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Superlega o strapotere arabo?

Superlega o strapotere arabo? - immagine 1
Torna "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi. Sotto i riflettori Florentino Perez e le sue ultime dichiarazioni

Carmelo Pennisi

“Avere una sola idea,

è peccato sia sbagliata”.

Charles Dickens

Quando John Henry Newman scrive che “tutti gli uomini hanno la ragione, ma non tutti gli uomini possono dare una ragione”, siamo in piena epoca "Vittoriana" dove tutto, anche per impulso delle visioni di un Principe Alberto sedotto da idee futuriste e per questo ideatore della prima “Esposizione Universale” a Londra, sembra possibile, nonostante le pagine di descrizione disperante della classi medio basse inglesi scritte da Charles Dickens. “Non c’è rimorso tanto profondo quanto quello impotente”, ci ricorda il grande scrittore inglese, ed è proprio l’impotenza pare stia cogliendo tutti di fronte ad alcuni fatti del calcio prodromi di un futuro se non proprio radioso quanto meno ineluttabile.

E quel futuro prefigurato come un spazio a somma algebrica necessario a far andare avanti un gioco uguale a se stesso da oltre un secolo, è stato riproposto dal presidente del Real Madrid Florentino Perez con il solito trucco della necessaria attenzione alle nuove generazioni, a suo dire troppo distratte da altri spettacoli presenti sotto forma di piattaforme online o videogiochi. “Bisogna offrire qualità” è il mantra ripetuto senza apparenti stonature dall’attuale jefe dei Blancos, esattamente come il tennis che è riuscito a fare giocare Rafael Nadal e Novak Djokovic 59 volte al contrario delle solo nove volte in 67 anni tra Real Madrid e Liverpool.

Sembrerebbe una mantra facile da seguire se non fosse che, a guardarlo bene, potrebbe essere facile accorgersi di essere davanti ad un illusionismo simile a quello degli apprendisti stregoni/truffatori in voga nel vecchio west, girato in lungo e in largo con i loro carretti a vendere improbabili medicinali spacciati per elisir di lunga vita. Nella vecchia frontiera americana si trovava di tutto, un posto dove la disperazione europea attraccava nella speranza che uno spazio di terra su cui piantare una bandierina potesse sul serio materializzare un nuovo mondo. Un cappello Stetson, una cinturone con una colt e un paio di stivali davano forma estetica alla voglia di confrontarsi in un mondo senza regole dove tutto era finalmente possibile. E tutto era accettato dalla élite americana perché  bisognosa di un prototipo su cui far girare il mito della novità portata avanti dall’uomo nuovo americano nella storia. I nativi americani, i cosiddetti “indiani”, erano ovviamente i cattivi, l’erba da estirpare per dare vita finalmente ad una agognata età dell’oro.

Don Florentino è persona navigata e sa bene che per vendere un sogno bisogna prima creare una identità di riferimento, una realtà rivelatrice  di una genesi il cui fulcro è, in nome del fuggire la  noia, abbattere il tempo passato. Il proscenio naturale è quello dello schermo televisivo, palco prediletto da coloro che prima hanno trasformato i tifosi in spettatori, poi hanno seguito la politica dell’avvitamento dei costi verso l’alto di stipendi diventati scellerati, infine sorpresi da cumuli di debiti dai quali sembrano non saperne come uscire se non utilizzando uno dei più potenti e classici addensatori di motivazioni: la paura. “Se non cambiamo i giovani abbandoneranno il calcio e tutto deflagrerà, ecco perché abbiamo deciso di proporre una competizione come la Superlega”. Nelle sue ultime dichiarazione Don Florentino, da abile manipolatore e stratega, non si sottrae dal mandare un messaggio velenoso al nemico giurato Alekasander Ceferin e se la prende con “gli inaccettabili abusi del fairplay finanziario da parte di alcuni club. Abusi che tutti conosciamo e verso cui non si fa nulla”.

L’attacco alle munifiche proprietà arabe di alcuni club europei, sodali e amiche di molti dirigenti UEFA e FIFA, è ostentatamente non velato e si conclude con il ricordare l’esistenza di una “Giustizia Europea che sta già mettendo in discussione il monopolio dell’UEFA sul calcio. Il tribunale, con la sua risoluzione, segnerà il futuro del calcio”. Il presidente Real si è poi soffermato sul completamento ormai prossimo del lavoro di ristrutturazione del Santiago Bernabeu, il cui rinnovo consentirà all’impianto di ospitare altri eventi rispetto al calcio: è l’annuncio noncurante della profanazione del tempio.

Difficile prendere le parti di qualcuno in questa querelle che vede contrapposti Ceferin/arabi e i club continentali più prestigiosi, la sensazione è quella di una padella e di una brace e a prescindere da dove si cadrà la scottatura appare certa, almeno per la narrazione secolare dello sport più seguito al mondo ridotto, da Don Florentino, ad analogia con il tennis, sport sideralmente lontano dal calcio poiché privo di qualsiasi ragione sociale e identitaria. Ma i fautori della SuperLeague sanno bene di trovare molti ventri molli nell’UEFA, totalmente incapace, in questi ultimi anni, nell’impedire lo squilibrio sempre più evidente tra chi non ha problemi di bilancio, poiché ricava ingenti risorse dal sottosuolo suolo senza neanche l’onere della redistribuzione sociale, e il resto dei club europei che con il solo blasone non riescono più a ricavare utili necessari per cantare la messa.

In questa situazione è innegabile come delle ragioni i club capitanati da Florentino Perez le abbiano. Il calcio europeo è stato rubricato talmente a frontiera del selvaggio west da autorizzare l’utilizzo della legge del più forte persino di fronte al “Diritto Comunitario”, dove evidentemente Real Madrid e compagni sono certi di avere i necessari appoggi politici per far cadere tutte le certezze del Presidente UEFA. D’altronde il momento è propizio, l’opinione pubblica viene da tre anni talmente terribili, e con un futuro ancora più a tinte fosche, da essere distratta da tutto ciò che non sia la sua paura. Ingovernabilità, caro energia, venti di guerra con risvolti nucleari, inflazione tendente a diventare “iper”, sta facendo calare un sipario oscuro anche sul perché siamo al mondo e sui reali motivi del nostro affezionarci alle cose. La paura racconta da sempre una sola cosa: si deve sopravvivere a qualsiasi prezzo, anche a costo di non vivere più.

La frontiera americana fu utilizzata per resettare la mente degli emigranti e per far cadere nell’oblio qualsiasi memoria della provenienza. L’America tende continuamente al futuro e il futuro non sa che farsene del passato e finanche del presente. In questa contemporaneità la tv provvede a rendere legittimo ogni genocidio culturale della memoria, ogni resistenza alla comprensione dell’avvenire prima di intraprenderlo. Fa tenerezza vedere tutto il da fare sui social, assunto come metadone da ciò che un tempo sarebbe stata azione sociale, ovvero la ragione usata per una ragione. Basteranno poche immagini sullo schermo per far dimenticare cosa ci sia dietro l’organizzazione dei mondiali del Qatar, ovvero un rosario di sfruttamento del lavoro immigrato e sottopagato incredibilmente accettato da tutti coloro solerti nel correre in soccorso dell’Ucraina ingiustamente aggredita dalla Russia di Vladimir Putin.

La società del politicamente corretto e del dibattito egomaniaco da social ha spinto la Danimarca a prendere la posizione di andare al prossimo mondiale senza logo pubblicitario sulla maglia e senza l’accompagnamento delle famiglie dei componenti della nazionale. “Non vogliamo contribuire ai profitti del Qatar e vogliamo mandare  un messaggio al mondo del nostro dissenso”, è stata la motivazione. Caro William Shakespeare hai preso una clamorosa topica, “non c’è del marcio in Danimarca” ma solo comicità involontaria, disperdendo così l’unica vera dimostrazione utile: non partecipare ai mondiali. Allucinati da chi ha già allestito dei luna park, si comprende come Luciano Spalletti sia rimasto impressionato dalla miriade di ristoranti presenti all’interno dello stadio dell’Ajax. “Cosa aspettiamo a fare questi stadi qui? - ha detto entusiasta il tecnico toscano – E’ un vantaggio anche per le squadre”.

Questo anche lascia inquieti, essendo un segno rivelatore del mettere al primo posto le necessità del luna park davanti a quelle del club e del gioco. Siamo alla rimozione dell’immaginazione per far posto definitivamente al fatturato, e il racconto si sta sbiadendo. Qualcuno (Tolkien) ha detto come “una delle funzioni principali delle favole sia la riscoperta” e le favole non hanno bisogno di restyling, ma solo di essere raccontate e ascoltate. Tutto qui.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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