"«La sconfitta subita può avere conseguenze gravi per il Torino. È lo spettro della retrocessione che torna a comparire all'ultimo momento, dopo che i punti racimolati qua e là avevan fatto i rinascere ai numerosi ed appassionati seguaci della squadra granata le speranze di potersi oramai ritenersi al sicuro. La squadra va male. Essa è giunta ormai alla fine della stagione senza aver nessuno dei problemi che si erano presentati all'inizio, anzi avendone aggravati taluni ed avendone fatto sorgere altri. Il corpo granata è quello di un ammalato che ai mali fisici aggiunge quello morale, della demoralizzazione. Non v'è, nel gioco granata, né velocità né convinzione, né tecnica né coraggio, né tattica né calma. V'è la volontà sola di uscire dal marasma, di giungere illesi alla fine di questa brutta stagione per potersi riorganizzare. A vederla all'opera ieri, a seguirla con l'occhio più benevolo, poco, ben poco, si trovava di buono da rilevare, all'infuori della sicurezza di rimando dei terzini. I mediani apparivano sbandati e privi di vera chiarezza d'idee e gli avanti non si comprendeva come potessero sperare di segnare. Eppure gli elementi per dare vita a un'attività di discreta levatura non mancano e la volontà, ripetiamo, non fa difetto a giudicare da come gli uomini si prodigano. Vecchio Torino dal passato tecnico e dalle nobili tradizioni, forza!»
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Toro: gli ultimi istanti del 1933-34
Vej Turin / Due stagioni d'inferno parte uno: Prendere la salvezza per i capelli
"Questo ampio stralcio dell'articolo scritto da Vittorio Pozzo l'indomani della sconfitta patita dalla Roma, il 26 aprile 1934, per 6-3 al Filadelfia, rende l'idea dello scoramento dei tifosi, della crisi e dell'involuzione della squadra granata nella stagione 1933-34. Con la sconfitta contro la Roma, il Torino veniva ributtato nella parte calda, caldissima, del fondo classifica. Lì, in quegli ultimi giorni di aprile, oltre alle retrocessioni illustri di Casale e Genoa (allora Genova, data l'avversione del regime ai nomi e ai retaggi stranieri) quattro squadre si trovavano a ballare sul bordo del vulcano: Padova, Palermo, Brescia e appunto Torino. Tutto rimandato agli ultimi 90 minuti dove i granata avrebbero affrontato in casa l'Ambrosiana.
"In casa il Toro resse bene tutto il campionato, e questo già poteva essere un sollievo nelle menti dei tifosi nei giorni precedenti la gara, conquistando 23 punti tra le mura del Fila. Non il massimo, ma un buon bottino. Ciò che veramente mancò ai granata quella stagione, pallottoliere alla mano, furono i punti in trasferta: solo 6 in tutto il campionato, troppo pochi per non meritarsi la zonaretrocessione. Il 29 aprile l'Ambrosiana, che già in passato al Filadelfia aveva vissuto dei brutti quarti d'ora, scese sul campo del Toro nel tentativo di tenere acceso il lumicino delle speranze scudetto. Per tutto il campionato la squadra nerazzurra si era alternata in vetta alla Juventus, per poi inseguire i bianconeri in primavera e arrivare a fine aprile separata solo di due punti. In realtà,possibilità che la Juventus perdesse lo scudetto non ve ne erano, ma in ogni caso il ruolo dello sfidante andava onorato fino in fondo. Ciò che non calcolarono i milanesi fu però la grinta granata, il cuore Toro di una squadra che iniziò a caricare, testa bassa, per sconfiggere ancora una volta l'avversario in casa propria e assicurarsi matematicamente la permanenza in A. Come da copione le due squadre giocarono la gara tra la pioggia e il fango, e come da copione non mancò subito l'episodio: gol fantasma di Prato (fuori o oltre la linea di porta? Non si seppe mai) non convalidato già al quarto minuto. Al diciassettesimo il Toro passò in vantaggiò: lancio di Janni in area, il marcatore nerazzurro di Zacconi scivola sul fango lasciando al granata tutto solo il tempo di mirare e colpire a rete. Al trentesimo l'Ambrosiana conquistò il pallino del gioco per una decina di minuti, ma inutilmente: Meazza e Levratto era come se non fossero scesi in campo e i nerazzurri furono tenuti a bada dalla difesa granata. Nel secondo tempo l'arbitro annullò il secondo gol di Zacconi, tra le proteste granata, per fuorigioco. A quindici minuti dalla fine l'Ambrosiana batté un calcio di punizione dal limite. Tiro nello specchio, Bosia deviò direttamente su Levratto che, quasi un rigore in movimento, calciò alto sopra la traversa. Il Filadelfia tirò un sospiro di sollievo. Al triplice fischio i tifosi applaudirono all'unisono, mentre in campo i calciatori del Toro si abbracciarono, fecero capriole nel fango, salutarono i tifosi e in poche parole fecero festa. Il Torino era salvo.
"Una salvezza conquistata nel girone di ritorno, dopo un'andata da infarto: al termine delle prime 17 partite i granata erano infatti penultimi a 13 punti. Una squadra imperfetta, incapace di capitalizzare il gioco prodotto, con delle sbavature, ma non una squadra di brocchi: tutt'altro. Questo il Torino della stagione 1933-34: una squadra frustrante per i suoi tifosi, ogni volta costretti ad assistere al naufragio delle proprie speranze, alla mancata realizzazione in gara dell'ottimo potenziale della squadra granata.
"Nel gennaio del 1934 aveva fatto il suo esordio in maglia granata anche Cinto Ellena che, giovanissimo, sulle tribune del Filadelfia visse la gara d'inaugurazione, quasi dieci anni prima. Forse avrebbe desiderato una stagione migliore per esordire, ma il mediano non poteva sapere che anche il campionato successivo sarebbe stato vissuto con l'incubo della retrocessione.
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