interviste

”Dopo me e Pulici nessun altro”

di Edoardo Blandino



Insieme a Pulici ha riscritto parte della storia del Torino. Franesco “Ciccio” Graziani con la maglia granata ha...

Edoardo Blandino

"di Edoardo Blandino

"Insieme a Pulici ha riscritto parte della storia del Torino. Franesco “Ciccio” Graziani con la maglia granata ha giocato 298 partite segnando 122 gol e vincendo lo scudetto ’75-’76. Dopo alcune parentesi da allenatore ora si dedica alla televisione ed ai programmi sportivi. Graziani ha abbandonato la panchina e non sembra intenzionato a ritornarci, a meno di grandi offerte, tuttavia non rimpiange nulla del suo passato. Innanzitutto buongiorno mister Graziani.«Grazie e buongiorno anche a voi».Partiamo dall’attualità. Come si vive senza il campo da calcio?«Io sto bene. Ho un contratto con Mediaset, lavoro con la redazione sportiva. La domenica all’ora di pranzo vado in tv e mi diverto a dire qualche cavolata e ogni tanto fare un po’ di casino».La carriera da allenatore non le manca?«Ho perso dei treni. Ci ho provato, poi ho pensato di fare altre cose precludendomi la possibilità di andare avanti. Negli ultimi tempi ho ricevuto anche delle proposte da squadre di C, ma sinceramente non ho voglia di allenare lì. Non voglio essere presuntuoso, ma ormai o alleno ad alti livelli oppure no. Voglio dire: o alleno il Toro e lo alleno bene e lo faccio crescere, oppure niente».E come lo si fa crescere questo Toro?«Con la programmazione, con investimenti mirati e con un po’ di fortuna. Servono tante cose per far crescere una squadra. La programmazione è alla base di tutto ed il Toro negli ultimi anni di programmazione ne ha fatta davvero poca. Quanti allenatori ha cambiato? Quanti direttori sportivi ha cambiato? Vuol dire che qualcosa non ha mai davvero funzionato».Parliamo dei suoi anni in granata. A Torino ha avuto modo di formare insieme a Pulici una coppia formidabile. Dopo di voi ci sono stati dei nuovi “gemelli del gol”?«Mi dispiace per quelli che sono venuti dopo di noi, ma penso di no. Dopo di noi ci sono stati giocatori bravi, ma una coppia gol come la nostra credo che non nascerà più per almeno altri 40-50 anni e se rinasce, speriamo che rinasca nel Toro e non in altre squadre. Noi eravamo troppo forti».Riferendosi ai singoli e non alle coppie gol, dopo che lei è andato via c’è stato un suo degno erede?«Direi che Ferrante ha fatto molto bene. Bianchi? Potrebbe rappresentare un investimento importante: si è integrato bene e sta facendo bene. Quando so che c’è Bianchi sono più tranquillo per il risultato, senza mi preoccupo. Dal punto di vista realizzativo è forte, da profondità alla squadra ed ha un carisma fondamentale per il gruppo. In questa categoria è un valore aggiunto. Dico che potrebbe rappresentare qualcosa di importante perché il Toro è in B e non ancora in A».Lei che è stato un grande bomber ci tolga una curiosità: è vero che gli attaccanti vedono la porta più grande?«Gli attaccanti giocano esclusivamente per mettere la palla nei 7 metri e 15 della porta. Si allenano per quello e mettono istinto e volontà solo per quell’obiettivo. L’attaccante è l’uomo più vicino alla porta e deve segnare. Mentre il trequartista si allena per fare l’assist, il centravanti nasce per buttarla dentro. Per come l’ho vissuta io, l’attaccante deve essere un punto di riferimento: mi chiedevano di fare gol e io cercavo di farli».Da quando lei ha smesso sono passati una ventina di anni. Durante questo tempo il calcio è cambiato ed alcuni ruoli si sono evoluti. Anche il centravanti appartiene alla categoria di ciò che è mutato?«Con le nuove metodologie di allenamento e con le nuove tecnologie credo che il ruolo dell’attaccante sia andato a migliorarsi. Oggi i grandi calciatori abbinano forza e talento. Anche l’abbigliamento sportivo aiuta: dalle scarpe ai materiali, tutto è più leggero. Una volta ci si allenava solo dal bacino in più. I giocatori erano forti con le gambe, mentre oggi ci si allena anche dal bacino in su. I calciatori di oggi sono degli atleti nel vero senso della parola: hanno maggiore forza e maggiore potenzialità. Se avessimo lavorato anche noi così, con le nuove tecnologie, saremmo stati fisicamente più forte e più bravi».Da qualche settimana a questa parte si sta affacciando alla prima squadra Gianmario Comi. Dall’alto della sua esperienza, quale suggerimento può dare ad una giovane punta alla prima esperienza da professionista?«Il consiglio è quello di non accontentarsi del poco o del tanto che si fa. Non deve pensare di essere arrivato quando sente profumo di prima squadra. L’arrivo in prima squadra deve essere il punto di partenza. Deve e può migliorarsi. È importante che ci metta disponibilità e voglia di lavorare, senza però perdere mai di vista la virtù più grande: l’umiltà. Bisogna sempre essere umili nel calcio. Questo è l’unico consiglio che posso dare a chi arriva alle soglie della prima squadra»Chiudiamo con un ricordo. Qual è il più bello della sua carriera?«I ricordi belli sono più di uno. Con il club penso innanzitutto allo scudetto col Torino: è stato un traguardo meraviglioso per noi, per i tifosi, per la città. Sono stati anni straordinari. Con la nazionale è innegabile pensare alla vittoria del Mondiale di Spagna nell’82. Solo partecipare ad un mondiale è una gioia immensa se poi, oltre a partecipare, si riesce anche a vincerlo, diventa qualcosa di fantastico. Sono questi due i ricordi più belli della mia carriera. Cambierei qualcosa? No, non credo. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto con grande disponibilità, entusiasmo e voglia di crescere. Sono felice dei traguardi che ho raggiunto».Grazie mister e in bocca al lupo per il futuro.«Grazie, crepi e in bocca al lupo anche a voi».