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C’era una volta il Milan, benvenuti nel nuovo Toro!

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Quante polemiche nel dopo Toro-Milan! Siamo a mercoledì eppure è difficile cancellare dalla memoria quel finale convulso, condizionato da errori e orrori che non si vorrebbero mai vedere in una partita di cartello di Serie A!
Renato Tubere

Quante polemiche nel dopo Toro-Milan! Siamo a mercoledì eppure è difficile cancellare dalla memoria quel finale convulso, condizionato da errori e orrori che non si vorrebbero mai vedere in una partita di cartello di Serie A!   IN CAUDA VENENUM - Se un extraterrestre appassionato di calcio fosse improvvisamente sbarcato allo stadio Olimpico torinese sabato scorso per assistere aTorino-Milan, probabilmente avrebbe pensato questo. Che cioè i padroni di casa fossero una squadra di medio-alta classifica, ben motivata da un mister testardo e perfezionista,Giampiero Ventura, con idee tecniche e tattiche molto chiare. E che invece gli ospiti - in maglia bianca esattamente come la bandiera che metaforicamente avevano ammainato già al ventesimo minuto della sfida - fossero impelagati nella difficile lotta per non retrocedere. Da una parte undici lottatori indomabili, ben messi in campo al punto di essere padroni del rettangolo di gioco per almeno 80 minuti della contesa. E dall'altra? Undici controfigure di calciatori, gente che faticava a correre e a tenere il campo con dignità. L'unica eccezione era rappresentata da Balotelli: ben imbrigliato dalla tenagliaGlik-Bovo (che bell'esordio il suo!) -Moretti, Mario ha dimostrato di essere uno che a perdere non ci sta mai e poi mai, anche se certi atteggiamenti verso compagni, avversari e terna arbitrale restano da censurare. Un capitolo a parte lo merita Massimiliano Allegri, tecnico rossonero. In piedi, apparentemente indifferente, questo livornese segaligno ogni tanto urlacchiava qua e là frasi sconnesse apertamente ignorate dai suoi. Il veleno purtroppo per gli appassionati granata era in coda: quando Allegri ha escogitato a una manciata di secondi dal fischio finale la furbata d'incitare, con Larrondo appena entrato e fermo a terra da quasi due minuti, i suoi a non restituire la sfera per consentire i soccorsi. In questo il discusso mister rossonero si è distinto sabato: nel procurarsi in maniera anti-sportiva il rigore del definitivo 2-2 finale. Allegri come Sacchi nel 1990 quando, nel ritorno di quarti di finale in Coppa Italia a Bergamo e con Glenn Stromberg coricato a terra da qualche minuto, incitò Massaro a rimettere in gioco in favore del povero Borgonovo. Arrivò così al 93° il gol-qualificazione: quante polemiche ci furono! E quanti tifosi rossoneri (stessa cosa successa sabato al fischio finale dell'inaffidabile Massa) ammisero apertamente di vergognarsi per aver ottenuto in modo così disonesto quella qualificazione! Arrigo Sacchi venne triturato dai media, mentre Allegri ai microfoni di alcune emittenti sabato sera ha rivendicato, petto in fuori, la bontà di questa sua decisione. Ah questo mister parolaio e ipocrita: è davvero il simbolo della decadenza irreversibile di una ex grande del calcio italiano!   UNA FAMIGLIA VERA - Archiviato così con molto malumore e legittime recriminazioni il risultato, questo Toro ha tanti motivi per essere pienamente soddisfatto. L'incitamento costante dell'Olimpico finalmente pieno, quegli applausi convinti a giocatori e tecnico a fine gara, la determinazione feroce mostrata su tutti i palloni giocati. Tre partite si sono disputate e si avverte, in campo e sugli spalti, un grosso cambiamento in positivo rispetto alla scorsa stagione. Pur riscontrando qualche difetto non facile da correggere - uno su tutti: l'incapacità di buttare quando servirebbe il pallone in Piazza d'Armi o direttamente sui binari del tram n° 10 che passa in Corso Agnelli - il Toro denota una compattezza fra i reparti che lo scorso campionato non si era mai, o quasi mai, vista. Frutto del cambiamento di modulo, dal 4-2-4 troppo offensivo a questo 3-5-2 più prudente? Vero! Non dimenticherei però l'unità d'intenti che, complice l'ottimo lavoro di tutto lo staff tecnico granata, si nota in campo e fuori. Questo Toro pian pianino sta diventando una famiglia. Senza una casa che si rispetti, dirà qualcuno che ha nostalgia di rivedere pronto il nuovo Filadelfia: e ha perfettamente ragione! Ma, come in tutte le belle famiglie calcistiche, ogni protagonista, in campo o in panchina, sta mettendo al primo posto in ordine d'importanza la voglia di vincere tutti assieme. Un esempio concreto di questo attaccamento alla maglia granata lo sta dando Danilo D'Ambrosio (nella foto) che, lungi dallo speculare sulle sue vicende contrattuali, dà tutto se stesso infischiandosene delle sirene provenienti da Napoli, Firenze o Genova che potrebbero distrarlo. Una famiglia vera che si batterà fino in fondo, reagendo alle contrarietà con l'unica arma a disposizione di un club che notoriamente non ha santi in paradiso. Nè ambasciatori compiacenti nei salotti dell'alta società. Benvenuti nel Toro 2013/14, amici!   Renato Tubère

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