“Accetta la sconfitta come un segnale che i tuoi progetti non erano validi”
Loquor
L’apocalisse del Toro
Napoleon Hill
In questi ultimi mesi da più parti mi è stata chiesta più volte una opinione sul reale stato del Torino FC, e ho sempre fatto in modo di tenermi in disparte da una situazione che, per forza di cose, se analizzata nei dettagli più scontati è facile cadere in un qualcosa similare a stilemi populisti. È facile dire “Cairo vattene!” per eccitare gli animi e prendersi ogni tipo di applausi e di consenso, è come sparare su un bersaglio facile, analogamente ad andare a caccia di elefanti con un cannone: non puoi sbagliare il tiro, tanto è grosso ed evidente il bersaglio e tanto è grande il volume di fuoco dell’arma. C’è poco da discutere e da ragionare quando un club ha iscritto a bilancio 133,3 mln di debiti (euro più, euro meno. Secondo un’analisi fatta sul bilancio 2023/24 dal professor Bernardo Bertoldi, docente presso il “Dipartimento di Management” dell’Università di Torino ed editorialista del “Sole 24 Ore”, nonché tifoso del Toro), accumulati non si sa bene come e quando. Oppure si sa, ma parlarne diventerebbe noioso e soprattutto inutile: pur elencandone i motivi, il debito resterebbe sempre lì a bilancio, immobile e senza prospettive per il futuro.
Cosa vuoi dire o fare quando ti ritrovi davanti alla gestione talmente fallimentare di un club che, come alcuni altri, ha approfittato del famoso “Decreto legge Agosto” per mettere a bilancio per 53 milioni e spicci anche il marchio del Torino? L’unica cosa di positivo in questa operazione di pura cosmesi contabile, è che implicitamente il Decreto voluto per combattere gli effetti economici nefasti postpandemici, nel caso dei club calcistici ammette implicitamente il valore di mercato detenuto dai tifosi. Il marchio ha un valore certamente per la sua storia, ma anche perché ci sono persone che in quella storia ci credono incondizionatamente, a prescindere dalla performance della squadra del cuore. Il calcio un giorno è stato fatto diventare per legge una attività di impresa come un’altra, non considerando l’anomalia che a questa impresa il fruitore del prodotto è a questa sentimentalmente legato in modo indissolubile. Ma anche questa è una cosa già detta infinite volte.
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Il professor Bertoldi, sul finire del 2024 intervistato da Marco Bonetto per “Tuttosport”, aveva detto, tra le molteplici cose interessanti, una cosa dal contenuto un po’ agghiacciante ma estremamente chiaro sul bilancio del club Granata: “…il difetto per me fondamentale che emerge è che non c’è niente che genera cassa. Non vedo nulla nel bilancio che mi faccia dire: il Torino sta generando debiti, sta creando ricchezza”. L’analisi lucida e spietata del professor Bertoldi, mi ha ricordato la visione di un bilancio della Sampdoria ai tempi della presidenza Garrone, effettuata nell’ufficio del capo di un importante fondo di investimento italiano: la cosa a risaltare, subito dopo la voce del debito, era anche lì la mancanza di una “cassa” che potesse far fronte alla mole di debiti contratta. Edoardo Garrone era disposto a cedere gratis il club blucerchiato, o almeno così dissero al fondo di investimento. Si era evidentemente reso conto di aver intrapreso una strada per lui senza uscita. Il Toro dal 2020 ha intrapreso lo stesso percorso che ha portato la Sampdoria in uno stato in cui si trova oggi, ovvero in una situazione in cui il club ligure è tecnicamente fallito ma viene fatto rimanere in vita attraverso tutto un serie di espedienti di “sistema”.
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Chiamiamoli così. Le cessioni di Buongiorno, Bellanova, Ricci e prossimamente di Milinkovic-Savic hanno semplicemente messo una toppa sul quadro finanziario/gestionale assai critico del club, rinviandone per il momento l’Armaggedon. Difficile ipotizzare, in questa situazione, cosa speri Urbano Cairo per il futuro, ma se si vuole essere realisti, a fronte di una oggettiva analisi della situazione sono solo due le strade percorribili: o avviene una ricapitalizzazione del club oppure la sua cessione per una somma congrua molto al ribasso rispetto alle sue aspettative, sperando si trovi qualcuno che voglia accollarsi sia la mole di debiti, che una necessaria ricapitalizzazione una volta effettuata l’acquisizione. Si sta parlando di una operazione di non meno di 180 milioni di euro e in una situazione del calcio italiano mai stata crisi come in questo momento. In tale contesto, dove Urbano Cairo ha già fatto capire con fatti eloquenti come non abbia intenzione di operare nessuna ricapitalizzazione, fa alquanto sorridere tutto il discutere sull’acquisto del “Stadio Olimpico Grande Torino”, che non avrebbe nessun senso, anche in presenza dei soldi necessari per acquisirlo(che comunque non ci sono), vista la totale politica di disarmo nella gestione sportiva del club. Aurelio De Laurentiis ha di certo fatto un gran favore a Cairo nel cedergli Cyril Ngonge con la formula del “diritto di riscatto” a 18 milioni, ma a causa della suddetta situazione, difficile il giocatore belga, anche a fronte di un prossimo campionato altamente performante, possa essere riscattato ad una cifra assolutamente fuori portata dai Granata.
È una toppa stile Elmas, si prende a noleggio un giocatore per un anno e si rimandano i problemi. “Tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia”, direbbe Giulio Andreotti, e forse deve aver riveduto criticamente questo suo celebre aforisma, quando il ciclone dell’inchiesta giudiziaria “Mani Pulite” buttò giù tutto il sistema della I Repubblica. Perché se le cose della vita non vengono rigenerate, con nuove idee, nuove energie, nuove investimenti, prima o poi vengono giù miseramente portandosi dietro via tutto. Se si vuole il calcio/azienda, allora bisogna trattarlo esattamente con tutti i criteri di una azienda, dove al primo posto di ogni intendimento c’è la parola “investimenti”, e non certo l’assioma “tirare a campare”. E per investimenti non devono intendersi esclusivamente quelli fatti sul mercato calciatori, che nel caso del Torino a volte ci sono stati e a volte no. Un club che attualmente non genera cassa, se non in qualche operazione di “player trading”, avrebbe bisogno di riorganizzare tutto il suo modo di gestione. Si possono fare anche le nozze con i fichi secchi, ma bisogna davvero saperci fare. E, dispiace ribadirlo ancora una volta, l’editore del “Corriere” e di “La7” con il calcio ha dimostrato proprio di non saperci fare, di non capire quale sia l’idea giusta per far ritornare il Toro al posto dove dovrebbe stare, per la sua storia e per il suo onore.
Licenziare Vanoli per prendere Baroni non è stato sintomo di vitalità gestionale, ma esclusivamente un triste espediente di vitalità della comunicazione. E’ indicare nell’allenatore l’ennesima stagione deludente trascorsa, per poi subito dopo vendere Ricci e Milinkovic-Savic. Sono brutti segnali non di cattiva volontà in sé, ma di confessare al mondo quanto al momento non ci siano alternative per i conti drammatici del Toro. In questi ultimi quattro anni ci sono stati almeno due interessamenti per rilevare la proprietà del club che fu di Valentino Mazzola(eh no, tra questi non c’è stata la “Red Bull”, anche se a molti piace pensarlo), ma i fatti dicono come tutto si sia evidentemente arenato.
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I passaggi di proprietà di un club di Serie A non sono mai facili, spesso si annunciano quasi come fatti, ma poi gli iter si allungano. Lo si sta vedendo anche riguardo all’Udinese, club infinitamente più appetibile del Torino per uno che voglia investire nel calcio italiano. Forse fa male prendere atto di quest’ultima cosa (a me tifoso del Toro fa malissimo), ma ogni qual volta ci si approccia a trovare la cura di una malessere, il dovere primo è quello di guardare in faccia il malessere e riconoscerlo per quello che è. Il Torino FC di oggi è una società che non ha niente di suo, non uno stadio, non un campo di allenamento, non una sede di proprietà all’altezza della sua storia, ed è sul precipizio di un disfacimento economico. Qualsiasi guaritore si dovesse approcciasse al suo capezzale dovrà ripartire quasi da zero, ed è questo il paradosso dopo vent’anni di gestione di una persona che lo aveva preso proprio da una situazione post fallimentare. Vent’anni per ritornare al punto di partenza, e se questa non è una sconfitta imprenditoriale, prima che sportiva, non saprei davvero come altro definirla.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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