Appena terminato, come tutti abbiamo visto, lo squallido campionato dei nostri eroi, è riemerso nel dopo gara un evidente risentimento del presidente nei confronti del tecnico Vanoli. Ormai Cairo lo conosciamo, in senso figurato, da qualche annetto e dunque sappiamo ciò che lo indispettisce maggiormente. Già con Juric si era manifestato il problema: un dipendente molto ben pagato che, travalicando il proprio ruolo, lancia frecciate alla società sul modello Conte o Mou. Ecco, io sinceramente penso che Vanoli, nel suo ruolo di tecnico, avrebbe fatto molto, ma molto meglio a parlare vis a vis con chi di dovere di tutte le cose che non gli sono piaciute della stagione, ma non in conferenza stampa, visto che poi i risultati dell'ultimo periodo si sono rivelati non eccelsi. Questo prescinde dalle qualità e dalle responsabilità del tecnico. Io sono tifoso e critico e mi esalto (raramente) per la mia squadra, intesa come calciatori e società. Pago un biglietto e dico ciò che voglio.


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I calciatori — incommentabili e sempre pieni di alibi — pensassero a fare i seri professionisti. Un dipendente come Vanoli, che è stato pagato 800 mila euro ed ha un contratto da circa 1 milione all'anno per il primo anno di Serie A, faccia l'allenatore al meglio; poi, se il menu non gli piace, saluta e se ne va. Questa polemica ha le radici nella cessione di Bellanova e nelle parole del tecnico il giorno seguente, tutt’altro che accomodanti verso la società. Le "nove finali" inguardabili hanno rianimato il risentimento. Verosimilmente sarà esonerato. Cairo è attaccato ogni dove, presumo che non gradisca esserlo dall'interno della società. Rimane un piccolo o grande diversivo rispetto a una gestione societaria che sempre, dico sempre, non sa fare un minimo di autocritica per migliorare qualcosa: solo doglianze verso i tifosi che, incredibilmente ed immotivatamente, dopo un risalente ed iniziale periodo di consenso, hanno mutato orientamento, indispettiti da un vuoto progettuale cosmico. Si parla solo di piazzamenti e di Europa, come se il Toro fosse avvezzo ai successi. Si dovrebbe parlare di strutture, di stadio, di academy, di foresterie per i giovani, di affiliazioni nel mondo, di brand, di tifosi (la benzina di tutto), di dirigenti abili e seri, di innovazione — tutte cose mai seriamente affrontate. E non mi si racconti del Robaldo (ci giocavo già io 35 anni fa) o del Fila, costruito praticamente in toto con soldi pubblici.
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Tutto ciò, da tifoso, mi dispiace, pur avendo ben presente che nessun presidente di una società di calcio è lì per passione, ma per un proprio interesse o ambizione. Vale per tutti, anche per il nostro. Cairo è sempre stato prevalentemente un abilissimo imprenditore di numeri, non di investimento, o come si dice oggi, un "visionario" e di rischio. Di regola ha risanato e rilanciato imprese già esistenti; raramente ha rischiato per creare dal nulla. È stata una scelta applicata anche al calcio: società snella, costi in linea con le entrate, nessuna intenzione di fare "investimenti". Questi sono gli ingredienti e dunque i piatti hanno sempre il medesimo sapore. Il problema è che in Italia vengono acquistate da stranieri società di calcio ogni mese. L'unica che nessuno compra (con i giusti progetti) è il Toro. Potremmo fonderci con il Cit Turin, che ha i campi da allenamento...
Avvocato penalista, appassionato di calcio (ha partecipato al corso semestrale di perfezionamento in diritto e giustizia sportiva presso Università di Milano), geneticamente granata, abbonato al Toro da circa trent’anni.
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