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LOQUOR

Cosa racconta l’arresto di Massimo Ferrero

Ferrero

Torna Loquor, la rubrica di Carmelo Pennisi: sotto i riflettori l’arresto di Massimo Ferrero e l’incursione della Guardia di Finanza nella sede della Juventus

Carmelo Pennisi

“Ha fatto la differenza”.

Sergio Marchionne

L’arresto di Massimo Ferrero e l’incursione della Guardia di Finanza nella sede della Juventus ancora una volta pongono delle serie domande in quale direzione stia andando il nostro Paese, messo frequentemente in ginocchio anche nelle vicende del suo sport più amato. Al netto delle balle dal sapore folkloristico e retorico in cui sovente si indulge (il PIL al 6,2% previsto per il 2021 è il logico rimbalzo di chi è caduto molto in profondità nel corso delle vicende pandemiche e non perché improvvisamente sia calato un mago a Palazzo Chigi), rimangono evidenti tutti i nodi al pettine non sciolti nel corso degli ultimi trent’anni di continue trasformazioni subite dall’Europa in materia economica, politica e istituzionale. Trasformazioni subite, e ancora in corso, anche dal mondo del calcio, che a partire dalla nascita della Premier League nel 1992 e finendo con gli ingresso dei Qatariani nel 2011 sul ponte di comando del Paris Saint Germain ha fatto decisamente virare verso una visione neo liberista le vicende continentali del gioco più seguito al mondo. In Italia questa visione da nuova via dell’oro ha subito preso la connotazione di una tragica deriva, dove la tanto strombazzata via del mercato, prefigurata come salvifica per la ristrutturazione del nostro Paese, ha affidato le sorti del calcio a tutto il peggio a potersi immaginare, e anche oltre.

La Federcalcio, e tutti i suoi organi di controllo, consultando una pagina di Wikipedia avrebbero facilmente appreso il pedigree giudiziario di Massimo Ferrero e quanto sarebbe stato inopportuno affidargli i destini di un club importante come la Sampdoria. Invece si è scelto di chiudere gli occhi (un amico mi ha suggerito anche le orecchie) per non ammettere pubblicamente una ennesima verità penosa sul calcio italiano: a parte un personaggio dubbio come Ferrero, nessuno voleva comprare il club blucerchiato. E nemmeno Ferrero alla fine l’ha comprato, avendo acquisito gratuitamente il club dalla famiglia Garrone, che evidentemente non vedeva l’ora di scappare via. Nessun imprenditore serio oggi si butterebbe nell’avventura della Serie A per fare business regolare, e se i due club (Juventus e Napoli) che hanno primeggiato negli ultimi dieci anni nelle vicende del nostro campionato sono al momento sotto la lente di ingrandimento della Covisoc (Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche) relativamente alle questioni delle famose plusvalenze, ed una addirittura (la Juventus) sta subendo un procedimento giudiziario da parte della Procura della Repubblica di Torino, allora si può facilmente comprendere come il degrado ormai la stia facendo da padrone. Oggi un club italiano lo si acquista o per fare affari sui debiti scritti in bilancio (chiamiamola per quella che è: guadagnare sul debito attraverso giochi finanziari) o per arricchirsi attraverso un reticolato di relazioni (che vanno dai direttori sportivi, ai giocatori, ai procuratori, ai presidenti, ai controllori che non controllano, ecc.) con un unico obbiettivo concordato tra le parti: le plusvalenze.

Questo spiega il motivo per cui alcuni club siano stati acquisiti da fondi di investimento di non primaria importanza (sarebbe impossibile vedere soggetti come Goldman Sachs o Merryll Lynch agire nel contesto da pollaio asfittico della Serie A), non certo attirati dalla ennesima promessa di riforma del mercato e dello Stato impossibile da verificarsi per chiunque abbia un minimo di cognizioni economiche, sociologiche e storico/culturali. Sergio Marchionne, di cui si può dir tutto e il contrario di tutto ma non che non sia stato un grande uomo di impresa, aveva subito capito, nel momento in cui aveva preso su di sé la sfida impossibile di risanare la FIAT, come il centro della questione fosse quello di aumentare la produttività del  lavoro, problema atavico italiano, e soprattutto di tornare a fare automobili di qualità. Semplice a dirsi, impresa dannatamente difficile a farsi, anche perché tutti vorrebbero le cose migliori sole nelle intenzioni e mai nella pratica. Il compianto manager italo canadese si convincerà in seguito, e molto amaramente, come “l’Italia alla fine non abbia alcun interesse ad abbracciare il cambiamento, che preferisca mantenere lo status quo e che siano veramente pochi quelli disposti a mettersi contro il sistema, inclusa gran parte della classe dirigente”. La mancata ricerca della qualità del prodotto è il vero problema del calcio italiano, figlio di una realtà che da diversi decenni lo utilizza esclusivamente come uno spettacolo da portare avanti per ricavarvi tutto il possibile, a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo e a fronte di qualsiasi risultato messo in scena. Il confronto con i club della Liga, della Bundesliga e della Premier League è impietoso, e basterebbe almeno una volta visitare i “luoghi” delle squadre di questi tre campionati per capire la distanza siderale, nella qualità degli investimenti strutturali, con il niente presente nel nostro massimo campionato, dove si progettano continuamente nuovi stadi e alla fine si finisce sempre per parlare e azzuffarsi sulla mole di denaro da spartirsi proveniente dalla tv.

Essere in mano a degli arrivisti in cerca di far cassa per le loro tasche, fa venire meno l’attenzione e l’impegno verso alcuni risultati sportivi, relegando l’Europa League a una questione troppo povera di ricavi per essere presa sul serio. Il calcio italiano promotore di un mercato di svariati miliardi di euro, se si considera anche l’indotto, è in mano ad un management talmente inadeguato e arruffone da essersi consegnata mani e piedi alla potente casta dei procuratori, sempre pronti ad alzare a proprio vantaggio i costi del calcio e ad assecondare il malcostume delle plusvalenze taroccate. Da quel che si sta apprendendo in queste ultime settimane, l’operazione Cristiano Ronaldo è stata condotta in modo così precipitoso e dilettantesco da far dubitare delle capacità della famiglia imprenditoriale principe del sistema economico/industriale italiano, quella degli Agnelli. La gravità della situazione della Juventus è tale che John Elkann, capo indiscusso della controllante “Exor” (cassaforte della famiglia), ha preteso, come condizione dell’aderire all’ultimo aumento di capitale della società bianconera, una dichiarazione firmata in cui si contempla l’eventuale esercizio del diritto di recesso dei Garanti in caso di problematiche legate alla continuità aziendale. Difficile dire se si è o meno alla fine del regno di Andrea Agnelli alla Juve, ma l’affaire plusvalenze e le opacità intorno all’operazione Cristiano Ronaldo sono solo le ultime bufere avvicendatesi sotto la sua presidenza. Siamo lontani, davvero lontani, dal calcio tedesco, con il Bayern di Monaco a chiudere il suo 29esimo bilancio in utile consecutivo, capace di resistere al rincorrere le folli spesi arabe e lo strapotere economico/commerciale della Premier League, e ottenendo comunque stadi pieni in ogni ordine di posti e bilanci in utile da far invidia a qualsiasi SpA. La politica tedesca, attraverso adeguate riforme, è riuscita nell’impresa di far incontrare concretamente il mondo dei tifosi e quello dei club di riferimento, rendendo appetibile il mondo calcio all’imprenditoria tedesca, da questi sostenuto attraverso un’opera di sponsorizzazione economica senza precedenti. Quando si dice fare sistema, e non è un caso come l’unica assenza al folle progetto della SuperLeague sia proprio quella tedesca. Al calcio italiano manca un progetto favorito e indirizzato dalla politica, qualcosa che riporti un contenuto di verità a riempire uno spazio al momento occupato da presidenti avventurieri e famelici (con qualche dovuta e rara eccezione) poco attenti al bene del gioco e dei suoi tifosi.

Siamo il Paese delle chiacchiere e degli storytelling (versione semantica anglofona delle chiacchiere), e mentre in queste settimane si attende la soluzione della tragicommedia Salernitana, resta solo da sperare per il calcio italiano in un miracolo difficile da sperare e finanche da ipotizzare. Nella cassaforte di Massimo Ferrero la Guardia di Finanza, nella sua perquisizione giudiziaria, pare abbia trovato quindicimila euro in contanti e una pistola. Sembra una azzeccata e geniale sintesi letteraria sulle vicende del nostro calcio e non solo. Nel libro della “Sapienza” sta scritto che “siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati”, lasciando quasi a intendere di non dare molta importanza alle nostre opere. Ma non ci si inganni sul lavoro portato avanti dalla Sacra Scrittura per difenderci dalla  vanità, perché delle opere comunque, a dispetto del nostro nome, rimarranno tracce nel tempo. Siamo venuti per cambiare, non per arrenderci. Si aiuti il calcio, quindi, a recuperare la sua memoria.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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