L'altra sera, assistendo alla sconfitta della Fiorentina contro il West Ham, quella frase è ritornata prepotente alla memoria, nella smania autolesionistica dei Viola di volersi a tutti i costi immolare all'altare della sfiga. Prima è capitata l'occasione ribalda di vincere la partita con una furbata: un oggetto lanciato dagli spalti lacera il cuoio capelluto di Biraghi che stoicamente rimane al suo posto, bendato e sanguinante gladiatore.
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Trentatré anni fa Alemão del Napoli venne colpito, a Bergamo, da una monetina piovuta dagli spalti e gli Azzurri vinsero a tavolino, quando il baffuto brasiliano abbandonò intontito il campo. Quella vittoria spianò la strada a Maradona e compagni verso il secondo scudetto: anche se Alemão non ruscellava sangue come il capitano della Fiorentina, stava abbastanza male da non poter proseguire, il che scatenò discussioni e dietrologie.
Invece Biraghi no. Lui è rimasto a combattere col suo turbante e, beffa nella beffa, ha pure provocato il rigore col quale gli inglesi sono passati in vantaggio. Certo che se in quel momento fosse stato all'ospedale a farsi controllare la ferita invece che nella sua area... Ma la sfiga ci vede benissimo e, quando può, è anche creativa: che cosa poteva esserci di più sportivamente tragico e beffardo di quel concatenarsi di eventi?
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Poi, ciliegina sulla torta, è arrivato il goal della sconfitta al novantesimo, quando tutti già pensavano ai supplementari. Sembrava il Toro, la Fiorentina, mercoledì sera. Perdere in quel modo sfortunato ed eroico sarebbe stato nelle nostre corde, e il gemellaggio che ci lega a loro non può che uscire ulteriormente rafforzato da queste inquietanti analogie.
La Viola aveva perso la finale di Coppa Italia un paio di settimane prima contro l'Inter e anche in questa duplice, crudele mazzata ci assomiglia: chi non ricorda il filotto di sconfitte che ci toccò nel 1988, prima contro la Sampdoria nei supplementari della finale di Coppa Italia e poi contro la Juve ai rigori, nello spareggio per la qualifica alla Coppa Uefa dell'anno successivo?
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La Fiorentina è diventata l'emblema dell'accanirsi del fato, ruolo che fu nostro e che di tanto in tanto ci capita di reinterpretare, eppure, in quel penare e lottare è stata bellissima, come bellissimi siamo stati noi ogni volta che abbiamo fatto a pugni con la sfortuna.
E, lottando fino all'ultimo, abbiamo perso senza perdere.
Bisogna mettere in conto che una finale può finire con una sconfitta, e allora fa male, molto male. Ma non giocarla fa peggio e perdere l'abitudine alla lotta, e perfino a quel genere di lancinanti dolori pallonari, è più doloroso di una sconfitta inopinata e ingenua al novantesimo.
E' un tarlo che scava dentro e, a poco a poco, svuota.
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