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Lasciarci le penne

Un piatto al sapor di vendetta per chi, 34 anni dopo, non ha ancora ingoiato il rospo

Marco P.L. Bernardi

Nuovo appuntamento con "Lasciarci le penne", la rubrica a cura di Marco Bernardi

La vendetta è un piatto che va servito freddo

Vorrei dare un nome al padre di questa frase, ma non ho trovato una traccia sicura su chi sia il caustico saggio che rese tanto bene una verità che tutti hanno avuto modo di sperimentare: il sottile piacere di una bonaria vendetta, infatti, accomuna ai rancorosi i generosi, i miti, quelli capaci di perdonare tutto. Se qualcuno di voi fosse a conoscenza dell'autore o dell'origine del detto, me lo faccia sapere: ringrazio anticipatamente.

Una vendetta sportiva, assaporata ad anni di distanza dall'offesa, è ancora più gustosa, perché può essere reiterata e rivissuta con identica soddisfazione.

Mercoledì scorso abbiamo giocato contro la Sampdoria.

Sempre una partitaccia, quella coi blucerchiati, perché non c'è volta che non mi riporti alla memoria il 19 maggio 1988: giovedì sera, il vecchio Comunale gremito, la Maratona ancora più piena.

Era la finale di Coppa Italia, il ritorno di un match di andata perso per 2 a 0 (con goal del 2 a 1, che avrebbe riaperto i giochi, annullato a Cravero per un fuorigioco a dir poco dubbio. Non c'era il VAR: in ogni caso, considerata l'atavica sfiga, ce lo avrebbero annullato comunque...).

Il campo era fangoso, pesantissimo.

Nonostante il risultato che sembrava condannarci, la rimonta fu rapida fino al 2 a 0: gli avversari messi sotto e in confusione, dispensatori di due autogoal, Crippa inarrestabile a galoppare su e giù per il campo, la sensazione di farcela, crescente di minuto in minuto, il trionfo lì a un passo, solo da ghermire.

Invece, dopo 90 minuti di epica battaglia, ci furono i supplementari e, a 8 minuti dai rigori, un tiro di Salsano dal limite dell'area, che assunse una traiettoria perfetta e s'insaccò, come se fosse stato telecomandato, a fil di traversa, condannandoci inesorabilmente e spegnendo l'urlo dello stadio.

Di mazzate ne abbiamo prese tante, e anche ben più dolorose, ma quella non sono mai riuscito a digerirla: ricordo tutto di quell'attimo nefasto, perfino il punto della curva in cui mi trovavo e le luci dei riflettori, biancastre.

Inoltre, quel tiro ci impose pochi giorni dopo uno spareggio UEFA contro la Juve (che, vincendo la Coppa, avremmo estromesso): loro erano freschi e riposati, noi sulle ginocchia, dopo la lotta nel fango contro i doriani. Inutile dire che la partita la perdemmo, ai rigori ovviamente.

I due tiri decisivi andarono a colpire i legni: il nostro uscì e il loro entrò. Cose che capitano solo a noi.

Il rospo ce l'ho ancora in gola, rospo ostinato che se ne sta fermo lì da 34 anni, dal momento del tiro del centrocampista doriano.

Così, quando ci riesce di battere la Sampdoria, ripenso a quel momento ed è una goccia di rivincita nel mare dell'antica delusione.

Parlare di vendetta è senz'altro troppo, però una certa dose di goduria "alla memoria" me la garantisce sempre.

E' come se quel maledetto tiro si fosse stampato sulla traversa, qualche centimetro più in alto di quella che fu la sua traiettoria letale.

E il rospo se ne va per qualche ora.

Pronto a tornare...

Purtroppo, noi del Toro abbiamo un'ottima memoria.

Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.