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LASCIARCI LE PENNE

Nel 2024 granatizziamo il mondo!

Un nuovo appuntamento con "Lasciarci le penne", la rubrica di Marco Bernardi

Un mondo d'amore

Gianni Morandi

(1967), RCA Italiana

Qualche giorno fa, quando sui siti specializzati e sui giornali è comparso il primo progetto dei futuri campi del Robaldo per le nostre formazioni giovanili, un enorme rettangolo a due passi dal mausoleo della Bela Rosin e dai resti del castello di Mirafiori, mia madre lo ha commentato citando i primi versi di un vecchio successo di Morandi: C’è un grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi. In quelle poche parole tutto era detto: il grande prato verde destinato a far crescere i giovani granata, pilastri sui quali poggerà la nostra squadra del futuro, le speranze di anni di soddisfazione cresciute in casa a pane e Toro, come una volta accadeva al Fila. Un mondo filtrato da lenti dei nostri colori, per trasmettere valori e legare saldamente le nuove leve all'ideale incarnato dal nostro modo di essere ed intendere lo sport. Negli scorsi giorni sulle pagine di Toronews si è svolto il sondaggio per l'intitolazione degli impianti del Robaldo e il nome di Ferrini è stato il più votato, seguito da quello di Sergio Vatta e, più indietro, da quello di Emilano Mondonico. Il problema è che tutti loro, come Valentino Mazzola, don Aldo Rabino e Gigi Radice, gli altri che si contendevano la supremazia nel sondaggio, meritano il ricordo. A Giorgio Ferrini, a cui ora è dedicato lo spicchio più esclusivo delle tribune dell'Olimpico Grande Torino, io intitolerei l'altra curva, quella opposta alla Maratona, oggi battezzata asetticamente Primavera, e che meriterebbe un nome ruggente e trascinante come quello del grande Capitano. Distinti e tribuna dello stesso impianto dovrebbero ricordare Mondonico e Radice. Valentino Mazzola è già presente nel nome del nostro impianto principale, che ricorda tutti i caduti di Superga in un'unica intitolazione, come è giusto che sia, trattandosi della più raffinata e vincente macchina calcistica mai progettata, in cui anche i talenti più luminosi si fondevano in un collettivo inarrivabile. Restano Vatta e don Rabino: nulla impedirebbe di ricordarli insieme, unendo, nel nome di battesimo del Robaldo, la tecnica, la visione del futuro e la perizia del tecnico con l'etica e la dirittura morale del nostro storico cappellano. Sono sensazioni, le mie; speranze di ulteriore granatizzazione dei nostri impianti, nella convinzione che anche con la corretta toponomastica si possa accrescere il senso di appartenenza e rafforzare la memoria delle giovani generazioni. Una decina di anni fa era uscito Il Toro che vorrei, opera scritta da don Aldo pochi mesi prima della sua scomparsa a quattro mani col giornalista cuore granata Beppe Gandolfo: era, attraverso un botta e risposta tra i due autori, il ripercorrere la nostra storia sportiva per identificarne i caratteri dominanti e imprescindibili attraverso il ricordo dei protagonisti che quella storia l'avevano fatta. Il Toro che tutti vorremmo è memoria e futuro, perché perpetuare la nostra memoria può fare da volano per i futuri successi. Diamoci una mossa, quindi, nel marchiare dei nostri colori tutto il marchiabile, prima che lo facciano altri: piantiamo la nostra bandiera granata sul suolo lunare prima che arrivino gli Americani di turno, con le loro stars and stripes, ad impossessarsene. Una curva chiamata Primavera rischia di far venire in mente i primi tepori postinvernali o, peggio, gli involtini cinesi; la curva Giorgio Ferrini sarebbe un urlo di guerra che farebbe tremare le gambe degli avversari solo a sentirla nominare. Buon anno a tutti, cuori granata. Sarà un anno bisestile, il prossimo: incrociamo le dita, teniamo duro e granatizziamo il mondo!

Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore.

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