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Culto

Cinquantanove giorni

Francesco Bugnone

In 59 giorni Paolo Poggi è entrato nel cuore di noi tifosi e nella storia del Toro: alcuni giocatori non ci riescono in anni e anni. Francesco Bugnone, nella nuova puntata di Culto, ci spiega il perché

Cinquantanove giorni (per essere precisi dal 31 gennaio 1993 al 31 marzo 1993, estremi inclusi): è questo il lasso di tempo impiegato da Paolo Poggi per entrare di diritto nella storia del Toro. C’è chi non ci riesce nell’arco di anni. Certo, segnare due reti alla Juventus (e che reti) in una semifinale di Coppa Italia aiuta parecchio, ma andiamo con ordine.

Estate 1992: la tifoseria granata ha il cuore spezzato per le cessioni di Benedetti, Bresciani, Cravero, Policano e Lentini. In quei giorni convulsi due acquisti fatti quasi in contemporanea vengono presentati davanti a una manciata di affezionati. Il primo è Andrea Silenzi, viene da due stagioni non proprio memorabili a Napoli e di lì a meno di un anno sarà l’eroe delle finali di Coppa Italia, il “Re di Roma” che ci farà alzare un trofeo strappato al destino con in denti. Il secondo è Paolo Poggi, giovane attaccante di ventun anni che con tredici reti nelle ultime due stagioni ha contribuito in maniera decisiva a portare il Venezia in B prima e a salvarlo poi.

Paolo viene introdotto gradualmente in squadra da Mondonico, complice il servizio militare che non lo fa allenare con continuità. Un paio di spezzoni in Coppa Italia, una ventina di minuti nell’assalto disperato a Mosca dove scheggia la traversa con un pallonetto, l’esordio in A, guarda caso, nel derby, sebbene amarissimo. Nel finale contro la Roma sfiora la rete con una girata a lato di pochissimo. Contro il Napoli provoca l’espulsione di Nela. Tanti spezzoni fino ad arrivare al primo dei cinquantanove giorni, quello dove gioca la sua prima da titolare con la maglia numero nove sulle spalle in sostituzione di Pato Aguilera.

Il Toro ha chiuso il girone d’andata con un’immeritata sconfitta contro l’Inter e non vince dall’otto novembre a Roma contro la Lazio, però, sempre contro la Lazio, in Coppa Italia, rinasce. Sotto 2-0, nel baratro, i granata si riaccendono con una splendida percussione di Fusi e gelano l’Olimpico nel finale con una punizione di Scifo su cui Fiori si impapera. Ad Ancona soffriamo, non giochiamo benissimo (come si evince dal servizio quasi in lacrime di Giancarlo Trapanese per la Rai), ma vinciamo e fa tutta la differenza del mondo. Poggi, da una ventina di metri, approfitta del fatto che nessuno gli vada sotto e scocca un sinistro straordinario che termina la sua corsa sotto l’incrocio dei pali permettendoci di espugnare il “Del Conero”.

Poggi è titolare anche nel match successivo contro il Brescia, il primo con Goveani presidente, reso famoso dal fallo di Bruno su Raducioiu. Col numero undici sulle spalle è la variabile impazzita del tridente con il rientrante Aguilera e Casagrande e Lucescu non riesce a prendergli le misure. Stavolta non va a segno, ma provoca l’espulsione di De Paola nella ripresa ed entra nell’azione del secondo rigore concesso ai granata in pieno recupero (Scifo fallisce, ma fortunatamente aveva realizzato nel primo tempo il penalty dell’1-0 finale). Paolo parte dall’inizio, pur senza brillare particolarmente, nel rocambolesco 2-2 di Parma, gioca uno spezzone nel 3-1 al freddo al gelo contro il Pescara e poi torna titolare in casa della Samp dove è ancora decisivo.

E’ una splendida giornata di sole e il Toro la onora giocando benissimo a Marassi. Poggi ha un’occasione in avvio di ripresa, ma il suo pallonetto sull’uscita di Pagliuca è alto di poco. Al 72’, però, trova il modo di farsi perdonare quando, dopo la respinta del palo sul colpo di testa di Aguilera, è il più lesto a ribadire in rete col destro. Alla Samp, priva di Mancini sostituito da un giovanissimo Enrico Chiesa, non resta che piagnucolare per una rete giustamente annullata a Lombardo nel primo tempo. Noi, invece, saliamo al terzo posto.

Due giorni dopo c’è il primo dei due derby più importanti dell’anno, quelli che valgono l’accesso alla finale di Coppa Italia. Lo affrontiamo da favoriti, siamo davanti ai gobbi in classifica, stiamo meglio e il primo tempo sembra confermare queste impressioni, anche se, pur andandoci molto vicini, non la buttiamo dentro. Poi, a inizio ripresa, la doccia fredda con Sergio che falcia De Marchi in area e Nicchi che decreta un rigore, dopo averne ignorato uno su Casagrande nella prima frazione. Roberto Baggio non trema dagli undici metri. Al 59’ Mondonico rompe gli indugi e getta nella mischia Poggi per Sergio: il “Paolo Poggi alè alè” che parte dalla Maratona è segno di come ci abbia già rubato il cuore. La mossa dà i suoi frutti al 78’. Annoni prova a sfondare in area da destra, perde l’equilibrio, ma in qualche modo il pallone arriva a Scifo che, con una carezza, lo mette sul secondo palo per Casagrande. Walter prova la torre che, deviata da un difensore, cambia traiettoria. Poggi è prontissimo a seguirla, a coordinarsi e con uno splendido sinistro volante scaraventa nel sacco poi, quasi incredulo, esulta come un folle. Dopo la gara, molto più pacato, dice che è questione di attimi, che su palloni come quelli non c’è nemmeno il tempo di pensare. Poggi ha pensato in fretta e agito bene. Il Toro raggiunge l’1-1, ma, essendo in casa per il calendario, al ritorno dovrà o vincere o pareggiare con un risultato dal 2-2 in su.

Per questo motivo quando la Juventus sblocca il secondo atto della doppia sfida in maniera fortunosa (l’ultimo tocco è di Marchegiani dopo che il pallone è rimbalzato sulla traversa sulla rovesciata di Conte) non ci scomponiamo troppo. Un gol si doveva fare comunque. Ci va vicinissimo Casagrande di testa, ma il tempo si chiude con noi in svantaggio. Stavolta Mondonico non aspetta neanche minuto e il cambio Poggi-Sergio lo nell’intervallo. Paolo è improvvisamente il babau per i gobbi. Trapattoni prova a mettere sulle sue tracce Galia, ma al 52’ la mossa si dimostra perdente. Su lungo traversone da destra, il bianconero è bruciato, il veneziano si coordina e colpisce splendidamente al volo col sinistro a incrociare. La palla resta bassa, tesa e gonfia la rete con Peruzzi immobile. Un capolavoro simile vale la corsa sotto la curva del numero sedici, anche se costerà un’ammonizione. La Maratona è in un delirio orgasmico mentre spunta uno striscione “Zitti merde!” per silenziare ulteriormente la curva opposta. Quello striscione maligno riapparirà di lì a poco perché nel giro di un minuto si risolve la qualificazione: Ravanelli segna il 2-1 bianconero, esulta a lungo, quando si gira, però, la palla è nella sua area e Aguilera pareggia. Un gol che vale doppio in tutti i sensi, il gol che vale la finale e allora quello “zitti” ha ancora più significato dopo essere passati dall’inferno al Paradiso. Tra l’altro nell’azione è ancora decisivo Poggi con una torre per Casagrande sul solito pallone da destra di Annoni.

I cinquantanove giorni finiscono qui, da quel momento Paolo Poggi potrà fare qualsiasi cosa e non uscirà più dal libro della nostra leggenda. Lo amiamo, qualcuno, in maniera un po’ blasfema, legge nelle sue iniziali un segno del destino pensando a un altro P.P. Poggi farà ancora qualche gol pesante come il pareggio al Napoli in rovesciata (ricadendo insolitamente in piedi dopo l’acrobazia) o la rete brutta, ma importante, segnata all’Inter l’anno successivo, prima di andare via troppo presto ai tempi dello smantellamento calleriano. Lo abbiamo seguito da lontano fare cose fantastiche a Udine, sentendolo comunque “nostro”. Lo abbiamo osservato regalarci un po’ di cagarella quando ha segnato l’ultimo gol al “Delle Alpi” col rigore del 3-1 nei supplementari in Toro-Mantova, forse l’unico della pletora degli ex che non ci siamo sentiti di fischiare. Ma, soprattutto, ci ha regalato un’ultima goduria, per quanto indiretta. Una specie di bonus track.

31 maggio 1999. Juventus e Udinese giocano lo spareggio per andare in coppa Uefa: chi perde si becca un’estate sui campi periferici del continente cercando l’ingresso in Europa tramite Intertoto. In Friuli è finita 0-0 e a Torino i padroni di casa stanno vincendo per un rigore dubbio su Inzaghi. Al 68’ Jorgensen centra lungo da sinistra, Rampulla osserva la traiettoria arrivare dalla parte opposta ad Amoroso che rimette al centro dove, con Tudor e Iuliano tagliati fuori, c’è Poggi in agguato. Sinistro al volo con una mezza acrobazia, ancora una volta la rete che si gonfia, ancora una volta sotto la Maratona, ancora una volta per qualcosa di importante, ancora una volta i gol on trasferta che beffano la Signora nonostante un recupero di otto minuti. Poggi dirà che qualche amico granata gli aveva detto che avrebbe potuto mettere una maglia del Toro sotto quella dell’Udinese per mostrarla dopo un’eventuale rete, ma che aveva preferito non farlo perché sarebbe stato fin troppo provocatorio. Tranquillo Paolino, per noi va bene così.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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