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Esclusiva

Tony Vigato a TN: “La mia vita per il Toro. I tifosi mi hanno tenuto giovane”

Andrea Calderoni
Andrea Calderoni Caporedattore centrale 

In esclusiva le parole di un mito del Torino, un’icona per un intero popolo. Oggi sarò a Superga insieme alla squadra

Nessun club al mondo come il Torino ha così tanti personaggi iconici che non siano calciatori o allenatori. Nell’immaginario comune dei tifosi granata c’è un totem che non ha mai segnato un gol, non ha mai parato un rigore, non ha mai guidato una squadra dalla panchina. Lui è Tony Vigato, 87 anni il prossimo 13 settembre, storico magazziniere del club granata che ha cessato l'attività solo da pochi anni. Tony per tutti quelli che vogliono bene al Toro è un mito. Nato in Veneto, si è trasferito in Piemonte nel 1951 dopo la terribile alluvione nel Polesine. Dalla sua terra natia il 4 maggio 1949, quando aveva appena iniziato la sua adolescenza, sentì alla radio la tragica notizia della morte del Grande Torino. E per lui fu un trauma, di quelli terribili, perché nelle sue vene scorreva già il sangue granata.

Tony, prima di tutto le porgo la domanda che tutti i tifosi granata vorrebbero farle: come sta? “Sto bene. Dalla pandemia in avanti non sono più andato agli allenamenti. Vado, comunque, a trovare la squadra qualche volta e a guardare qualche partita allo stadio. Resto sempre il primo tifoso. E oggi sarò a Superga”.

Invitato speciale? “Sì, mi hanno invitato e non potrò mancare. È stata la squadra a invitarmi. Ne sono contento. Potrò parlare un po’ di Toro con Alessandro Buongiorno”.

Cosa significa oggi, a distanza di 74 anni la celebrazione di Superga? “Penso che il 4 maggio sia un giorno triste. Rispetto a una volta, comunque, le cose sono cambiate. Andare a Superga con una squadra imbottita di stranieri non è la stessa cosa. Gli italiani lo sentono di più, gli stranieri meno. Sono tutti bravi ragazzi, ma non possono essere toccati al cuore come i giocatori italiani”.

Il 4 maggio a lei cosa provoca? “Beh, provoca malinconia. Il 4 maggio è un giorno che riguarda più da vicino i tifosi che i calciatori. I giocatori, infatti, un anno sono a Torino e l’anno dopo vanno in un’altra piazza. Il tifoso del Torino invece resta per sempre e ogni anno rivive quel tragico momento. Ritengo la giornata odierna una giornata triste”.

Torniamo a quel 4 maggio 1949. Che ricordo ha? “Eravamo giovani e sentimmo per radio dal nostro Veneto la notizia. Non avevamo niente, se non la radio. A quell’epoca Tony il ragazzino seguiva due sport: il calcio e il ciclismo. Aveva tre passioni: Coppi, Bartali e il Toro. Il Toro era una grandissima squadra e la passione è cresciuta quando mi sono trasferito in Piemonte”.

E il Torino Calcio è diventata la sua casa. “Appena arrivati a Torino andavamo a spalare la neve prima delle partite della domenica. Una volta, d’inverno, nevicava in modo molto abbondante e c’era sempre bisogno di ragazzi disposti a prendere la pala e togliere la neve dal campo. Mio fratello ed io iniziammo così a frequentare l’ambiente del Filadelfia”.

In effetti, il vero magazziniere di famiglia era suo fratello Brunetto. Lei ci tiene sempre a ribadirlo.“Sì, era lui dipendente del Torino e lo è stato dalla metà degli anni Cinquanta. Io andavo solo ad aiutarlo, sono sempre stato volontario. Era diverso il mio ruolo rispetto al suo”.

Ne ha viste tante di cose legate al Torino da metà anni Cinquanta in avanti. La più bella? “Lo Scudetto. Quella squadra è stata formidabile e fortissima. In quegli anni ne avremmo potuti vincere quattro di campionati, ma ne siamo stati privati. Mi viene da dire, meno male che non ci hanno fregato anche quello del 1976”.

Cosa ricorda del giorno dello Scudetto? “Ero al campo insieme a Bruno e all’altro mio fratello. Per due giorni siamo stati dentro allo stadio. Abbiamo dormito sul prato verde: un bellissimo ricordo tutto a tinte granata”.

C’è un giocatore al quale si è particolarmente legato? “Ancora oggi sento quotidianamente gli eroi dello Scudetto. Ho un bellissimo rapporto con loro. Mi piace anche ricordare Gigi Meroni: andavo spesso a casa sua. Mi viene la pelle d’oca solo a menzionarlo. Lo stesso vale per Giorgio Ferrini. Sono tutte persone che hanno accresciuto la mia passione per il Toro. Più recentemente devo spendere solo belle parole per Belotti e soprattutto Bianchi. Rolando più volte ha voluto che gli raccontassi storie di Toro e molto spesso ha dichiarato di essersi legato così tanto al Toro anche grazie alle mie narrazioni”.

E un allenatore? “Ne ho conosciuti talmente tanti... I primi che mi vengono in mente sono Giagnoni e Radice. Il primo che ho conosciuto è stato Sperone. Con molti si è creata una certa amicizia. Ma mi sento appassionato non solo di giocatori e allenatori”.

E di chi altro? “Dei tifosi. Amo i tifosi del Toro perché ti vogliono bene dappertutto. Mi piace stare in loro compagnia. Mi hanno tenuto giovane, proprio come i giocatori al campo”.

Le mancano le sensazioni del campo?“Arrivati a una certa età bisogna saper dire basta perché le forze si riducono e non si possono più fare grandi sforzi”.

Un’ultima domanda. Le piace il Torino di oggi?“Sì, qualche soddisfazione me la dà. Il calcio d’oggi è completamente cambiato rispetto al passato. Da quando sono entrati i procuratori il mondo del pallone è notevolmente cambiato”.