Culto

Primi nel mondo – La saga completa

Francesco Bugnone

20 ottobre 1991. Cravero, finalmente rientrante, intercetta una respinta della difesa della Roma e, di prima, ricaccia il pallone in avanti. L’intervento di Gigi Garzya è imperfetto e mette la palla nei pressi di Bresciani come il migliore degli assist. Giorgio calcia rasoterra con Cervone immobile e rompe finalmente il digiuno di reti in campionato. Minuto 23: Toro uno Roma zero, si esulta. Chissà cosa penseremmo se, in quel momento di abbracci e felicità, qualcuno ci sussurrasse all’orecchio che la prossima rete in campionato sarebbe arrivata quasi due mesi dopo, il 15 dicembre grazie a un colpo di testa di Lentini alla Fiorentina.

637’, recuperi esclusi, senza segnare: un’eternità. La cosa paradossale è che, delle sei partite intere senza segnare, il Toro ne perde solamente due: il derby nove contro undici e contro il Milan che dominerà il campionato. Questo dato fornisce l’idea della solidità di quella squadra dalla difesa quasi impenetrabile. 637’ senza gol, ma questo fino a quando scende la sera. Sì, perché in quel periodo il Toro di coppa (Italia o Uefa che sia) le reti continua a gonfiarle eccome, come se il sortilegio si spezzasse solo con l’oscurità.

Non un sortilegio, ma un più prosaico colpo di mano in mischia di Bonacina porta Aldair a trovare il pareggio nella ripresa con Pezzella che ignora le proteste granata. Risultato amaro per un Toro pimpante nel primo tempo e poi andato in calando, ma non c’è tempo per mugugnare visto che il giovedì europeo incombe. Stavolta l’urna ci ha riservato il Boavista, squadra tignosa che ha eliminato clamorosamente l’Inter di Corrado Orrico, detentrice del trofeo, al primo turno.

Il Toro è indiavolato sin dall’avvio e la nebbia dei fumogeni deve ancora finire di dissolversi quando la Maratona esplode: Pudar non trattiene il bolide su punizione di Policano e Lentini ha una rapacità da centravanti nel piombare sul pallone e metterlo in rete. Il Toro comanda le operazioni e chiude il primo tempo in vantaggio senza patire molto, poi, a inizio ripresa, arriva l’episodio che condizionerà il clima della sfida, soprattutto al ritorno: a causa di uno scontro fortuito con Marchegiani in uscita, Marlon Brandao crolla a terra privo di conoscenza. Lo staff medico del Toro piomba in campo e il massaggio cardiaco praticato da Bianciardi salva la vita al numero nove portoghese. I lusitani capovolgeranno completamente l’accaduto: Marchegiani verrà dipinto ingiustamente come un killer, il ruolo dei sanitari granata, dapprima esaltato, verrà sminuito e tutto sarà buono per far polemica col tecnico Manuel Josè in testa. A volte non bastano nemmeno le immagini a far accettare la verità.

Al 70’ il raddoppio: intelligente punizione rasoterra di un ispirato Martin Vazquez dal fondo, Cravero calcia sporco, la palla centra la testa di Scifo e carambola sul palo. A pochi metri dalla linea appare Tarzan Annoni: quello col Reykjavik è stato sicuramente un gol più bello, ma quello di stasera, sebbene facile, è tremendamente più importante e vale il 2-0.

Enrico Annoni, detto “Tarzan”, dopo una buona prima stagione trova la consacrazione nell’anno di Amsterdam. L’ex comasco ha alcune caratteristiche estetiche che lo rendono iconico: il pizzetto, i capelli radi sul davanti, ma comunque tenuti lunghi, gli scaldamuscoli dello stesso colore dei pantaloncini, il giocare contemporaneamente con le maniche corte e i guanti d’inverno. Quello che, però, ha fatto innamorare tutti noi è stato il modo gladiatorio di intendere il calcio, duro, ma leale, senza mollare mai come quando si buttava in scivolata per recuperare palloni impossibili che stavano per terminare fuori finendo spesso col riuscirci. Difficile non voler bene a uno così.

Una rete annullata a Edwin per carica su Marchegiani è un altro episodio che verrà usato per rinfocolare polemiche da parte degli ospiti, mentre qualche fischio relativo al cambio Martin Vazquez-Benedetti nel finale, con i tifosi che ignorano che proprio lo spagnolo avesse chiesto di uscire, fa arrabbiare Mondonico. Il nervosismo passa, ma il bel risultato resta e l’ipoteca sul passaggio del turno sembra bella grossa.

Quella sera non ho visto la partita, perché ero in gita con la scuola a Pracatinat. Non solo, quella era anche la serata discoteca ovvero tutti stipati in una specie di buco presente nel seminterrato dell’albergo in sprezzo alle norme di sicurezza e in un tripudio di effluvi drammatici. Mentre c’era chi provava a lanciarsi in conquiste, io avevo la testa solo al Toro e, senza radiolina e coi telefonini al di là dal diffondersi, non sapevo come arrivare a sapere il risultato visto che ai miei avrei potuto telefonare la sera seguente e ventiquattro’ore mi sembravano un po’ troppe. Salito a prendere un po’ d’aria scopro che un ragazzo di un’altra scuola sta ascoltando la partita e siamo alle battute finali. Aspetto che finisca e scendo felice. Non vedo l’ora di tornare a casa il sabato per vedermi i gol registrati. Quando mio padre mi verrà a prendere alla stazione dei bus mi porterà la Gazzetta dello Sport. Dentro c’è una foto di Annoni che esulta dopo il 2-0.

Neanche il tempo di riposarsi che è ora di andare a Parma perché ritorna il campionato. Tra squalifiche e infortuni ci mancano Policano, Benedetti, Fusi, Casagrande e Bresciani a cui, verso fine primo tempo, si aggiunge anche Scifo azzoppato da un fallaccio di Zoratto e sostituito dal giovane Cois. Ne viene fuori una gara da contenimento obbligato in cui il Parma attacca molto, ma conclude poco, anche perché le scelte tattiche di Mondonico sono tutte perfette e i gialloblù sono obbligati a buttare palloni dentro su cui Marchegiani è una sicurezza. L’occasione più grossa capita proprio a noi nel finale con un contropiede di Lentini che sbaglia un passaggio, in questo caso allo smarcato Carillo, che generalmente non sbaglia mai. Negli spogliatoi storica incazzatura, col sorriso sulle labbra, del “Mondo” con Pierpaolo Cattozzi che gli parla di catenaccio e si torna a casa con un buon punto.

Il mercoledì successivo si accendono di nuovo le luci del “Delle Alpi”. Stavolta la coppa è quella nazionale e il tabellone ci offre la possibilità di vendicarci della Lazio. Mondonico gioca la carta a sorpresa mettendo Christian Vieri al centro dell’attacco granata.

Christian Vieri, detto “Bobo”, è il maggior rimpianto della storia granata recente. Bomber e trascinatore della Primavera, in molti vedono in lui quell’attaccante forte fisicamente e terrorizza-difese che non avevamo da tempo. Nessuno fa apertamente quel paragone, ma molti hanno stampato in testa un cognome di sei lettere che non vogliono pronunciare. I primi assaggi coi big sono promettenti, i prestiti in cadetteria per farsi le ossa vanno in crescendo, la sua cessione al Venezia per Petrachi più soldi è un pugno in pieno stomaco sferrato da Calleri. Ritroverà Mondonico all’Atalanta, ritroverà il granata nella commemorazione del cinquantenario di Superga. Un peccato grosso come l’universo averlo perso in fretta.

La vendetta si consuma nel primo tempo. Annoni, che aveva previsto il suo gol in un’intervista a Stampa Sera, trasforma con un destro potentissimo un calcio a due in area, poi Vieri, con un favoloso colpo di testa su centro di Lentini, segna la sua prima rete fra i professionisti che è già la penultima con noi. Come nella gara in campionato c’è una manina galeotta in area nel secondo tempo, stavolta di Gregucci, che fa perdere la pazienza e gettare il cappotto al “Mondo”, ma alla fin fine accettiamo ben volentieri il 2-0 finale.

La domenica successiva si gioca contro l’Inter e ovviamente l’occhio di bue è su Vincenzino Scifo che si ritrova contro il suo passato, la maglia che ha indossato giovanissimo nel 1987/88 con un carico di aspettative tale da venirne travolto, deciso sentore dell’ondata di severità che lo ha sempre accompagnato sul suolo italico, dove sembra dover sempre dimostrare qualcosa in più. Come se si dovesse essere per forza dei palloni d’oro e non, semplicemente, dei grandi, grandissimi giocatori. Ed Enzo lo è stato, eccome. Il resto (la presunta indolenza, il gel nei capelli) sono solo cazzate che ci raccontavamo salvo poi rimpiangerlo dopo, quando avevamo gente che non era neanche in grado di dare del voi al pallone, altro che del tu e lì sì che un mezzo scarpino di Scifo avrebbe fatto comodo.

Sulla sponda nerazzurra Orrico è sulla graticola. La sua Inter è troppo discontinua: la gabbia, il WM, Matthaus col 5 sono idee che vengono piano piano accantonate o ridimensionate. Servono punti perché la vetta è sempre più lontana, la coppa Uefa è già un ricordo e l’andata della Coppa Italia ha portato un 2-2 interno col Como, compagine di serie C che ha rimontato due gol al Biscione.

La partita è bloccatissima. Molto tattica, pure troppo. L’unico guizzo del primo tempo, dopo un offside inesistente fischiato a Bresciani, è un palo in scivolata di Lentini su cross di Venturin da sinistra, poi, nella ripresa, quando iniziamo a salire di tono ecco l’episodio che condiziona il resto dell’incontro. Scifo porta palla e viene atterrato. Matthaus gli da una scarpata sul fianco mentre il belga è al suolo e il numero dieci, inferocito, lo colpirà con una pedata. Beschin espelle giustamente il granata per la reazione, ma si dimentica di tirare fuori un qualsivoglia cartellino per il tedesco che aveva acceso la scintilla. Scifo sa di aver fatto qualcosa di sbagliato che, soprattutto, gli farà saltare il derby e chiederà scusa a tutti, pubblicamente e non solo. Ci sta il nervosismo quando ti mettono addosso un macigno di tensione.

Già in difficoltà offensive per le assenze di Policano e di Casagrande, il Toro ha l’intelligenza di metterla sul piano agonistico dove, come sempre, ha pochi rivali. All’Inter vengono concessi due tiri, uno da lontano a Montanari e uno leggermente più da vicino a Battistini: sul primo Marchegiani è fenomenale, sul secondo è “solo” attento. La Maratona si gasa per un rutilante spunto offensivo di Pasquale Bruno, ma finirà 0-0 con Mondonico a esaltare la prova del suo Toro e di quelli che vengono nominati poco ma rendono tanto come Mussi, Fusi e Venturin. Riccardo Ferri negli spogliatoi dirà che se l’Inter giocasse così in casa le tirerebbero i seggiolini. Al fratello del più amato Giacomo servirebbe una macchina del tempo per capire che non era il caso di fare quella battuta. Lo porterebbe alla fine del girone d’andata quando i tifosi contestarono ferocemente i nerazzurri durante una vittoria contro il Bari, ma, soprattutto, lo porterebbe al termine della stagione, a guardare la classifica e a contare i punti di distacco dal Toro. Appena abbiamo avuto tutti gli effettivi a disposizione non ce n’è stato più per nessuno, tanto meno per l’Inter.

Si vola a Oporto con qualche mal di pancia esternato da Scifo e Bresciani e che non sarà una passeggiata lo si capisce già da Caselle quando il viaggio è inaugurato da una telefonata su un ordigno fra i bagagli granata. Giunti in Portogallo il Toro riceve il suo benvenuto sul campo di allenamento con un gruppo di tifosi lì per insultare e sputare addosso a Marchegiani, non volendo stare a sentire le sue spiegazioni. Lui non ha colpe, ma per loro è il killer di Marlon Brandao che, parole sue, è molto tranquillo per l’accaduto scagionando totalmente il portiere. E’ un antipasto di ciò che accadrà al “Do Bessa” quando, accolto da uno striscione sgrammaticato (“Marcheggiani asassino Marlon è stato morto”) e fatto bersaglio di un pericoloso lancio di oggetti, Luca sarà letteralmente di ghiaccio, parando e uscendo con coraggio su qualsiasi spiovente avversario. E’ la partita della consacrazione in granata, più che per gli interventi in sé per la personalità: una stella filante di Natale lo colpisce in testa e non fa scena, mentre Barletti lo intervista afferma che gli hanno tirato anche una radio, fortunatamente senza colpirlo, e se la ride col buon Beppe.

Luca Marchegiani arriva al Toro nel settembre del 1988. Rimpiazza presto Lorieri al centro della porta granata e, partito in sordina, cresce col passare delle settimane. Qualcuno vorrebbe sostituirlo col fenomenale Preud’Homme, gli viene “affiancato” un secondo di esperienza come Tancredi, ma Luca, rafforzato dalla stima dei suoi tecnici e da quella di Lido Vieri, diventa sempre più una certezza. Bravissimo fra i pali, formidabile nelle uscite alte, conquisterà anche la nazionale anche se un errore su Chapuisat se lo porterà dietro a lungo. Occhi chiari, sorriso sulle labbra, non è certo un personaggio, può sembrare un freddo, ma, soprattutto nei primi due anni di Mondonico, è stato il miglior portiere italiano e abbiamo dovuto aspettare a lungo prima di averne un altro così. Infatti solo Sereni e Sirigu, 2020/2021 escluso, sono stati alla sua altezza.

Se il clima è caldo il Toro si fa trovare pronto. Lentini e Vazquez sono pronti a sacrificarsi e a ripartire, Bresciani da solo fa la lotta in avanti, il reparto arretrato ringhia. I più vicini ad andare al gol siamo proprio noi con Martin Vazquez da lontano, ma l’incrocio respinge con Pudar immobile. Lentini si fa espellere a fine primo tempo con due falli nel giro di pochi minuti e la ripresa, tutta in inferiorità numerica, è sofferenza giusta, seppure non esagerata. Ce l’abbiamo fatta, siamo passati, il Boavista e le sue provocazioni sono evaporate davanti all’ennesimo grande Toro che passa il primo, grosso, esame di maturità europeo. Ora riposiamoci che c’è la sosta e poi avremo un derby da affrontare.

(3- Continua)

tutte le notizie di