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LOQUOR

Gli uomini e le donne della nostra pallavolo

Carmelo Pennisi

Torna l'appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi, che si concentra sul significato del doppio oro europeo delle nazionali italiane di volley

“I ragazzi non devono

avere paura dell’errore”.

Julio Velasco

“Non arrenderti mai, se non per convinzioni di onore e di buon senso”, soleva dire il buon Winston Churchill, nella convinzione come a volte l’ostinazione non sia un banale sinonimo di testardaggine, ma una delle più grandi prove di coraggio richieste dalla vita come pegno di appartenenza. Arrivare nel gradino più alto di un podio di una competizione internazionale tra nazioni è lustro e momento di gioia per un popolo intero. E’ l’occasione per guardarsi tutti in faccia e scoprire come ancora si sia vitali, proprio quando tutto remava verso la riva delle persone perdute alla speranza. Ma quando guardi quelle maglie azzurre indossate da giovani uomini felici, mentre portano la mano sul cuore e cantano a squarciagola “l’Inno di Mameli”, non dimenticare mai di spostare lo sguardo verso persone un po’ più attempate, felici e in lacrime per ciò che stanno osservando. Sono tutti quelli che hanno lavorato nelle retrovie (tecnici, staff sanitario, match analyst, ecc.), nella convinzione di come il sogno della vittoria si potesse realizzare. Per i loro giocatori, per loro stessi, per tutti noi rimasti a casa a lottare nei vari ingorghi delle fatiche quotidiane. La pallavolo italiana, la magnifica pallavolo italiana, è riuscita nell’impresa mai compiuta al di qua del vecchio “Muro di Berlino”, ovvero imporsi nello stesso anno nelle due massime competizioni continentali per nazioni (femminile e maschile).

E mentre nel palazzo dello sport di Katowice risuonavano le note e le parole di una delle più immortali canzoni italiane (“Volare” di Domenico Modugno e Franco Migliacci), non sarebbe stato male concludere come quei ragazzi impegnati fino a qualche minuto prima a mandare a “terra” una palla entro i 18 metri per 9 metri regolamentari per cercare un punto in più dell’avversario, fossero giunti ad un apogeo del loro percorso sportivo partiti da chissà quale “primo passo”. Se uno inizia a giocare a pallavolo nel nostro Paese, sin dalla svolta copernicana impressa da Julio Velasco a partire dal 1989, deve andare con il pensiero e tutta la sua capacità immaginativa verso un’unica ossessione: la medaglia d’oro olimpica. E in tutti i campi di pallavolo d’Italia ci sono tecnici di ogni estrazione che, ogni giorno, lavorano in silenzio ed estrema abnegazione affinché un giorno questa ossessione possa essere scacciata via dal podio più alto di “Olimpia”. La pallavolo condivide la semplicità del suo svolgersi con il gioco del calcio, visto come in fondo servano solo una corda stesa da un lato all’altro di un campo improvvisato, un pallone e qualche amico/a a condividere “il momento in cui – stando a quanto racconta il “Palleggiatore” Valerio Vermiglio – tutto attorno a te sparisce. Il momento in cui accarezzi la palla. Il momento in cui palleggi”. Andrea Lucchetta, ex “Centrale” pluridecorato della “Squadra d’Oro” di Julio Velasco, un giorno ha confessato di aver cominciato a giocare all’oratorio, ritenendo la pallavolo un’attività fisica giocosa.

E si può facilmente immaginare come anche nell’Oratorio di Treviso, città natale di Lucchetta, ci fosse qualche volontario adulto a seguire i primi passi di colui che diventerà uno dei più grandi pallavolisti italiani di sempre. Ci sono centinaia di uomini e donne impegnati a vario titolo nell’avviare gli adolescenti allo sport, persone di cui non si conoscerà mai né il nome né i sacrifici. Persone dotate della stessa determinazione di Walt Disney e del suo immortale aforisma: “Se lo hai immaginato, vuol dire che puoi farlo”. Si combatte nella prima linea dello sport, alla ricerca spasmodica di trovare spazi, strutture, tempo rubato ai molteplici impegni a cui oggi gli adolescenti sono sottoposti. Si indicano percorsi, mentre la concorrenza degli smartphone, arma di seduzione delle nuove generazioni del terzo millennio, fa capolino sui tuoi sforzi e prova a sradicarli con la seduzione dell’immaginifico artificiale regalato dal digitale. Si spiega il modo di rendere fluido e rapido un “tiro” di fioretto o un “terzo tempo” verso il canestro, ed ecco uno “squilletto” estraniare l’attenzione degli allievi in favore di qualche seducente social appalesatesi sul loro collegamento con il mondo. Ma la vocazione principale di chi si occupa di sport è quella di non arrendersi,  a volte confusa per una retorica dichiarazione di intenti, ma in questo caso chiara ricerca di portare futuro carburante propulsivo per l’immagine del Paese.

Il magico 2021 dello sport italiano non è frutto di un “Gratta e Vinci” fortunato o di sei numeri impossibili da “SuperEnalotto”, è l’incredibile risultato degli sforzi di un Paese mai domo nello stupire. Siamo stati il luogo pandemico più blindato d’Europa, e nelle strade svuotate di ogni nostra landa l’unica cosa a percepirsi era il vuoto assordante. L’Italia si era improvvisamente fermata e ogni cosa sembrava sacrificabile sull’altare della nostra salvezza fisica. A ricordare bene quei giorni, nell’approcciarsi ogni volta a parlare di sport si era riempiti di contumelie, perché appariva quasi una bestemmia discorrere su qualcosa considerato estremamente voluttuario. Ma lo sport è il luogo dove si prova a portare ordine dove c’è disordine, è l’istinto primordiale del porsi obiettivi, fosse anche quello primario del cosa si riuscirà a mangiare il giorno dopo. Il nostro antenato delle caverne aveva tra i suoi scopi quello di trovare qualcosa con cui scaldarsi, quando ancora non aveva nemmeno l’idea del fuoco. Eppure uno dei suoi obiettivi era il tepore, finché un giorno il fuoco non comparve per magia davanti ai suoi occhi e da obiettivo il tepore si trasformò in traguardo raggiunto. Gli atleti chiusi in casa erano in attesa di poter tornare a ritentare la via del traguardo, allo stesso modo dei cercatori d’oro lungo il corso di un fiume dove, si dice, si trovino scaglie d’oro. Ma passare al setaccio la vita vuol dire viverla e attraversarla senza paura, alla stessa stregua dei nostri antenati primordiali alla scoperta del fuoco, origine di ogni tepore e di ogni miglioramento della qualità del quotidiano.

E così in quei tragici giorni del 2020, in un clima di terrore e smarrimento, come raccontano svariati tecnici volontari e non, si provava disperatamente di riportare i  giovani atleti nelle palestre per riprendere il tentativo di cercare la via dell’oro. E nel silenzio procurato dal vuoto, qualcosa di positivo deve essere successo nello sport del nostro Paese, perché il 2021 verrà di certo ricordato come il Rinascimento dello sport italiano. La sensazione è stata quella di staccarsi da terra per andare verso un cielo talmente insondabile, da essere una continua felice scoperta. I social sono stati invasi da commenti di italiani entusiasti, completamente spiazzati di aver scoperto un Paese che nello sport era stato talmente in movimento, anche quanto tutto appariva immobile, da scatenare analogie entusiastiche di possibili ripartenze in ogni settore della vita. Lo sport è riuscito nel miracolo di riattivare, almeno nelle intenzioni, tutta una serie infinita di atti di fiducia di cui il nostro vivere ha bisogno. La fiducia è il lasciare la chiave sulla porta di ogni speranza, è il bambino che prende per mano per essere condotto ad occhi chiusi verso ogni dove e ogni perché. “Da giovane – racconta Julio Velasco – ho lavorato come addetto alle pulizie".

"E lì ho capito la differenza dei punti di vista, tra te che pulisci e quelli che entrano dalla porta. C’è chi usa la maniglia e chi spinge il vetro lasciando l’impronta, costringendoti a pulire di nuovo. Non ci avevo mai fatto caso, ma tutta la vita è cercare di capire i punti di vista diversi”. La possibilità di ripartire sempre da un altro punto di vista, ecco il regalo alla Nazione fatto dallo sport azzurro in questo 2021 da “lampada di Aladino”; si abbia cura di non disperdere nemmeno i lacci colorati con cui si è confezionato questo pacco dono. Un’ultima cosa… un giorno vinceremo quella medaglia d’oro olimpica a cavallo su una rete, perché il magico “momento in cui accarezzi la palla” di cui parla Valerio Vermiglio è un sogno che appartiene a generazioni di giocatori, di tecnici, di volontari, di famiglie intere. La porteremo a casa, quella medaglia, perché, siatene certi, in tutti i campi d’Italia dove si prova a “schiacciare” una palla nessuno si arrenderà mai all’ossessione. Andiamo a fare con loro il nostro primo passo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.