In campo il Toro indossa QUELLA maglia, quella degli Invincibili, quella dal colore russ cume el sang, quella con lo scudetto. E non importa se chi la indossa è Vieri, tornato granata per una sera sola (cosa sarebbe potuto essere, se ti avessimo tenuto Christian), Ferrante, Beppe Scienza o Sommese. In quel mischiarsi di ex che tornano, giocatori del presente e speranze per il futuro conta solo quella maglia, è lei che gioca. Di fronte ci sono Ronaldo, Baggio, Weah, ma noi abbiamo quella maglia, le cui maniche venivano tirate su per far capire che era ora. Quelle maglie, al 27’, segnano.
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Asta porta a spasso sulla fascia il numero undici di Ossola, arriva sul lato destro dell’area e crossa verso il secondo palo. Stefano Fattori non sa ancora per cosa diverrà tristemente famoso. Ha la sei di Castigliano. E cosa faceva Castigliano? Segnava. Ha anche vinto una classifica marcatori nel girone finale dell’anomalo campionato 1945/46. Quindi segna anche Fattori ed è un gol meraviglioso, in acrobazia. Ecco, se penso a Fattori, penso a questo gol e non a quella cosa là (certo che se avesse messo dentro quella cosa là, in otto, probabilmente starei esultando ancora adesso, ma no, non pensiamoci). Fattori che vola, che sforbicia, che esulta indicando il cielo.
Da quel momento i ricordi si fanno confusi, vedo solo quelle maglie danzare, le immagino con altri corpi dentro, vanno da sole. I fischi a Inzaghi, i tamburi, il pareggio di Fabio Junior. Tutto è come attutito. Ho solo quelle maglie meravigliose negli occhi. Le ho quando finisce la partita, quando risalgo in auto, durante un viaggio di ritorno dove non dico mezza parola, assalito da una malinconia assurda. Pensando a quanto puoi amare qualcosa che non hai mai visto, ma ti sembra comunque di aver vissuto. Sono le ultime ore del 4 maggio 1949, cinquant’anni dopo.
Settantuno anni dopo, alle 17.03 non sono uscito sul balcone. C’era già una maglia granata appesa poco prima, bastava lei. Io ho aperto Spotify, ho messo su “Quel giorno di pioggia” dei Sensounico, ho pensato all’aereo, a cosa il fato ci ha tolto, ma soprattutto a cosa ha tolto a loro, a quegli uomini simboli di un riscatto, che avremmo comunque amato ugualmente, non serviva morire, sarebbero stati lo stesso leggenda, destino maledetto. Pensavo a quella donna immensa che è Susanna Egri, a quando racconta del papà, a quando parla della bambola che porta sempre con sé. Pensavo a quello che c’è qua fuori adesso e ho fatto una cosa che non facevo da troppo. Ho pianto. Ma soprattutto ho deciso. Ho deciso cosa fare quando tutto questo finirà davvero, la prima cosa. Salirò a Superga. Li andrò a trovare. Ho deciso e, per un attimo, mi sono sentito quasi bene. Grande Torino per sempre.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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