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Loquor

Nuovi stadi e soliti furbi

Carmelo Pennisi

Torna l'appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi

“Nessuno sappia chi

costruisce la cattedrale”.

Ingmar Bergman

Il grande storico francese Jaques Le Goff ha rintracciato, nella evoluzione della storia e del costume europeo, nelle cattedrali sempre più alte e più belle il simbolo della spietata concorrenza intercorrente un tempo tra le città. E va da sé come la questione non fosse semplicemente una questione spirituale, un indicare al popolo o al viandante la necessità di raccogliersi interiormente ogni tanto in un luogo dove sentirsi piccoli per aspirare al grande, ma anche di coniugare la necessità di una ricerca di supremazia e di fiorenti commerci nati attorno a quei perimetri di dialogo con Dio. Gli storici ci raccontano come i medievali vivevano in catapecchie ma costruivano cattedrali, come segno tangibile della loro convinzione della vita come possibilità di fare cose grandi.

Ogni persona, in quel tempo, portava il proprio obolo, per quanto modesto o ricco fosse, nel grande desiderio di partecipare all’impresa, e in questa la differenza di classe non contava. Se trasliamo tale scenario al calcio, possiamo tranquillamente lavorare di analogia e “consegnare” allo stadio il ruolo di cattedrale contemporanea, di perimetro di “fede” dove le generazioni si incontrano in nome di una squadra e, magicamente, si riconoscono immediatamente grazie ad un credo. Ma, esattamente come le cattedrali, non deve considerarsi opera di blasfemia verso “eupalla” o di mancanza di rispetto al credo se proviamo a considerare lo stadio anche un contenitore dove, esattamente come per le cattedrali, agisce lo spirito e il “fare” concorrenziale. Inoltre lo stadio è anche teatro di quella che Max Weber ha definito “l’azione affettiva che soddisfa un bisogno”, e ne discende quindi come tutto ciò a riguardarlo non possa essere lasciato al caos determinato dal caso. Anche perché nello stadio “avviene” il calcio e in esso non può, o non dovrebbe, mai avvenire una distribuzione del potere con modalità asimmetriche.

Lo sport del calcio è l’elogio contemporaneo della trasversalità sociale, che ne fa uno dei cantori principali della necessità dello sviluppo del potere democratico. Chi prova ad andare contro questa enunciazione di principio, va contro la costituent dell’evento collettivo più seguito e parlato del mondo. Partendo da tale assunto, diventa un po’ difficile spiegare cosa stia avvenendo nella questione “nuovi stadi” nel nostro Paese. Scivola nel “complicato”, tra l’esoterico spirito del capitalismo e il sempiterno “Franza o Spagna, purchè se magna” di Francesco Gucciardini, la discussione sulla necessità di costruire nuovi stadi (o di restaurarli e ammodernarli), rimuovendo presto un dato a condannare, da qualche anno, la Serie A alla marginalizzazione nel contesto del calcio europeo: i ricavi da stadio in Premier League e Liga sono di 52 euro per spettatore, contro i 32 euro del nostro massimo campionato. Partita persa in partenza, e fa un po’ impressione, rispetto alla situazione dei club nostrani, la nuova proprietà del Newcastle (il fondo arabo PIF) che quasi si scusa con i suoi tifosi di non poter spendere più di 115 milioni di sterline per ogni sessione di mercato.

“Bisogna rendere sostenibili i conti del club”, è stato sottolineato in un comunicato del club bianconero. “Questo impianto vale almeno 5 punti a campionato”, fu l’estasiato commento di Alessandro De Piero dopo la visita del cantiere dello “Juventus Stadium”. “Il nuovo Stadio Franchi, per come è concepito, ha una redditività almeno tre volte superiore a quello attuale. Siamo ai livelli dello Juventus Stadium”, è stato un altro commento estasiato, stavolta quello del sindaco di Firenze Dario Nardella, sul futuro dello stadio di Firenze che sarà consegnato alla Fiorentina dopo essere stato finanziato dai fondi del PNRR e del Ministero dell’Interno, e quindi dalla fiscalità generale, ripercorrendo in qualche modo pure in questo il percorso estremamente facilitato del reperimento fondi per la costruzione dello Juventus Stadium.

Eh sì, perché anche il club bianconero ricevette un supporto inaspettato di dal “Credito Sportivo” per andare a coprire quasi il 60% del costo del nuovo stadio con un prestito  con il solo 2,20% di tasso di interesse, banca pubblica italiana detenuta all’80% dal “Ministero dell’Economia e delle Finanze”(MEF) e presieduto fino a ieri dal nuovo Ministro dello Sport Andrea Abodi(anche se Abodi nulla c’entra con il finanziamento dello Stadium), che da Amministratore Delegato della Lega di B aveva provato ad avviare un discorso sulla costruzione di nuovi stadi nella serie cadetta. E qui è facile accorgersi quale sia il nocciolo del problema della Serie A, dove non tutti sono nella possibilità, come per le cattedrali dell’uomo del Medioevo, di portare il giusto obolo per la costruzione della propria casa del tifo.

Siamo ben lontani dalle dinamiche avviate con il “Rapporto Taylor” e che portarono all’obbligo i club inglesi, attraverso un fondo statale messo a disposizione di tutti, di ammodernare o costruire nuovi stadi per permettere una nuova modalità di usufruire dal vivo dell’evento calcio. Con 350 milioni di sterline investite, il calcio della Premier League diede il via alla sua supremazia continentale oggi in atto. Fu una riforma di “sistema” quella voluta dall’allora Primo Ministro Margaret Thatcher, che da convinta sostenitrice del libero mercato ben sapeva come questo, per funzionare, debba essere protetto dalle tentazioni di chi si crede più furbo degli altri e pensa di approfittare della mancanza della politica per correre senza regole e con il resto del mondo lasciato ad arrangiarsi.

E così in Italia si assiste a Juventus e Fiorentina  palesemente fruitori, nella costruzione dei loro stadi, di aiuti pubblici, a Milan e Inter in procinto di farlo grazie a probabili speculazioni finanziarie sul territorio favorite dalla realtà metropolitana milanese, al Genoa in attesa di una improbabile nuova proprietà della Sampdoria(qui siamo alle comiche, ma ne parleremo in futuro) per capire cosa fare con “Marassi”, con la Roma in perenne stato di euforia(ormai protratta da anni) nel desiderio di partire con la costruzione della sua nuova casa lontano dall’Olimpico, e con  Claudio Lotito, Aurelio De Laurentiis e Urbano Cairo assolutamente recalcitranti ad impelagarsi nella costruzione di un nuovo stadio. Quest’ultimi gli affari, nel calcio, li hanno sempre visti in altri modi. Siamo al “tana liberi tutti” e ognuno faccia come vuole e siamo, a ben vedere, molto lontani dall’orgoglio del costruire cattedrali funzionali e belle per un puro spirito di supremazia cittadina.

Il risultato è quello, minando ogni concetto di corretto regime di concorrenza, di aver creato disparità di partenza tra i club italiani, e sarebbe curioso, in proposito, avere un giudizio dal neo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, volitiva nel parlare di “merito” e di uguali possibilità per tutti nel suo discorso di insediamento alla guida dell’Esecutivo. Qualcosa da non confondere con l’auspicio di Giovanni Malagò, scaltro Presidente del Coni e curatore degli interessi degli amici del “Circolo dell’Aniene”, di finanziare gli stadi nuovi attraverso l’organizzazione di un europeo di calcio. Si è già visto con “Italia 90” come è andato a finire l’utilizzo del metodo “Grandi Eventi”. Forse la soluzione di questi problemi risiede, come sottolineato da Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati, nel ritrovare una fede e una visione nella gestione delle cose riguardanti il bene comune, qualcosa dove “il libero arbitrio dell’essere umano ritrovi la sua grandezza” (sempre Giorgia Meloni) e possa esercitare la voglia di concorrere ad armi pari, “conditio sine qua non” quanto mai obbligatoria nel mondo dello sport. Se non si correrà al più presto ai ripari a prevalere sarà il solito insensato individualismo all’italiana, foriero di tanti equivoci e tragedie della nostra storia.

“Nell’individualismo – scrisse Ingmar Bergman, assoluta icona delle vicende del cinema mondiale – finiamo per ammassarci in un grande ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l’un l’altro, e senza renderci conto di soffocarci a vicenda. Gli individualisti si guardano negli occhi tra loro, e intanto negano la loro reciproca esistenza, non riuscendo più a distinguere il vero dal falso”. Il calcio separato dalla fede in se stesso ha perso la capacità di creare il racconto, generandosi e degenerandosi di continuo in una sua vita sempre più sterile. Urge tornare a pensare alle cattedrali, tornando a definire cosa sia un angelo e cosa sia un diavolo. Il resto è solo noia, perdita di tempo e mancanza della soddisfazione che conta. In realtà non sarebbe poi così difficile capirlo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.