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Nasser El-Khelaifi: un buon padre di famiglia

PARIS, FRANCE - AUGUST 11: Lionel Messi poses with his jersey next to President Nasser Al Khelaifi after the press conference of Paris Saint-Germain at Parc des Princes on August 11, 2021 in Paris, France. (Photo by Sebastien Muylaert/Getty Images)

Torna l'appuntamento con la rubrica di Carmelo Pennisi: "Eleggendo Nasser El-Khelaifi al vertice dell’Eca i club europei hanno messo la volpe a guardia del pollaio"

Carmelo Pennisi

“A me bastava

una cravatta”.

Woody Allen

Quando si assiste ad un teatrino simile a quello messo in scena all’ultima Assemblea Generale de l’European Club Association (ECA), non è lo sconforto il primo sentimento a tediarti, ma piuttosto la sgradevole sensazione come ormai nulla si possa fare per fuggire dall’ineluttabile. Il filosofo Andrea Emo, in uno scritto postumo, prefigurò il destino alla stessa stregua di un’offerta, sottoscrivendo la libertà come condizione primaria di ogni avventura umana, anche quella più complicata e svantaggiata. Poiché è da supporre come a tutti debba apparire chiara la necessità “della libertà di adesione” come precondizione di ogni possibile offerta, logica contraria di ogni concetto di imposizione. Perché restiamo turbati ogni qual volta accade ciò che sapevamo dovesse accadere? Vai a capire, ma il turbamento dovrebbe essere parte di un comune sentire nel momento in cui si apprende come un “Drago”, l’ennesimo, si sia preso non solo parte della tua cultura e della tua anima, ma addirittura abbia deciso di sbeffeggiarti mettendosi visibilmente alla testa di ciò che ha scippato. Nasser El-Khelaifi, che definire solamente presidente del Paris Saint Germain sarebbe un'ingannevole “diminutio”, è stato eletto presidente della potente associazione dei club calcistici europei, e ha parlato subito di “rinnovata speranza per la nostra organizzazione e per la famiglia del calcio europeo”. Le parole, si sa, sono importanti, ma è ancora più importante chi le pronuncia, altrimenti diventano solo riverberi fonetici di retorica. È difficile non sorridere amaramente davanti al protagonista principe della rottamazione del calcio europeo, pervertendone probabilmente ogni tradizione, quando si erge a suo buon padre di famiglia.

Benedetto da Aleksander Ceferin, il più incapace dirigente mai eletto al più alto scranno dell’Uefa, il magnate qatariota (chiamiamolo così...) ha sparato bordate ad alzo zero contro Andrea Agnelli e sodali SuperLeague, nell’intenzione di mutarsi, agl’occhi della pubblica opinione, da “Drago” a nuovo “Lancillotto” del terzo millennio. Al netto della curiosità di chi possa assumere le vesti di una possibile “Ginevra”, cerchiamo di capire, attraverso la vicenda Neymar, l’agire di un personaggio uscito più da “Ali Babà e i 40 Ladroni” che “dalla grande famiglia europea”, da lui omaggiata con tanto di quel miele dal sapore più avvelenato che dolce. Nel 2017 servono 222 milioni per pagare la clausola rescissoria dell’asso carioca, e portarlo così via al Barcellona. Dalle parti della Catalogna dormono sonni tranquilli, impossibile ci sia uno talmente folle da tirare fuori una cifra simile in nome del libero mercato. Non hanno considerato, in casa blaugrana, l’esercizio del libero esproprio, vera sottrazione di un bene effettuata attraverso una determinata forza inarrestabile (in genere uno Stato).

E deve aver pensato a se stesso come ad uno Stato, El-Khelaifi, quando fa planare un assegno da 222 milioni su “Le Ramblas” di Barcellona, roba da far impallidire la statua di Cristoforo Colombo eretta dal 1888 a indicare con un dito il mare. Difficile dire se all’epoca il mondo del calcio ebbe subito la percezione di come quell’assegno avesse fatto andare il pallone ben oltre le sue mitiche “Colonne d’Ercole”, ma lo shock di quella operazione di mercato non fermò la voglia di “grandeur”, sempiterno faro esistenziale dei francesi, e la “Tour Eiffel” si accese dei colori verdeoro della bandiera brasiliana. Tradizionale spocchia francese e protervia da gas naturale qatarino, mettono in scena uno spettacolo di una volgarità senza pari e fanno dichiarare a Neymar di non vedere l’ora di mettersi a disposizione dei parigini, per “far felice i suoi milioni di tifosi in giro per il mondo”. È il festival della tracotanza, foraggiato da uno degli emirati che con la “Qatar Charity”, secondo quanto raccontato in un libro dal giornalista di “Le Figaro” Georges Malbrunot, oggi è protagonista assoluta “nel finanziamento dell’Islam in Europa”. Sarà questo il motivo della clausola sbalorditiva, molto ben remunerata, del contratto a legare Neymar al Psg, in cui si vieta categoricamente al campione brasiliano di fare propaganda politica o religiosa.

 PARIS, FRANCE - AUGUST 11: President Nasser Al Khelaifi answers journalists during a conference of Paris Saint-Germain at Parc des Princes on August 11, 2021 in Paris, France. (Photo by Sebastien Muylaert/Getty Images)

Il sillogismo appare abbastanza chiaro, se non sei islamico metto il tuo silenzio in una gabbia talmente dorata, da scongiurare qualsiasi  tentazione di vivere i tuoi diritti di opinione. Comprare, comprare e ancora comprare, questo è il leit motiv di chi parla del calcio europeo come una famiglia, da lui evidentemente non molto apprezzata. Si compra qualcuno quando non lo si stima molto e la cosa non deve sorprendere, visto come dietro quella maschera sorridente sempre ben esibita, El-Khelaifi, da buon musulmano sunnita, non deve amare molto la cultura occidentale, dal suo punto di vista urgentemente da convertire perché profondamente corrotta e lontana dalla verità. Il presidente del Psg sa bene come noi europei contemporanei si sia immersi nel nichilismo, e come un generale mandato in avanscoperta alla ricerca di una “Austerlitz” da combattere e stravincere, ad un certo punto deve aver capito come nel calcio europeo fosse penetrato un malefico “bug” (la tv) a disorientarne il rito. Abbarbicati ad un “Patto di stabilità” perfetto impossibile da trovare e ad una “Unione Europea” rimasta solo sulla carta, i politici europei consentono ad El-Khelaifi di agire indisturbato sul significato più profondo del calcio, strettamente collegato alla “Creazione”  e al concetto biblico “del settimo giorno Iddio si riposò”. È un attacco, quello del magnate qatarino, senza precedenti al pensiero giudaico/cristiano del Vecchio Continente, perché agisce proprio in ciò in cui l’Europa ha fatto la differenza nelle vicende culturali del mondo. Il settimo giorno ci si riposa, ci si riunisce, ci si interroga sul perché si sta insieme, e si finisce per dare un qualche senso al nostro riposo dalla “creazione” e dalla “fatica” lavorativa di tutta una settimana. Fu questo il seme piantato dagli aderenti al dopolavoro ferroviario di Salford  (Greater Manchester), e il Manchester United ne fu il felice raccolto. Umberto Garimberti, animato dal suo solito pessimismo cosmico di origine greca, sostiene da tempo come alla fine dell’Occidente corrisponderà la fine del cristianesimo. Ma cambiando l’ordine degli addendi, seppur non influisca nel risultato di un’addizione, qualcosa contribuisce nel comprendere alcuni parametri veri del nostro sommare: senza le radici giudaico/cristiane non c’è Occidente.

Svuotare di senso, questo è il compito portato avanti da Al-Khelaifi, una volta resosi perfettamente conto dell’assenza di un “Paladino Orlando”  a difesa del “Passo di Roncisvalle” del calcio europeo. Compra sempre di più il “settimo giorno” e lo annichilisce, rimuovendolo dalla memoria di ognuno di noi. Poi obbliga Neymar, sempre attraverso ricca clausola contrattuale, ad essere gentile con i tifosi nei dopo partita. Magari un salutino con la mano ci sta pure, come l’immobiliarista perfetto con cui hai appena concluso la transazione di un “trivani” appena passabile, frutto dell’ultima speculazione immobiliare rinominata “piano di espansione urbanistica” per la città del futuro. Michel Houellebecq, in una sua celebre riflessione, avverte gli europei della loro mancanza di immaginazione rispetto al punto di vista di chi progetta la distruzione del sistema sociale che hanno ereditato. Eleggendo Nasser El-Khelaifi al vertice dell’Eca i club europei hanno messo la volpe a guardia del pollaio, hanno dato il via libera a chi non può proprio capire cosa sia lo spirito del calcio, con la possibilità concreta di farne altro da sé.

E se accettiamo come parte di una verità eterna la lezione di Martin Heidegger, ovvero come “Il mondo sia la copia delle idee”, allora il “conosciuto” in cui siamo nati e cresciuti è davvero in pericolo. È importante prenderne atto? Se il mondo copiato dalle nostre idee è quello di una birretta di fronte ad uno schermo tv, e se qualcuno in questo momento sta pensando che questo scritto non stia parlando di calcio, allora si può fare a meno di prenderne atto. Il pericolo risiede solo nella gradazione e nella temperatura della birretta. Osservate bene la foto che ritrae Nasser El-Khelaifi, mentre parla all’ultima Assemblea Generale dell’ECA. Dilungatevi sulla fattura raffinata del suo completo sartoriale. Soffermatevi sul nodo perfetto della cravatta. Potrebbe sovvenirvi una inquietante frase di James Joyce: “Poco importa l’anima. L’importante è che la mia cravatta non sia messa di traverso”. Credo non ci sia altro da aggiungere, se non buona fortuna a tutti noi.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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