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Cercasi Steva disperatamente

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CERCASI STEVA DISPERATAMENTE  – Ogni famiglia che si rispetti ha il suo figliol prodigo. Una pecora nera a cui in fondo tutti vogliono bene tranne … la pecora stessa! Non fa eccezione la famiglia granata che, in Alen...
Renato Tubere

CERCASI STEVA DISPERATAMENTE  – Ogni famiglia che si rispetti ha il suo figliol prodigo. Una pecora nera a cui in fondo tutti vogliono bene tranne … la pecora stessa! Non fa eccezione la famiglia granata che, in Alen Stevanovic, scopre ogni giorno di più quanto sia strana la vita di un calciatore. In parte c’è da capirlo, il trequartista di origine serba: un’infanzia che più difficile non si può alle spalle, arrivò nel 2010 in comproprietà dall’Inter. Lo aveva lanciato in prima squadra Josè Mourinho facendolo esordire contro il Siena a San Siro. Fu un 4-3 pirotecnico: poi tornò malinconicamente fra le quinte. Con Lerda, che proprio non lo sopportava, fu una stagione praticamente persa. Con l’arrivo di Giampiero Ventura, dal primo allenamento a Sappada in poi, scattò immediato un grande feeling. Nessuno nell’ambiente granata si attendeva che Steva contribuisse così tanto al ritorno del Toro in A: memorabili i suoi uno contro uno insistiti contro terzini che facevano la figura di passeggiatori occasionali. Questa stagione invece un black out più psicologico che fisico s’è impadronito del ragazzo. Trasmissioni interrotte col mister, coi compagni, col mondo intero: la squadra e Ventura avrebbero bisogno delle sue invenzioni sull’out di sinistra, visto che a destra il suo posto sembra spettare di diritto al funambolico Cerci. Una gara dopo l’altra, ahimè, di questo 22enne potente attaccante di fascia abbiamo perso le tracce. Cercasi Steva disperatamente …     QUEI TRE EX PESCARA – Un anno fa in Abruzzo non si parlava che di loro tre. Coprendoli di elogi, prevedendo un futuro che più brillante non si può: Immobile, Insigne e Verratti, eroi della promozione del Pescara, in estate hanno lasciato apparentemente senza rimpianti la società adriatica. Il presidente Sebastiani ha abbozzato, consolandosi però con i molti milioni ricavati dalla loro cessione. Attratti dal blasone di club ben più importanti, tutti a darsi di gomito fra gli addetti ai lavori: come faranno i delfini biancazzurri a rimanere in A senza quei tre? Immobile nel Genoa segnerà gol a raffica, in breve sarà il beniamino della Curva Nord di Marassi. Insigne? Un trottolino così nelle mani esperte di Mazzarri sarà l’erede di Gianfranco Zola, giocando sempre o quasi senza far rimpiangere il Pocho Lavezzi. Verratti poi, non ne parliamo nemmeno: a Parigi Leonardo e Ancelotti daranno le chiavi del centrocampo a lui, l’erede designato di un certo Andrea Pirlo. E invece cos’è successo? Immobile è come regredito tecnicamente, segna col contagocce letteralmente odiato dai fans genoani per la sua apparente svogliatezza. Insigne è la riserva di Goran Pandev: molto bravo, ci mancherebbe, ma non così continuo e tenace come aveva mostrato sotto la guida di Zeman. Verratti, ricoperto d’oro grazie a un contratto faraonico, langue desolatamente in panchina nella Ligue 1 transalpina. Dov’è finito il suo senso euclideo per i passaggi smarcanti e i lanci millimetrici? Ora al mercato di gennaio il furbo presidente potrà spendere parecchio per rafforzare una rosa non proprio competitiva. Ah la sana provincia del calcio nostrano, guai ad abbandonarla troppo presto!     GARRINCHE E IL CANARINO - 17 giugno del 1962, Santiago del Cile: il Brasile gioca la finale dei Mondiali. I pronostici della vigilia sono rispettati, fra i verdeoro  e le altre nazionali pare esserci un abisso, eppure fra i giocatori serpeggia l’ansia di non farcela. Perché? Nella semifinale coi padroni di casa del Cile si è fatto espellere Manuel Francisco dos Santos, detto Garrincha: è l’ala destra più imprevedibile, nel bene e nel male, della storia del calcio. Esasperato per i falli sistematici che i rocciosi difensori di casa gli hanno dedicato, a pochi minuti dalla fine sul 4-2 ha perso la testa cercando di farsi giustizia da sé. Niente finale per lui contro la Cecoslovacchia? E’ il primo ministro brasiliano in persona, Tancredo Neves, a perorare la sua causa presso la Fifa ottenendo di cancellare quella squalifica. Alegria da Povo, l’allegria del popolo: così chiamano questo scherzo della natura, gambe storte come nessuno al mondo, ma prodigioso nello scartare qualsiasi terzino sempre allo stesso modo. Palla sul sinistro, Garrincha aspetta la prima mossa dell’avversario e … oplà, in un nanosecondo il dribbling fulminante col destro per andare comodamente al cross o convergere nell’area piccola a cercare il gol. Campione inarrivabile sul rettangolo di gioco, ma nella vita di tutti i giorni? 13 figli avuti con 5 donne diverse, il buon Garrincha non trova requie. Beve come una spugna la cachacha, un intruglio di alcool ed erbe aromatiche tipico del suo paese, da quando aveva 5 anni! Muore a soli 49 anni, gli organi interni completamente spappolati da questo vizio autodistruttivo, il 20 gennaio 1983. Fa tenerezza pensare che, protagonista di quel successo in Cile che fece epoca per la bellezza delle sue giocate, chiese ed ottenne come premio non denaro o una casa, ma che venisse liberato dalla gabbia del suo padrone, il presidente della repubblica, un canarino!     renato.tubere@toronews.net

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