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Loquor

Il diritto di Juan Jesus e Francesco Acerbi

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi

“Nel corso della giustizia nessuno

di noi dovrebbe vedere la salvezza”

William Shakespeare

 

Esiste il diritto ed esiste la possibilità di avere giustizia, e mentre pensi a questo scivoli con la mente nello splendido film “Il Verdetto”, dove una magnifica prova attoriale di Paul Newman e la magica scrittura di David Mamet ti ripropongono il tormento di sempre, che è quello di avere riconosciuto davanti alla legge un risarcimento di un dramma personale vissuto. Deve stare vivendo un momento particolare Juan Jesus nella sua querelle con Francesco Acerbi, una sorta di incubo appena precipitato in un altro incubo, molto somigliante a un personaggio scespiriano di “Misura per Misura”, Lucio,  che per quasi tutto il “problem play” (opera problematica) scritto da William Shakespeare diffama “Il Duca” nelle sue conversazioni con “Il Frate”, per poi finire nell’ultimo atto con il diffamare “Il Frate” parlando con “Il Duca”. Il genio del “Grande Bardo” inventa il colpo di scena che “Il Frate” e “Duca” sono la stessa persona, facendo così ricevere al malcapitato Lucio come punizione l’obbligo di contrarre matrimonio con una prostituta. Juan Jesus ovviamente non ha diffamato nessuno, ma questo suo parlare con tutti della sua vicenda, prendendo prima una posizione morbida poi una posizione più dura nei confronti di Acerbi, lo ha portato alla fine ad una perfetta solitudine di fronte al Giudice Sportivo, sprovvisto di qualsiasi prova a sostegno delle sue accuse di razzismo verso il giocatore dell’Inter. E ora il problema non è più stabilire perché esista un fenomeno da minus habens come il razzismo, questo lo dobbiamo sopportare, sotto varie forme, come la pioggia che scende quando meno lo vorresti, ma capire perché nel calcio, e in generale nella vita, sta diventando sempre più difficile accertare la verità ed avere giustizia.

Ci sono momenti in cui si va oltre il condannare il peccato e finalmente condannare il peccatore? Oppure dobbiamo tirare un sospiro di sollievo perché una sciocchezza molto stupida di campo stava per distruggere la vita di un calciatore, e quindi la sorte gli ha fornito clemenza sotto forma di assenza di prove? Perché su una cosa si può dire di essere ragionevolmente sicuri e tutti d’accordo: Juan Jesus non aveva ragioni per inventarsi una accusa di razzismo contro Acerbi. Ma un giudice, ci ricorda sempre il genio di Shakespeare, non è chiamato a ragionare sul peccato, ma a decidere in base alla norma e alla sostanza probatoria a lui esposta. E possiamo noi condannare il giudice che, pur comprendendo il dolore di chi ha ricevuto le conseguenze nefaste del peccato, è alla norma, e solo a questa, che si deve attenere? Il Napoli, volendo mostrare tutto il suo dissenso sulla sentenza della Corte Federale, ha deciso di non partecipare più a tutte le iniziative riguardanti il razzismo proposte dalla Lega Calcio, a partire da quella in programma la prossima giornata di campionato. Si è alla rivolta contro chi è depositario della Legge, ovvero il giudice, dando il via ad un pericoloso processo di sedizione contro l’autorità che pare la caratteristica anarchica della nostra epoca.

Nel “Leviatano”, polemizzando con il giudice Edward Coke, precursore della supremazia della legge anche di fronte al diritto divino del re, Thomas Hobbes sostiene: “in tutte le corti di giustizia colui che giudica è sempre il sovrano, il giudice è subordinato e deve avere ben chiare le intenzioni del sovrano, in modo che la sua sentenza esprima non la sua volontà ma quella del sovrano”. E’ curioso come la strategia di Aurelio De Laurentiis, in uno strano “passo del gambero” impostosi nelle azioni e nelle intenzioni della elite moderna, faccia il paio con le considerazioni del filosofo inglese e apra ancora una volta una crepa tra le certezze, una di queste riferita al fatto come tutti si sia uguali non solo di fronte alla legge ma anche davanti al potere, che il diritto ha donato come speranza a chi il potere non ce l’ha e probabilmente non ce l’avrà mai. Bisogna stare attenti a vicende come quella di Juan Jesus, perché in un attimo si trasformano in altre rivendicazioni o perseguimento di intenzioni che nulla hanno da spartire con la deprecabile abitudine di praticare forme di razzismo.

La contestazione di una sentenza diventa una contestazione al sistema, di cui il diritto e il giudice sono espressione, con cui si hanno diversi conti da regolare. E non c’è niente come minare l’autorevolezza delle sue leggi e del suo modo di applicarle per mettere in crisi un sistema, esautorarlo e mandarlo così in rovina. Si chiama processo rivoluzionario a cui a un potere prova a sostituirsi ad un altro potere. Dalle parti del Napoli sanno benissimo come il giudice sportivo Gerardo Mastrandrea non poteva decidere diversamente di come ha fatto, in perfetta ottemperanza della civiltà del diritto moderno che richiede certezza dell’entità del reato per una pena commisurata al fatto. Non si può far salire sul patibolo una persona solo sulla base dell’accusa della persona offesa, non si può fare giustizia in base ai rumori e agli umori provenienti dalla piazza, anche di fronte ad un montare, in questo caso, del convincimento generale di un Francesco Acerbi colpevole. La legge, come ci ricorda Shakespeare in alcune tra le sue più importanti opere, è un gigante ma non deve essere un tiranno. La sua formulazione e applicazione devono essere accompagnate da un sentimento di comprensione e di moderazione, e soprattutto non deve imporre ciecamente una moralità tanto da farla diventare una “legge adirata”. Quando la legge diventa così si fa largo nel comune sentire la voglia di “avere a tutti i costi il sangue del reo”, e l’eccitazione montante nel dibattito pubblico assomiglia più ad un processo vendicativo che a quello di una giustizia vera e propria, c’è da avere paura se un tale sentimento diffuso diventasse fonte di Diritto, se la piazza costituisse un freno ad un minimo di misericordia attesa comunque dall’esercizio della giustizia. O almeno una giustizia che, sin dal tempo di Cesare Beccaria, prevede anche un percorso di redenzione.

Acerbi ha sicuramente sbagliato, anche se non si può avere contezza in quale misura lo abbia fatto, ma bisogna tenere conto delle circostanze e del luogo in cui tale sbaglio è avvenuto, perché è proprio il caso delle situazioni estreme in cui vengono amplificate le nostre miserie e le nostre virtù. E una azione di una partita di calcio è sicuramente una situazione estrema, uno di quei momenti dove diventa davvero difficile giudicare una persona. Ne “Il Mercante di Venezia” Shakespeare fa porre ad un suo personaggio, Isabella, una domanda davvero dirimente: “come sarebbe se Colui che è padrone del giudizio vi giudicasse per come siete”? In questo passaggio il grande drammaturgo inglese ci ricorda il valore della misericordia  nell’esercizio della giustizia, e nel caso di specie forse si deve ammettere come Acerbi stia già ricevendo una punizione non proprio leggera, considerato come il marchio di razzista, essendo stato assolto dalla Giustizia Sportiva per insufficienza di prove, comunque gli rimarrà addosso per sempre e con esso sarà sempre quindi costretto a farci i conti. In un mondo, specie in quello dello sport, fatto molto anche di immagine non è una cosa di poco conto. La lotta al razzismo si deve continuare a fare senza soluzione di continuità, ma deve essere un processo culturale a cui ogni tanto viene in soccorso il diritto, se si vuole veramente avere una efficacia positiva contro questa terribile piaga dell’umanità che, sarà bene ricordare, non riguarda purtroppo solo le persone di colore. “Non c’è nessun giusto, nemmeno uno”, scrive San Paolo in una delle sue “Lettere ai Romani”, e sarà bene che il Napoli e i suoi tifosi, prima di mettere in atto qualche maldestra sceneggiata contro lo sciagurato Acerbi, si ricordino di questo ammonimento paolino. Sarà un bel giorno quando cadere nelle mani della legge non sarà la distruzione totale di una persona o il suo farla franca a dispetto dei suoi delitti, ma una sua occasione di espiazione e di redenzione. Siamo all’utopia, me ne rendo conto, ma nel caso di Francesco Acerbi credo che giustizia sia stata fatta, e non è poco. Ora cali il sipario e si mediti in silenzio, e pensiamo a quante vittime abbiamo fatto a causa del nostro pregiudizio. Perché è proprio quest’ultima cosa ad aver ferito l’incolpevole Juan Jesus.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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