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Igli Tare e il calcio tecnicamente fallito

Igli Tare e il calcio tecnicamente fallito - immagine 1
Torna l'appuntamento con "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“L’università insegna

                                                                                 a studiare”.

Maria Montessori

Sin dai tempi del Medioevo le università si trovarono ad affrontare il problema di trovare spazi di libertà, di smarcamento da qualunque potere (politico, religioso o economico che sia) sempre teso a voler ricondurre quel luogo di sacro confronto delle idee e della ossessiva ricerca della verità sotto il giogo dei propri interessi. Nell’antichità alcune di queste istituzioni dovettero addirittura ricorrere all’uso delle armi per impedire la profanazione del cuore pulsante della cultura occidentale, animate dalla consapevolezza di rappresentare quella ideologia di libertà senza la quale non sarebbe stato possibile che diventasse il necessario terzo potere critico da affiancare a quello politico e a quello teologico.

Per generazioni, nelle sue aule, l’istituzione universitaria ha fornito alle future classi dirigenti una stella polare etica da seguire ogni qual volta avesse deciso di fermarsi davanti alla bulimia di potere per guardarsi dentro e darsi una occasione di diventare migliore. Ne discende come qualsiasi dibattito avvenuto all’interno delle mura universitarie non dovrebbe mai essere ricondotta agli stilemi da bar o all’esercizio velleitario a cui oggi sovente si assiste scorrendo le notizie diramate dalla stampa. Umberto Eco sosteneva del vantaggio di almeno vent’anni che le università hanno rispetto ai mass media, perennemente in ritardo sul dibattito di problemi urgenti da risolvere all’interno dell’evolversi tumultuoso delle società. Forse è per questo che la stampa ha finito per non comprendere quasi niente della conversazione tenuta da Igli Tare con gli studenti dell’Università Luiss “sull’evoluzione del diritto sportivo e dei profili economico-finanziari delle società”.

Il Direttore Sportivo della Lazio, stimolato anche dalle domande degli studenti, è andato giù duro sulle problematiche del calcio italiano senza nascondere e nascondersi niente, perché appunto la platea a cui si rivolgeva non era di quelle da tenersi buone per qualche dollaro in più, ma l’informazione sportiva non vedeva l’ora di accendere l’ennesima graticola su cui avviare l’eterna polemica “dell’io contro te” molto utile per cercare di aumentare l’attenzione su di essa sempre più asfittica. E quando l’unico intento è quello di fare polemica spicciola, si fa presto ad estrapolare frasi prive dal contesto e sbatterle in prima pagina nel penoso tentativo di creare un rovente dibattito basato sulla manipolazione e sugli slogan coniati per supportare ogni tipo di luogo comune.

L’ignoranza e la presunzione farà il resto. “Per generare più introiti, generiamo più problemi. Il calcio ha preso la strada sbagliata”, è stato il punto di partenza della analisi sul calcio italiano di Tare, quasi stupito dell’incapacità del sistema di comprendere come le troppe partite non solo stanno distruggendo la sacralità dell’evento agonistico, ma ignorano colpevolmente l’impossibilità dei calciatori di recuperare bene dallo sforzo fisico operato nei 90 minuti di una partita. “Questo non è umano” è stata la spietata denuncia dell’ex calciatore albanese, e oltre la mancanza di umanità le parole di Tare ne hanno sottolineato l’incomprensibilità e la stupidità, visto come tutto questo giocare e tutto questo aumento di introiti non hanno portato i libri contabili dei club ad essere floridi di utili, ma al contrario hanno generato situazioni debitorie da collasso finanziario continuamente imminente.

“Si sono inventate competizioni inutili” non per mettere in scena l’atavica emozione di provare a vincere, ma esclusivamente per far girare un business con fiumi di denaro ad irrorare le tasche dei più disinvolti, prescindendo in modo evidente dallo sport. È la logica, come detto tante volte, dello spettacolo a cui l’agonismo è stato sacrificato. La malafede di alcuni commentatori si è esposta in modo chiaro nel loro essersi aggrappati all’espressione “di club tecnicamente falliti” del dirigente biancoceleste, espressione usata retoricamente per far comprendere in modo chiaro all’uditorio la disperata situazione economica in cui versano i nostri club. Ecco allora alcuni pensosi corsivi a spiegare all’illustre dirigente sportivo come Milan, Roma, Juventus e Inter non siano tecnicamente falliti, ma siano continuamente ricapitalizzate nonostante il “rosso” in bilancio. Andasse, Tare, a studiare un po’ di contabilità aziendale. Forse basterebbero le tabelline per spiegare la differenza tra un fatturato della Seria A di 2,7 miliardi di euro l’anno a fronte di costi di 3,5 miliardi.

Se non siamo tecnicamente falliti, forse siamo tecnicamente scemi. Ma sarà meglio non dirlo troppo a voce alta, altrimenti i pensosi corsivisti potrebbero risentirsi e fare un’altra analisi dove spiegano come il bilancio “rosso” sia bello e tu non hai capito niente su come si faccia a fallire veramente. Se poi si prova ricordare come probabilmente il 20% dei fatturati siano plusvalenze fittizie (e quindi la situazione debitoria sia in realtà maggiore dei dati ufficiali), allora sì che li vuoi fare veramente imbestialire: “chi sei tu per stabilire il valore oggettivo di un giocatore”? Un calcio continentale con un aumento negli ultimi anni del proprio fatturato tre volte più velocemente rispetto all’aumento del PIL pro capite dell’Unione Europea e che non riesce a trovare un suo punto di “sostenibilità”, fa capire chiaramente come sia scevro da qualsiasi valore di “buona impresa” ed è pronto a consegnarsi alle logiche finanziarie dei fondi di investimento, le uniche in grado di carpire guadagni dal caos generato da una gestione scellerata da quell’autentica gallina dalle uova d’oro denominata “lo sport più seguito al mondo”.

Il calcio, secondo Tare, è “la Ferrari che prima o poi si schianterà” perché nessuno tiene veramente ai club, a causa di contratti troppo precari nella loro durata, responsabili di aver dato vita a dirigenti poco aziendalisti. E qui l’analisi dell’ex attaccante albanese rischia di scivolare un po’ nel “pro domo sua”, e qualcuno ci vede (per esempio Alfredo Pedullà) un attacco, portato avanti con poco stile, alla gestione dell’ultimo mercato della Lazio affidato a Maurizio Sarri.  Siamo al solito retroscenismo all’italiana tendente spesso a buttare la palla in tribuna guardando il dito invece della Luna da esso indicata. È comprensibile l’alto concetto di sé e del suo ruolo che Tare si riconosce, ma bisogna ammettere l’impossibilità anche per un dirigente bravo e aziendalista di fare qualcosa quando l’83% dei ricavi di un club servono per pagare gli stipendi dei tesserati e le spese di mercato. Nessuno è in grado di fare la differenza nel nostro campionato, se nella Serie A a perdurare è una situazione di passivo in bilancio (in sintesi la differenza tra entrate e uscite) seconda solo alla Premier League. L’altro scivolone, all’interno del pur meritevole intervento alla Luiss, il dirigente biancoceleste lo ha commesso nel parlare del fenomeno delle multiproprietà, definite “un bene se hanno un secondo fine utile per l’azienda”, riconoscendo colpevolmente nel guadagno il fine ultimo dei club calcistici.

Platea planetaria, audience televisiva, gestione del merchandising, stadi diventati luoghi di consumo più che di ritrovo, eccessiva invadenza degli sponsor tecnici, tifosi utilizzati come ariete per nuove monete digitali e altamente speculative, sono tutte cose frutto di mentalità di impresa e probabilmente non avrebbero dovuto trovare posto nel fenomeno sociale più seguito e diffuso della storia. Intanto i debiti dei club della Serie A sono saliti a quasi sei miliardi, e nelle pieghe nascoste ci sono prestiti con tassi a doppia cifra, entrate future già messe a garanzia, pacchetti azionari impegnati. Se non si è tecnicamente falliti, ci si è molto vicini.

La situazione è così seria, e si aggraverà con il sopraggiungere della crisi economica più grave dal 1929, che nonostante tutti si ammetta come servano nuovi stadi, e come questi possano essere una grande occasione di business, all’unanimità si è applaudito tempo fa ad un intervento di Giovanni Malagò, in cui si auspicava l’organizzazione di un grande evento internazionale (Mondiali, Europei, Olimpiadi) come unico modo per finanziare e costruire finalmente degli stadi nuovi. A spese della fiscalità generale, ovviamente, magari con l’abbrivio del “Recovery Fund”. Più si va avanti e più ci si rende conto, per dirla alla Arthur Bloch, come “tutto si basi sull’unico libro che non hai mai letto”. “la sfiga ci vede benissimo”, direbbe il poeta.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

 

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