo.

Essere allenato da Mondonico è stato un bellissimo “di più”, essere allenato proprio dal mio idolo di giovinezza, da uno di Cremona per di più. Parlavamo la stessa lingua, in campo e fuori.

Il Mondo è stato un allenatore che si è sempre aggiornato su metodi e tattica, non era solo un motivatore. Prova ne è che pur non avendo mai guidato uno dei cosiddetti “top club”, ovunque sia stato ha dimostrato di potersela giocare contro tutti. Io che l’ho avuto, posso dire che è stato un grande, lo è stato fino alla fine e lo sarà ancora, perché mi ha dato qualcosa. Anzi, mi ha dato molto in quei due anni al Toro. Lo porterò sempre con me nella vita, quella extra calcistica.

Il Mondo era uno che ha sempre lottato contro tutto e tutti, in ultimo contro la malattia.

Chapeau.

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