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Il verbo di Aurelio De Laurentiis

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Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Ci sono cose molto più importanti del denaro, ma costano un sacco di soldi” Groucho Marx

Il problema vero di Aurelio De Laurentiis parrebbe essere una certa incontinenza verbale e quella sua insopprimibile voglia di farti vedere ogni volta quanto ce l’abbia lungo. E’ il classico italiano da bar o da osteria, oggi trasferitosi sui social, in possesso di una risposta per ogni problema dello scibile umano, anche quando appare evidente come di questo scibile non solo comprenda poco ma ne è evidentemente totalmente disinteressato a meno che non sia direttamente collegato agli interessi della sua scarsella. Negli ultimi giorni è stato capace, in due occasioni pubbliche, di dire cose che in qualsiasi altro Paese lo avrebbero portato direttamente alle dimissioni da presidente del Napoli, ma che nella deriva etico/morale italiana di stampo fazioso ne risulta invece protetto perché operante nella logica non del diritto ma della guerra tra bande. Riuscire ad offendere la dignità di una delle più importanti città del sud, Bari, non era impresa facile, ma per l’Aurelio nazionale certe imprese non sono mai improbe o impossibili, e tra una citazione paterna e l’altra, manco il genitore fosse stato un rivale di Confucio, ecco ammettere ciò che tutti sanno da tempo, ovvero come la famiglia De Laurentiis consideri i galletti baresi la squadra B del Napoli, niente di più e niente di meno. Sorprende come la stampa napoletana(era in conferenza con lei) non abbia minimamente battuto ciglio di fronte ad una ammissione del genere, come se ci trovasse semplicemente ad una banale considerazione climatica, e ha proseguito con domande di questo tenore: “è vero che gli allenatori non vogliono venire a Napoli perché lei ha un brutto carattere”? A volte mi chiedo cosa debba succedere perché in questo Paese qualcuno finalmente si fermi a riflettere sulle cose importanti, quale sia l’elemento scatenante  che ci faccia capire come non si possa passare impunemente sopra certe cose, ignorandole. Quello ti sta praticamente ammettendo che  usa il Bari per fare gli affari del Napoli, e tu invece di incalzarlo gli fai una domanda da gossip? Perché solo il nulla cosmico del gossip può far riuscire a credere alla platea di tifosi che un allenatore vada o non vada in un posto per dei meri problemi caratteriali. Sono altri gli interessi in gioco nel mondo del calcio contemporaneo, diviso per conglomerati di potere(sponsor, procuratori, banche d’affari, ecc…) a cui fare riferimento se veramente si vogliono portare in porto alcuni affari.

Fanno tenerezza quei tifosi convinti come a volte basti la telefonata di un allenatore per convincere un giocatore ad accettare una destinazione. E’ come credere  all’esistenza di Babbo Natale quando ormai si è in età adulta. Ma capisco quanto sia difficile comprendere sul serio il mondo che ci circonda quando l’informazione latita, e si limita a fare domande sul carattere di un presidente. Siamo di fronte ad un gioco di specchi dove tutto è un dare e un avere in prospettiva, con ognuno a giocare la sua partita usando le illusioni, di cui il calcio è gravido, per giungere a degli obiettivi. In questo contesto variopinto i tifosi vengono lasciati in balia di suggestioni, a discutere di cose in evidente totale assenza di dati. L’amore per una maglia porta a certe distorsioni mentali, e questo i protagonisti del pallone lo sanno benissimo e sulla tal cosa pianificano i loro interessi. “Per me i soldi sono un mezzo e non un fine”, dice ad un certo punto con il tono da aureola immaginaria in testa il presidente del Napoli, e a quel punto non sai se ridere o fargli una pernacchia. Sembra una classica battuta da avanspettacolo dei suoi film di natale di un tempo, dove tutto era parodia del reale e le faccia di bronzo dei suoi protagonisti usata semplicemente per strapparti una risata. In un cotè di “corna” e “contro corna” fatte con leggerezza in qualche luogo di vacanze, De Laurentiis metteva in scena tutto il relativismo morale di cui era ed è capace di immaginare, e tutto per qualche dollaro in più. Ma i soldi sono un mezzo non un fine, ovvio. Passa metà dell’ultima conferenza stampa a parlare di soldi e ricavi, ma non lo fa perché gli interessino i soldi, tanto quelli hanno raggiunto una vita propria, ma per procurarsi mezzi per un fine. E quale sarebbe questo fine? Potrebbe dirci il punto d’approdo di tutto questo trading calciatori, nuovi tornei europei, vendita di diritti d’immagine e quant’altro? Se l’obiettivo non è la vita eterna o il miglioramento del sistema calcio, allora di cosa si sta parlando? Mistero. “Lo stadio lo faccio con i soldi miei e lo faccio ad Afragola, non ho bisogno di nessuno”, tuona mentre a margine promette ai giornalisti napoletani dell’ottima pasta fagioli e cozze offerta alla fine della conferenza stampa, e verrebbe da chiedergli con quali soldi altrimenti avrebbe voluto farlo, ma figurati se ad Umberto Chiariello e compagnia poteva venire in mente una tale semplice domanda.

Ma le vere intenzioni del presidente del Napoli hanno il pregio di rivelarsi subito, ed eccolo qualche giorno dopo incontrare il “Napoli Club Parlamento” e svelare quale sia il suo vero obiettivo in materia stadio di proprietà: “serve il varo di una normativa sugli stadi… i sindaci e i comuni devono prendere atto del fatto che gli impianti sportivi dovrebbero diventare bene a disponibilità gratuita di chi vuole investire 10 milioni di euro”. Afragola si metta pure il cuore in pace, l’obiettivo è avere gratis quello che si dovrebbe pagare, chissà in nome di quale diritto divino. Magari un giorno il Sindaco di Napoli capitolerà davanti al suo potere di seduzione e gli regalerà il Maradona, e vedrete come lui sarà abile nel trasformare la cosa come un favore fatto alla città. Ma i soldi sono un mezzo, non un fine. Ed è proprio a questo proposito che se ne è uscito con un’altra parla, inerpicandosi in analisi dei problemi demografici legati alla regolarità del campionato: “le squadre che rappresentano città con ventimila abitanti falsano il campionato”. Ovviamente non si è premurato a fare nomi né tantomeno a spiegare come inciderebbe la demografia sul campionato, ma l’importante non è spiegare ma dare l’idea di stare dicendo qualcosa di intelligente. Rivela il suo animo da padrone delle ferriere, quando urla ai quattro venti di volere essere libero di fare contratti di otto anni ai giocatori: “se poi alla fine del periodo contrattuale vuole andare via, allora può andare. Devo decidere io non i procuratori”. In pratica vorrebbe abolire di fatto la “Sentenza Bosman”, perché ovviamente per se stesso vale il diritto alla libertà mentre per gli altri, i giocatori, al massimo la condizione del liberto dell’antica Roma.

Persone così sono pericolose per il calcio, perché la loro stella polare è la spasmodica ricerca del profitto, verso il quale non esisterebbero a scardinare qualsiasi  tradizione e principio. “Sono qui-ha detto in Parlamento- perché dovete salvare il calcio. Altrimenti tra vent’anni morirà”, ed è quando diventa apocalittico che bisogna stare molto attenti, perché in realtà sta mandando dei messaggi trasversali a chi di dovere. Lo ha detto chiaro, per lui il calcio è diventato da tempo parte dell’industria dell’intrattenimento, si capisce chiaramente che vorrebbe diventasse un luna park con lui comodamente seduto alla cassa per contare il moltiplicarsi dei soldi ricavati. Ma i soldi sono un mezzo non un fine. Il Napoli gli toglie il tempo di stare nella sua adorata Los Angeles, sua città d’elezione da dove non verrebbe mai via. Il fascino della polvere di stelle hollywoodiana lo pervade, lo fa sentire sereno e felice, maledetto Napoli che lo costringe a rientrare in Italia.

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E quindi noi lo si ritrova sempre qui, a sacrificarsi per il bene del calcio italiano, con le sue cicliche conferenze stampa fiume in cui, potendo, sarebbe capace di spiegare a Dio come cambierebbe i giorni della “Creazione”, perché in fondo di questo pianeta Terra ancora non sono state sfruttate tutte le sue potenzialità.  Ha una sua cifra di simpatia, perché nonostante la sua devozione per Los Angeles, De Laurentiis rimane il perfetto ritratto dell’archetipo italiano: fantasioso, geniale, simulatore, questuante, fancazzista, generoso(sa esserlo molto), conviviale, patriarcale e allergico alle regole che non siano le sue. Personalmente mi hanno sempre divertito le sue visioni “della vita secondo lui”, ma ora è dello sport più importante per gli italiani che si sta parlando. Non ho mai avuto paura dei rivoluzionari mai dei “Capitan Fracassa” sì, sarà meglio prestargli attenzione e forse ricondurlo ad una qualche ragione oggettiva. Si ricordi, il presidente del Napoli, che il calcio non è della Lega come l’industria non è della Confindustria, sono tutti mezzi con cui la società si esprime e prospera in beni ed emozioni. Questo perché, appunto, i soldi per una comunità non sono un fine ma un mezzo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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