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Minà, la fede granata e il Grande Torino: “Era facile innamorarsi di quella squadra”

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Il grande giornalista, morto a 84 anni, raccontò così i suoi ricordi a tinte granata: “Mi tengo il calcio di quei tempi, quando i giocatori non erano solo corridori, ma ciò che più contava era la tecnica”

Redazione Toro News

Gianni Minà è stato uno dei più grandi testimoni del nostro tempo, con lavoro e acume ha saputo costruirsi una carriera giornalistica prestigiosa che lo ha portato a guadagnarsi il rispetto e la considerazione di alcuni dei più grandi personaggi del Novecento. Ma è partito da Torino e dal Torino. Di origini torinesi, Minà - morto oggi, 27 marzo 2023, a 84 anni - visse sotto la Mole il tempo della sua fanciullezza negli anni Quaranta e, dopo le sofferenze della guerra, come tanti suoi coetanei si innamorò del Grande Torino.

Minà, la passione per il calcio e il talento dal Grande Torino

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"Io sono di fede granata, lo sono sempre stato e lo sarò sempre. Più che un tifo è una fede, mi lega al ricordo di mio padre che mi portava, insieme a mio fratello, fin da piccolo a vedere la nostra squadra del cuore al Filadelfia”, ricordava spesso Minà. Che in un’intervista a Stile Toro del 2018 raccontò: “Nel dopoguerra, con l’Italia che tentava di riemergere dalle macerie, il popolo aveva bisogno di un riferimento sportivo, di avere degli idoli. Lo era il Grande Torino e lo era Fausto Coppi. Mio padre, nel 1946, ci portò a vedere due derby contro la Juventus. Uno lo vincemmo 1-0 con gol di Castigliano, l’altro anche, con gol di Gabetto. Avevo otto-nove anni, vidi due derby nell’arco di sei mesi vinti dall’altra squadra di Torino, non quella della Fiat… per me è stato facile innamorarmi del Torino. Vincemmo quattro campionati di fila. Eppure la Juve c’era, eccome… La nostra soddisfazione era quella di vincere senza arrivare dall’entroterra Fiat. Ricordo bene quei tempi, andavamo a giocare in Piazza d’Armi, vivevamo nelle case popolari di via Quattro Novembre angolo corso Orbassano, frequentavamo l’oratorio salesiano di via Piazzi”. Col passare degli anni, Minà ha seguito il calcio con maggior distacco: “Questo sport è diventata una gara di corsa – spiegava -. C’è una componente atletica molto più importante. Si dà spazio ai chili, alla corsa, ai centimetri, alla tattica, quando al centro della scena dovrebbe esserci sempre solo il talento. Maradona, espressione massima del talento calcistico (uno tra i grandi personaggi che Gianni Minà ha raccontato con maestria, ndr), ha vinto da solo un Mondiale con l’Argentina, due scudetti e una Coppa Uefa con il Napoli che non aveva mai vinto niente”.

Minà, un vero cuore Toro con l'amore per il Fila

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Ma la fede granata, in Minà, è sempre rimasta viva. Fu presente all’inaugurazione del nuovo Filadelfia nel 2017 e tornò a Torino per ricordare gli Invincibili anche un anno dopo. Sull’epoca attuale del Torino, così la pensava: “Ringrazio il presidente Cairo: se non fosse arrivato lui, forse saremmo scomparsi totalmente dal calcio italiano. Oggi siamo una società senza debiti, e abbiamo raggiunto qualche exploit, come quando sbancammo il campo dell’Athletic Bilbao. Ma io penso che il Toro meriti uno dei primi cinque-sei posti del campionato. C’è riuscita l’Atalanta, non certo una società più ricca della nostra. Prendere il Torino per arrivare decimi in classifica ha poco senso. Quindi a Cairo faccio un appello: osi di più”.

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