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Esclusiva

L’ex dottore del Toro Misischi a TN: “Dissi a Cairo che servono medici fissi”

Andrea Calderoni

Le parole in esclusiva a Toro News dell'ex responsabile sanitario del Torino: una chiacchierata a 360° sul funzionamento sanitario in un club

Il dottor Renato Misischi è stato responsabile sanitario del Torino, prima di Rodolfo Tavana. Oggi è rimasto consulente ortopedico del club granata. E allora il suo parere è particolarmente interessante in giorni in cui la questione medici è di attualità vista la notizia della cessazione consensuale del rapporto tra il dottor Paolo Minafra (ormai ex coordinatore dei medici) e il Torino, a seguito delle dure parole di Ivan Juric post-Derby. Misischi in esclusiva su Toro News illustra il lavoro di un responsabile sanitario in un club calcistico di Serie A.

Buongiorno dottore, come si struttura il lavoro di un medico in una società calcistica?

“Il lavoro del medico della società è un lavoro un po’ complesso. Si divide prettamente in due grandi parti. La prima più amministrativa. Bisogna tenere in ordine le varie idoneità sportive dei calciatori, bisogna stare attenti ai farmaci che assumono, bisogna prevedere nuovi esami di idoneità per i giocatori che rimangono lontano dal calcio per tanti mesi a causa di infortuni. Sono incombenze legate alle regole della Federazione. Sono questioni anche connesse alla sicurezza, proprio come se una squadra di calcio fosse una piccola azienda. Per la legge attuale è il medico sportivo a gestire questa parte amministrativa. L’altra parte è quella medica che non è solo legata agli allenamenti e alle partite. Il medico sportivo di una squadra di Serie A deve essere un medico reperibile in qualsiasi momento per il calciatore, la sua famiglia, i suoi figli e molto spesso anche per i componenti dirigenziali della medesima società. Nello specifico, per eventuali infortuni, il medico segue e programma ogni singolo esame che dev’essere effettuato e porta la diagnosi, poi è evidente che sia nell’ambito traumatologico sia nelle altre problematiche il medico sportivo di una società si può avvalere degli specialisti. Ogni società ha una serie di consulenti specialistici ai quali si affida il medico per necessità. Se non basta l’esperienza del medico del club, si sviluppa al di sotto un ombrello ampio al quale si può fare riferimento”.

Com’è dall’interno il mondo del calcio dal punto di vista medico?

“Bisogna dire che il mondo del calcio anche dal punto di vista medico è diverso rispetto a quello quotidiano. Quando sono entrato per la prima volta alla Sisport come medico sportivo del Torino, mi avevano avvertito che dietro quella porta c’erano regole diverse rispetto a quelle della vita normale. Il problema è che gli allenatori - tutti sono così - spingono per avere a disposizione il giocatore il prima possibile e in alcuni casi pensano quasi di intervenire nella gestione temporale del trattamento e del recupero. Si comportano così anche perché vedono il calciatore impaziente di rientrare, lo vedono scalpitante e allora lo vogliono subito a disposizione”.

E il medico cosa fa a quel punto?

“Deve cercare di ottimizzare nel migliore dei modi il tempo e la qualità del recupero. Anzitutto tutelando sempre la sicurezza dell’assistito per evitare ricadute. Si verificano dunque dei tira e molla non indifferenti con gli allenatori, anche perché molti tecnici hanno una personalità particolare e in ogni caso hanno un peso enorme nella gestione di tutta l’attività calcistica. Anche il direttore sportivo è di solito molto attento al recupero degli infortunati e quindi è sempre alleato con l’allenatore. Il medico non dev’essere soltanto competente ed esperto, ma deve avere anche carisma e personalità per contrapporsi, altrimenti viene mangiato vivo”.

Dottore, al momento lei resta consulente del Torino?

“Sì, lo sono. Parlando con il collega Minafra, fino a dieci giorni fa mi aveva confermato che ero ancora il consulente ortopedico del club. Sono quindi a disposizione in caso di chiamata. Nella scorsa stagione, ad esempio, Belotti l’avevo curato io. Quest’anno invece al momento non sono stato chiamato per nessuno degli infortuni occorsi in casa Torino. Sicuramente il Covid ha limitato le frequentazioni. Nello stesso tempo è sempre il medico a decidere se affidarsi o meno a un consulente. Magari a volte si pensa di poter risolvere il problema da sé e dunque non si chiama lo specialista. Quelle sono scelte soggettive. Il Torino tra l’altro, prima della fine del rapporto con Minafra, aveva tre medici: lo stesso Minafra, Mozzone e Bertolo, ora al momento ci sono gli ultimi due”.

Che ricordo ha dell’esperienza da medico sociale granata?

“Si è trattato di un’esperienza molto coinvolgente, soprattutto i primi due anni. Poi sono emerse delle problematiche di rapporto con il direttore sportivo e con l’allenatore, ma non si è mai andati oltre la soglia di rischio. Penso ad esempio a Ventura. Con lui ho avuto degli accesi confronti. Io non mi facevo certo mettere i piedi in testa. Eppure, nonostante questi confronti animati, sono stato uno dei quattro o cinque del Torino invitati al suo matrimonio, quindi significa che i rapporti interpersonali sono rimasti buonissimi. In generale, quando sei nell’ambiente calcistico tutto diventa più complesso. Se le persone con cui hai a che fare hanno caratteri focosi, possono renderti la vita difficile”.

È facile trovare figure professionali in grado di ricoprire il ruolo di medici sociali?

Il segreto per “sopravvivere”?

“Ci vuole il polso per potersi confrontare in maniera paritaria con le altre forze della società. Ci vogliono carisma, personalità ed esperienza. Bisogna essere capaci di tenere testa a chi magari ti urla contro. Devi saper gestire queste cose, altrimenti sei fagocitato”.

In un mondo come quello del calcio dove le porte sono girevoli, è funzionale dal punto di vista medico cambiare figure professionali con frequenza?

“Secondo me, una società deve avere delle strutture sanitarie consolidate. Non è granchè cambiare il medico sociale ogni qualvolta cambia il direttore sportivo. A suo tempo l’avevo anche detto al presidente Urbano Cairo. Non c’è motivo di cambiare il medico e i suoi consulenti, perché la medicina è quella e non ci sono necessità per cui il nuovo direttore sportivo si porti un medico fidato. La società dovrebbe avere figure fisse e il Torino ne ha alcune: il preparatore dei portieri Di Sarno e il riabilitatore sul campo Solustri. Ma anche dal punto di vista sanitario bisognerebbe avere una struttura consolidata, che possibilmente sia radicata nella città in modo tale che siano semplificati i rapporti con i diversi specialisti”.