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Mertens: vedere Napoli e non morire

Mertens: vedere Napoli e non morire - immagine 1
Torna un nuovo appuntamento con la rubrica “Loquor”, a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

Si riconosca il giusto rango”.

Marcello Veneziani

Ci sono momenti dell’esistenza in cui la luce pare essersi spenta definitivamente, dove tutto prova a convincere di una messinscena di un tempo talmente laido da giustificare la nostra indifferenza, il nostro adattarci al relativismo imperante. “Siccome lo fanno tutti, meglio lo faccia prima io per non rimanere fregato e poi vivere di rimpianti” è il leit motiv di questa Era disperata allorché ci si accinge a fare una cosa badando esclusivamente al proprio interesse e mai alle conseguenze generali, giungendo a dimenticarsi persino dell’esistenza degli dei, persuasi di venire dal nulla per ritornare nel nulla. E’ incredibile come qualcuno o qualcosa, nel tempo, ci abbia sul serio convinti della nostra assoluta relatività rispetto alla Storia, riducendoci a pure astrazioni matematiche di una perversa addizione a somma zero. Ma poi… poi mentre siamo immersi nella nebbia più oscura, ecco una luce tenue profilarsi all’orizzonte a sottolineare che le persone possono ancora fare la differenza, a ricordare di smetterla di ritenere di poter fare rivoluzioni attraverso messaggi retorici postati sui social e tornare a tenere ben presente la necessità di azioni concrete, quelle da un costo personale importante in genere fatte semplicemente perché sono giuste. Non capita tutti i giorni, a 35 anni, di ricevere una proposta dalla Juventus di un contratto biennale da 5 milioni di euro netti a stagione. Sono tanti soldi, sono la possibilità di chiudere alla grande una carriera, sono la proposta di un club protagonista in Italia e nell’Europa della Champions League. Ma se tuo figlio lo fai nascere a Napoli e lo chiami Ciro, dimenticandoti per un attimo della tua città natale, la Lovanio delle magnifiche università e dei leggendari mastri birrai, se accetti un sigillo esistenziale così importante non puoi proprio dimenticarti degli dei e del tuo destino. Passi in rassegna tutti i tuoi ricordi e non la vuoi vedere nemmeno avvicinare la lussuosa penna bianconera con cui vorrebbero farti siglare il contratto e dimenticare. Nella centrifuga di questo inizio di terzo millennio fatto di niente se non della insaziabile velocità del consumare, la “Banda Bassotti” che prova costantemente a scassinare la dignità della tua anima non è più l’eccezione ma la regola. Si va via da un posto perché si è professionisti e con un talento da mettere a frutto, ed è diventato normale sentire nei talk show nostrani dei fulgidi “maitre a penser” invitare i giovani a laurearsi bene, soprattutto in materie scientifiche molto spendibili sul mercato del lavoro, e fuggire via dall’Italia, giudicata sempre più matrigna e con il ticket del declino posto persino sul “Tricolore” del “Quirinale”. Accaparrarsi la vita per spenderla a dispetto di qualsiasi cosa, tanto tutto verrà dimenticato in fretta. Anche il nostro ricordo. Quante volte hai visto i tuoi colleghi saltare su un altro carro baciandone lo stemma con una facilità imbarazzante, quasi si trattasse di un gioco invece del simbolo di un amore di generazioni di persone. Un professionista forse dovrebbe evitare esibizioni da saltimbanco del marketing, e forse dovrebbe anche smetterla con i saluti sui social dove ai suoi ex tifosi comunica quanto è stato bene con loro e come non li dimenticherà mai, ma che ora c’è un altro passaggio importante della sua crescita professionale da fare, un’altra sfida ad attenderlo. Quando sei giovane è difficile badare a quanta distanza metti dal luogo in cui vorrai tornare, e ad un certo punto la distanza rischia di diventare incolmabile a causa di tutte le volte che hai mentito e ti sei mentito. Dimentichi l’origine di tutte le cose, dei primi calci ad un pallone dati per l’inerzia di stare insieme ai tuoi piccoli amici o per rendere meno distante un genitore disattento. Il pallone corre sempre verso qualche parte, ma ora non ha più la magia e l’affascinante incognito di quei primi tempi. Ora sei un prodotto del calcio proteso perpendicolarmente verso una SuperLeague da sogno, specialmente per le tue e altre tasche non sempre note. Nessuno può giudicarti, visto come si sia tutti noi figli dello stesso tempo e dello stesso abbruttimento esistenziale. Non siamo più capaci di opporci a niente, ed è solo l’illusione di essere liberi a non farci rendere conto come i social, con i loro filtri a volte al limite del ridicolo, ci costringono a viverli come loro vogliono che li si viva. E dopo un po’ i discorsi diventano sempre gli stessi, o è appendersi ai ricordi o è contestare in un “loop” stordente qualcuno o qualcosa, illudendosi così di arrivare a possedere una qualche patente da novello Che Guevara. I giocatori di calcio, tu lo sai bene, non conoscono il principio e la fine ma unicamente il determinato presente, Non vogliono voltarsi indietro, non intendono guardare in avanti. Troppo impervio farlo, infinite domande necessarie di una risposta verrebbero su e allora perché complicarsi la vita? Cristiano Ronaldo che a 37 anni lotta ancora con il presente incurante di stare mandando al diavolo un rapporto con lo “United” fino a poco tempo fa quasi materno deve sembrarti proprio senza destino, ma non lo puoi dire considerato come i colleghi si debba provare sempre a rispettarli. Non è facile lasciare Napoli e il Napoli, lo hai anche detto in un video con in braccio Ciro quanto ti sei divertito e che non lascerai mai la tua casa di Posillipo. Non è un caso la presenza di Ciro tra le tue braccia, lui è il legame e il nuovo origine venuto al mondo in mezzo a gli otto anni di Napoli e al record di gol che non ha minimamente offuscato Diego Armando Maradona, bensì lo ha inorgoglito ovunque adesso si trovi. “Sai cosa vuol dire il sud Italia che sfida gli Agnelli?”, dice l’eterno sorriso scaltro del “diez” al grande Emir Kusturica in un documentario in cui ripercorre tutta la sua carriera dove Napoli è stato il “barrio” andato a sostituire “Villa Fiorito”, l’origine sovrapposta ad un’altra origine. “Siamo stati tratti dal fango” ha detto di recente l’attuale Pontefice della Chiesa Cattolica e di certo questa è l’origine comune, si abbia cura di non mettere congiunzioni avversative a tale semplice concetto. Infatti non c’è un “ma” che tenga quando lasci il Napoli o il Torino e ti vai ad accasare alla Juventus, e si badi di non catalogare ciò alla stessa stregua di una formalità effimera poiché si sta parlando di sostanza. Il gran rifiuto di vestire bianconero da parte di Kalidou Koulibaly e Dries Mertens sono più di un monito indirizzato al mondo del calcio e dei suoi tifosi, sono il grido lanciato dal deserto del nostro relativismo confuso da Oriente e Occidente per necessario progresso. L’amore dei napoletani verso questi due giocatori ha causato un vero atto rivoluzionario, il miracolo atteso da quel lontano giorno in cui Gigi Riva, “Rombo di Tuono”, disse a chiare lettere che dalla Sardegna non si sarebbe mai spostato, nemmeno per la Juventus degli Agnelli. Nemmeno per i soldi, la fama e le molteplici vittorie promesse. Si resiste alla logica del “così fan tutti” e si indica qualcosa a chi ha occhi sul serio per vedere, tracciando una vera strada per il futuro. Non ci si stanchi di amare e di sperare di essere diversi, non si inganni la mente come queste siano intenzioni retoriche o, peggio, utopie irrealizzabili. Dobbiamo tornare a pretendere da noi stessi e dagli altri atti concreti, non perché dobbiamo ma perché possiamo. Cercare quell’istante magico, di cui parla Paulo Coelho, in cui con un sì o con un no si può cambiare la nostra esistenza è l’essenza di quella avventura iniziata dal momento in cui, appunto, siamo stati tratti dal fango. Tra molti anni da oggi a Ciro Mertens capiterà di vedere il toccante video con cui Dries ha voluto salutare Napoli e i napoletani, e alla vista di quel volto paterno ancora giovane trasfigurato dall’amore non potrà non esclamare con orgoglio: “era mio padre”! Sottrarre per aggiungere, tale è il segreto di un immenso segreto.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

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