“La stupidità ha fatto progressi enormi, ridicolizzando il buon senso”
Loquor
Il j’accuse di Jurgen Klopp contro il Mondiale per Club
Ennio Flaiano
Lo confesso, non ho mai amato molto Pep Guardiola, quella sua tendenza sacchiana ad auto incensarsi, a non riconoscere di essere stato molto fortunato ad esordire su una delle panche del grande calcio trovandosi nel roster gran parte della generazione d’oro spagnola, più la stella nascente quasi apolide di Lionel Messi, che porterà agli iberici un titolo mondiale e due titoli europei. A questa capacità di mettersi ogni volta nella posizione di colui che profetizza, del Tiresia 2.0 a cui tutti devono sperare prima o poi di abbeverarsi in saggezza, dell’essere sempre pronto a dire sempre la parola giusta che la coscienza mainstream si aspetta. Non deborda mai, e ha un uso sapienziale della retorica presente sui social, che sarebbe da studiare nei corsi di comunicazione di ogni ordine e grado. Frasi brevi, ragionamenti che sembrano digitati su uno smartphone e poi trasferiti nel suo cervello, comprensione per tutti, che diventano botte per tutti coloro che non si allineano ai desiderata delle entità che da sempre lo proteggono e lo incensano. Guardiola è quel film così atteso dal pensiero dominante, che ha successo prima ancora di essere girato e di arrivare nelle sale. A Roma, molto più semplicemente e prosaicamente, lo chiamerebbero “er paraculo”. Attento ad accendersi di luce quando occorre, e a spegnersi rapidamente quando il pericolo di essere travolto dalle sinapsi maleodoranti di ogni tipo di mondo sotto di lui si approcciano pericolosamente. Ammetto, quindi, di avere un pregiudizio negativo quando mi accosto a parlare di questo allenatore, che promette da una vita di venire ad allenare prima o poi il Brescia, per ragioni assai strombazzate ovviamente sentimentali, ma che potete star certi come tutto finirà alla stessa stregua delle intenzioni del Walter Veltroni di trent’anni fa, quello che prometteva di andare a vivere in Africa al compimento dei suoi sessant’anni. Di sicuro in gioventù è stato fiero della statua di Cristoforo Colombo posta tra la fine della “Ramblas” e il “Passeig de Colom”(chiaramente per i Catalani il navigatore genovese è spagnolo. Vecchia questione che non finirà mai), ma se oggi si trovasse di fronte alla fronda anti storia occidentale della “cancel culture”, in voga nei campus universitari della aristocratica “Ivy League”, lo si vedrebbe dichiararsi comprensivo con chi alla fine delle “Ramblas” auspica ci si possa mettere qualche altra cosa al posto del ricordo dello scopritore delle Americhe. Nella vita si cambia idea, anzi molte volte è utile e persino sano farlo, ma è il percorso a stabilire la nobiltà del cambiamento. Altrimenti è solo fare retorica in attesa di cogliere le opportunità che la vita offre a chi ha la possibilità di sedere sempre al desco giusto.
LEGGI ANCHE: La Tv è stanca del calcio
“Pepino” in questi giorni si è acceso come la Torre Eiffel il 14 di luglio, prendendosi in carico di dare una lezione comportamentale non solo a Jurgen Klopp, ma anche al resto del globo. Soprattutto al resto del globo. E allora quando l’ex allenatore del Liverpool se ne è uscito con una intervista molto indignata contro la Coppa del Mondo per Club della Fifa, attualmente in corso nel caldo rovente del “parallelo” americano, accusandola di essere una invenzione artificiale di cui nessuno avvertiva il bisogno e di essere strumento di tortura fisica per dei giocatori esausti dalla mancanza del giusto riposo, “Pepino” si è sentito chiamato in causa, e ha deciso di dare lustro ai motivi per cui è giusto giocare questa creatura voluta dall’avidità di potere di Gianni Infantino. Con la spocchia di chi ha fatto spendere, negli ultimi anni di mercato, quasi un miliardo e mezzo di sterline alla scarsella senza fondo di Mansur bin Zayed Al Nahyan, reo di aver deciso un giorno di comprare il Manchester City, il “rivoluzionario del domingo” nato centrocampista e divenuto genio sulla panca, ha usato come argomento di tutti coloro che non amano essere criticati o contraddetti, il sentimento della gelosia e dell’invidia: “moltissime squadre si lamentano di queste competizioni perché non sono qui”. Anche l’idolatria, che non ammette ombre per definizione, sovente si rifugia nella cala sicura di questi sentimenti respingenti, per oscurare qualsiasi dibattito sulla natura dubbia dell’idolatrato/a. Si potrebbero fare molti esempi, ma restiamo sulla kermesse iridata per club e su “Pepino” postosi a difesa del “Passo di Roncisvalle” di Infantino pagato a piè di lista, roba da far scattare un applauso entusiasta a Ludovico Ariosto. Klopp è un tipo notoriamente gioviale, ma privo dei bizantinismi tra l’intellettuale e l’esoterico a corredo della psiche di noi latini, e quindi ha la tendenza di arrivare subito al punto: “ capisco che per alcuni i club i soldi siano tanti, ma non è così per tutti. I giocatori non hanno più tempo per recuperare, né fisicamente né mentalmente… un giocatore della NBA(basket americano) guadagna tanto e si riposa quattro mesi all’anno”. Quest’ultima considerazione dell’allenatore tedesco è interessante, e con un sottotesto abbastanza chiaro: se il monte ingaggi di una squadra come i “Boston Celtics” si compone di 234 milioni di dollari circa e quello dell’Inter di circa 140 milioni di euro, perché i giocatori americani possono riposarsi quattro mesi l’anno e quelli italiani si sono dovuti sobbarcare l’estenuante torneo iridato per far avere al club dei milioni di euro utili a rimpinguare le sue casse sofferenti? Cosa non funziona nella catena di valore del calcio, e soprattutto cosa ci nascondono sul suo dipanarsi?
LEGGI ANCHE: Lo sceicco o il fondo di investimento?
“Pepino” su queste parole di Klopp finge di cadere dal pero, e quando il “mainstream” non lo dota della risposta utile per cavarsene fuori in gloria, risponde con il classico clichè “obbedivamo solo agli ordini” usato in “abundantia” dagli imputati del “Processo di Norimberga”: “ora si è fatto da parte(Klopp) come allenatore e capisco le sue argomentazioni, perché le difenderei anch’io(qui è di un paraculismo memorabile). Allo stesso tempo, come allenatori, abbiamo un lavoro. Seguiamo le regole della Fifa, della Uefa e della Premier League”. Cosa gli vuoi dire ad un circumnavigatore della supercazzola così? Ti togli il cappello e aspetti con ansia la sua prossima esibizione verbale, avendo cura di non dimenticare la sviolinata da crotalo temperato al collega tedesco: “… i suoi commenti non mi hanno sorpreso molto. Lo capisco. Lo rispetto. Ho avuto un rapporto incredibile con Jurgen per molti anni come rivale”. I tedeschi notoriamente hanno un rapporto complicato con l’ironia, sarà per l’aurea da “Foresta Nera” a fare da sempre capolino su di loro, e il buon Jurgen non deve aver preso bene questo tentativo da parodia del “Don Chischiotte della Mancia” portata avanti con perizia da “Pepino”, per cui ha sottolineato una previsione preoccupante: “temo una ondata di infortuni mai vista. Si pretende che giochino ogni partita come fosse una finale, 70 0 75 volte l’anno. Non si può andare avanti così. Senza pause, anche il prodotto perde valore”. Klopp ha ragione e in modo oggettivo, il problema è che parla ad un mondo di sordi e di pareti gomma dove tutto rimbalza. “Il mondiale per club è una follia assoluta.
LEGGI ANCHE: Il no di Claudio Ranieri scatena Arrigo Sacchi
E’ la peggiore idea mai implementata del calcio”, queste parole sono una invettiva da furore, si capisce quanto l’attuale dirigente del gruppo sportivo “Red Bull” non abbia nessuna voglia di indorare la pillola a l’unico vero colpevole di tutto questo circo nato dall’archetipo del film “Rollerball”. Nel calcio voluto da Infantino e dai suoi sponsor qatarini( ha portato pure la sua residenza a Doha, l’ineffabile “Mr Bean” della Fifa) non è prevista la figura dell’atleta e del calciatore, ma del gladiatore alla carta pronto ad immolarsi ad ogni tipo di idea di fatturato. Intanto dal Qatar stanno provando, e vedrete che ci riusciranno, ad organizzare l’edizione del 2029 di questa kermesse iridata da incubo, e ha buttato sul tavolo la sua carta vincente da “mainstream”: il suo sarebbe un mondiale a impatto zero sul clima, al contrario di quanto sta accadendo in questi giorni in Usa, con le squadre continuamente in volo per tutto il territorio americano al fine di raggiungere le undici città designate per lo svolgimento delle partite. In Qatar invece tutto si svolgerebbe a Doha, ma da disputarsi in inverno analogamente ai Mondiali del 2022. Alla notizia rilanciata dal “The Guardian” le stanze europee del “Green Deal” e Greta Thunberg hanno avuto un sussulto di soddisfazione: finalmente qualcuno gli da retta. E mentre Gianni Infantino si frega le mani come Salomè davanti a Giovanni Battista di cui vuole assolutamente la testa tagliata, una domanda sorge spontanea: ci sarà Pep Guardiola nell’edizione qatarina del 2029? O in quel periodo starà concludendo la sua carriera con la missione nostalgia a Brescia? Secondo me “Pepino” non si farà sfuggire un torneo iridato a impatto zero sul clima. Voi che dite?
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il tuo commento verrà moderato a breve.
Puoi votare una sola volta un commento e non puoi votare i tuoi commenti.