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Nella Liga giocare di prima è un omaggio all’estetica dell’Hidalgo, dove l’onore dovuto al Re, il combattere per lui e la supremazia della Spagna, sono le stelle polari da seguire, fino ad ogni sconfinamento possibile. In Serie A giocare di prima è il capovolgimento della filosofia dell’Hidalgo, e togliersi velocemente di torno l’oppressione del rettangolo di gioco visto come un “Encierro”, un confinamento stringente in cento metri di vita. Senti il fiato del difensore sul collo e avverti il pericolo, e se tu sei un Basco di Pamplona comprendi immediatamente quale sia il punto. Non ti hanno mai fatto correre in un “Encierro”, perché le tue gambe da calciatore molto promettente andavano preservate, ma conosci cosa vuol dire essere confinati. Dal primo secondo in cui respiri l’aria della capitale della Navarra, sfidare ed evitare il toro nella corsa è l’unica cosa a contare, in una curiosa analogia con la storia del calcio italiano. Nell’inverno 2017 Berenguer sta facendo cose egregie all’Osasuna, e il Napoli comincia ad inseguirlo perché lo vede come un efficace alternativa a Josè Maria Callejon, ma nel successivo mercato estivo è il Torino ad aggiudicarsi le prestazioni sportive del ragazzo cresciuto tra le “calle” della capitale della Navarra. Pare una scelta, quella del ragazzo di Pamplona, fatta in omaggio allo spirito della tauromachia, a quel mondo fatto di “Banderillas”, “Picador”, “Muleta”, dipanati in “quite”(spostamenti) tesi alla ricerca della prossimità fatale. Nel momento di aver deciso di lasciare la “comfort zone” dell’Osasuna, dove è nato e cresciuto come calciatore, a Berenguer devono aver raccontato la storia del Torino, che di prossimità fatali ne ha avuti fin troppi dal quel giorno lontano del 1906 in cui vide la luce. Quel toro rampante presente nel logo del club che fu di Valentino Mazzola, non può che essere un richiamo irresistibile per chi ha vissuto nell’eterna “veronica” del torero proteso ad incantare per un’ultima volta il toro, annebbiato dalla fatica e dalla polvere venuta su dall’arena.

A guardarlo da fuori, quello tra Alex e il Toro di Urbano Cairo ha le fattezze di un matrimonio perfetto, è il “paso doble” tante volte messo in scena per accompagnare le “quadriglie” verso l’inizio della “Corrida”. E’ il movimento armonico binario dell’inizio di una sfida, è sottomissione e attacco. Sì, a Berenguer la storia del Toro deve essere sembrata l’analogia italica di tutto ciò che accade dentro una “Plaza de Toros”, e vestire la sua maglia una clamorosa vertigine. Devono avergli anche raccontato di quel 26 febbraio 2015 in cui i granata violarono il “San Mames”, quel luogo del mondo dove regolarmente poco più di 60.000 baschi si ritrovano ogni volta a gridare in “Euskara”, una lingua in forte contrasto con tutti gli altri idiomi europei, una lingua isolata. Quando Matteo Darmian, al 67esimo, piazza un tiro al volo all’estrema destra di Iago Herrerin, pare fermarsi tutto nella “Euskal Herria”(terra della lingua basca). Persino i sospiri. I loro giornali gli avevano detto di stare tranquilli, nessuna squadra italiana aveva mai violato la casa dell’Athletic, e non c’era una ragione o ipotesi valida perché i granata fossero i primi a farlo. Ma il calcio è un mistero, e le storie ad animarlo sono i suoi arcani, e quel tiro di Darmian non si infila semplicemente in una rete, quel tiro si proietta nel fondo di una storia che sarà cantata negli anni a venire come la notte in cui il toro si prende la rivincita sul torero e sulle gradinate della “Plaza”, sia su quelle al sole sia su quelle all’ombra. Non ci sono poveri e non ci sono ricchi nel perenne tempo a scadere di una corrida, dove c’è bellezza e infelicità.
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Berenguer non ignora come nell’arena il toro possa vincere solo se il torero commette un errore, in genere riconducibile all’orgoglio e alla superbia. “Bada che ti osservo, bada che conosco tutto di te, bada che se abbassi la guardia o mi sottovaluti io ne approfitterò”, raccontano gli occhi del toro nella solitudine dell’arena. Ad Alex Berenguer, quando gli contestualizzano la vita dalle parti dello “Juventus Stadium”, tutto deve essergli stato improvvisamente chiaro. Il Toro è nato per provare ad inchiodare l’orgoglio e la superbia bianconera, e chi gioca per lui non dovrebbe dimenticarlo nemmeno per un secondo. La squadra granata si trova nell’Encierro con la Juventus, si trova confinata con il torero, dotato dalla sorte di tutti i vantaggi del mondo. “Sono confinato con te e non posso fuggire. Ma, tranquillo, non ho proprio nessuna intenzione di farlo, perché non ho nessuna paura di morire. Non ti darò la soddisfazione di sentire la mia paura. Lunga o corta che sia è la mia vita, non è la mia sopravvivenza”, sussurra nell’orecchio della “Vecchia Signora” un Toro non sostenuto da un “paso doble” ad annunciare un trionfo, ma mai domo.
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“El Pollito” deve essere rimasto impressionato da tutto questo, non poteva certo immaginare come nel calcio potesse esistere una squadra messasi volontariamente dalla parte del punto di vista del toro. E per la prima volta, forse, prova vergogna per non averlo mai capito quel punto di vista. Nei tre anni trascorsi in granata si applica, cerca di imparare, non fa mai una polemica anche quando finisce in panchina, non si intristisce; aspetta il suo momento, e se non sarà nel Toro poco importa. Nel primo mercato calciatori dell’era pandemica, molti si sorprendono della valutazione, 12 milioni di euro, che l’Athletic di Bilbao da di Berenguer; una sorpresa figlia della poca attenzione con cui questi tempi osservano i dettagli. Il ragazzo di Pamplona saluta con educazione e torna a casa, e in poco tempo diventa una delle liete sorprese del campionato spagnolo che sta per concludersi. Tutti si accorgono come non sia più il giocatore partito a suo tempo alla volta dell’Italia, la visione del toro è entrata dentro di lui. Danza ancora sul pallone come un qualsiasi ragazzo spagnolo, ma stavolta ne soppesa il rischio, stavolta non è solo forma, ma anche sostanza. Nel “corral” della salita di Santo Domingo i tori aspettano, tranquilli, il prossimo “Encierro”. Il toro ci osserva, ci valuta… troverà ancora un uomo in noi?
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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