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Culto

Toro-Lazio 2-0: il giorno di Marcao

Novantatrè minuti complessivi nel Toro senza gol nel 94/95, quattro gol in Champions League nel 2000. Culto di Francesco Bugnone stavolta ci racconta la storia della meteora Marcao

 “Abbiamo comprato un brasiliano”. “Un brasiliano?” “Sì, sì, un brasiliano, ma non ho capito come si chiama, era su La Stampa stamattina, ho letto di fretta. Qualcosa tipo Bolao, Golao”

Le chiacchiere di una mattina durante le ore di educazione fisica in seconda superiore trovano riscontro al ritorno a casa. Il Toro di Calleri ha acquistato un nuovo straniero, un azzardo come tanti già provati dal neopresidente nell’estate del 1994 con una serie incredibile di movimenti tra squadra smantellata e facce nuove arrivate a getto continuo. Siccome il giochino sembra stia funzionando perché non ripeterlo durante il mercato di riparazione novembrino?

Marcos Antonio Aparecido Cipriano, detto Marcao, è un attaccante ventunenne con discreta stazza (1,87 per 85 chili) e arriva consigliato da Sergio Clerici, detto “El Gringo” che, dal 1960 al 1978, ha indossato casacche di varie squadre italiane segnando oltre cento gol in serie A. Il provino in amichevole contro la Biellese, con una doppietta e un palo, convince la dirigenza a dare fiducia al carioca che, con Luiso ceduto in prestito, diventa la terza punta del Toro di Sonetti il quale, proprio in quelle ore, accoglie anche il libero Luca Pellegrini che sarà tra i migliori della stagione.

“L’ho visto una volta sola e mi pare interessante. Ma nessuna fantasia da parte nostra” è il commento del tecnico piombinese. Non siamo dalle parti del “Non lo conosco” di De Biasi su Oguro, ma l’entusiasmo è un’altra cosa. Marcao, reduce dalle esperienze al Matsubara e in Uruguay, si ritrova granata in un novembre stranissimo: il derby spostato a gennaio causa alluvione, la sosta per la nazionale e la gara contro il Milan rinviata per l’impegno dei rossoneri in Coppa Intercontinentale fanno sì che i granata disputino una sola gara ufficiale in un mese. Nelle varie amichevoli giocate per mantenere forma e concentrazione il neoacquisto alterna prestazioni in cui non vede palla, come contro lo Spezia, a prodezze come quella contro la Pro Sesto dove evita una clamorosa sconfitta con destro all’incrocio dopo avere saltato due avversari. Mentre La Stampa titola “E Marcao chiede spazio: far gol, il mio mestiere”, affermazione adatta alle rubriche di Mai dire gol, leggendo l’articolo si scoprono dichiarazioni molto più umili: sono contento di come sta andando, sono emozionato, il campionato italiano è difficilissimo, Rizzitelli e Silenzi sono fortissimi e il mio sogno è giocare almeno un minuto con loro. Paradosso dei paradossi l’undici dicembre 1994 un minuto lo giocherà, ma non sarà vicino a nessuno dei due: il giorno del 2-0 al Bari Marcos subentra a Silenzi, che ha appena siglato il raddoppio che è anche l’agognato primo centro in campionato del capitano, mentre Rizzitelli aveva già lasciato il posto a Osio a metà ripresa.

Dopo quei pochi secondi Marcao disputa due spezzoni contro la Reggiana in trasferta, mezzora scarsa senza incidere (con discreto cazziatone di Sonetti a mezzo stampa), e in casa contro il Genoa in quello che, forse, è il punto più basso di una stagione che sta per rilanciarsi con la vittoria nel recupero del derby.  Nel frattempo fioccano le prime voci che rasentano la leggenda metropolitana: l’attaccante brasiliano dorme in sede, non ha ancora ricevuto lo stipendio, non ha abiti per l’inverno rigido e glieli ha prestati Silenzi. Di contro inizia a parlare italiano: Lido Vieri, che lo accompagna in auto agli allenamenti visto che l’ex Wanderer non ha patente, è il suo maestro d’eccezione. Il dodici febbraio 1995 arriva il momento per l’esordio dall’inizio del giovane neoacquisto definito “dilettante allo sbaraglio” da Claudio Giacchino in un’intervista a Calleri.

Il campionato riparte dopo lo stop dovuto all’assassinio di Vincenzo Spagnolo nel pomeriggio di Genoa-Milan. Il Toro ospita la Lazio e deve fare a meno di Rizzitelli e Osio e così la maglia numero sette finisce proprio sulle spalle di Marcao (“Il ragazzo è con noi da tre mesi, non si pretenda la luna da lui! Però se lo mando in campo vuol dire che non è un fesso” il non proprio trascinante incoraggiamento di Sonetti). Il brasiliano viene intervistato da Angelo Caroli alla vigilia del match e sembra tranquillo: smentisce la storia della mancanza di abiti, si dice conscio di giocare più per infortuni altrui che per meriti propri, ma è pronto a cogliere l’occasione. Dice di non avere amuleti o superstizioni strane: “Credo in me stesso e nella squadra. E vado, quando posso, a messa”. Alle 14,30 l’arbitro Beschin fischia il calcio d’inizio di Toro-Lazio: è il tempo dei fatti.

Si gioca su un campaccio con la sabbia che si mischia all’erba ed è uno scontro fra concezioni calcistiche che tanto esalta la stampa dell’epoca: l’italianismo di Sonetti contro il calcio offensivo di Zeman, antenati dell’altrettanto stucchevole risultatismo vs giochismo odierno. Pastine ha subito il suo da fare in avvio per salvare su Casiraghi dopo un retropassaggio avventato di Sogliano, poi, al 15’ Pelè ha una grossa occasione dopo una manovra avviata da Pessotto e proseguita da Angloma, ma calcia debolmente. Al 18’ arriva la svolta del match con Chamot (ammonito qualche minuto prima per fallo proprio su Marcao) che perde la testa e la misura nel protestare dopo un fuorigioco non segnalato guadagnandosi un cartellino rosso per un pesante insulto all’arbitro. Davanti a più di 70’ in superiorità numerica il Toro decide di non forzare i tempi e aspettare il momento giusto per colpire, mentre la Lazio non arretra più di tanto. Al 39’ arriva il momento di Marcao, ma non per quello che dovrebbe essere il suo mestiere di attaccante bensì per un salvataggio. É lui, infatti, a dire di no a una gran botta di Di Matteo con Pastine ormai superato. Al 44’, invece, è il palo a respingere una sventola dalla distanza di Fuser e si va a riposo sullo 0-0.

Il Toro decide che l’inizio del secondo tempo è il momento giusto per colpire e lo fa trascinato da Jocelyn Angloma che comincia a essere incontenibile sulla fascia destra. Pessotto è abilissimo a lanciare l’ex marsigliese che affonda e, dal lato destro dell’area, prende in controtempo il diretto avversario con un cross basso su cui Marcao è in leggero ritardo, Marchegiani esce a vuoto e Abedi Pelè appoggia dentro la porta sguarnita facendo esplodere la Maratona. Al 59’ Signori colpisce la traversa dal limite e allora Sonetti decide di infoltire il centrocampo inserendo Sinigaglia proprio per Marcao. Il mister dirà che ha rispettato le consegne, ma il numero sette di giornata il campo non lo vedrà più. Comunque anche Marcos ha scritto una riga nel libro della storia granata contribuendo a una vittoria che verrà suggellata dal raddoppio di Angloma che merita di essere raccontato perché è meraviglioso. Pessotto, da destra, serve il laterale granata che dal limite, praticamente da fermo, lascia partire un destro a giro che si infila imparabilmente alle spalle del portiere. Di Matteo rivendica una deviazione, chissà perché, ma i tabellini non tolgono la prodezza al nazionale francese. Il Toro ottiene uno scalpo importante ed è molto vicino a chiudere il discorso salvezza.

Marcao lo ritroviamo nelle sere autunnali del 2000, più precisamente durante gli speciali Champions League di Mediaset dove vengono proposte le mini-sintesi di tutte le partite. All’inizio si pensa a un’omonimia, poi guardando bene quel giocatore che indossa la maglia dello Spartak Mosca capiamo che è proprio lui che, dopo essere tornato in Brasile, decide di ritentare l’esperienza europea andando in Russia dove vincerà due campionati e segnerà quattro reti nella massima competizione europea. Due sono contro lo Sporting (una poderosa zuccata e un morbido tocco sull’uscita del portiere dopo un triangolo con un compagno) e due addirittura contro l’Arsenal (sinistro sporco in mischia e un tocco di rapina a porta vuota) tutte importanti visto che hanno portato a due roboanti successi dei moscoviti. Forse non era il 1995 il momento giusto per vincere questa sfida, ma qualche anno dopo c’è riuscito qualcun altro a latitudini non pronosticabili. Alla fine Sergio Clerici aveva avuto un pizzico di ragione.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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