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Tequila Sunrise

Riassunto puntate precedenti:
Due vicende apparentemente slegate, aventi come protagonisti due persone che rispondono sempre al nome di Jim, si snodano nell’Inghilterra del...

Redazione Toro News

Riassunto puntate precedenti:Due vicende apparentemente slegate, aventi come protagonisti due persone che rispondono sempre al nome di Jim, si snodano nell’Inghilterra del 1969 e nella primavera 1987 in Italia, accompagnate dal curioso digradare dal verde al rosso del quadrante dell’orologio del protagonista. Nel frattempo una terza storia comincia lentamente a svilupparsi in Arizona.Tutte le vicende sono però collegate da una quarta scena, nella quale il protagonista, con una presenza femminile ostile alle spalle, ritorna faticosamente in se stesso dopo essere stato rapito da una luce bianca.A mano a mano che le vicende si sviluppano, Jim, il protagonista, si rende conto di essere entrato a far parte delle storie che egli, scrittore, ha composto, arrivando ad amarne luoghi e personaggi, fino a trovare sempre più difficoltoso il ritorno alla realtà, fino a ritrovarsi spaesato di fronte alla luce bianca del monitor.Rientrato un’ultima volta nel suo ambiente ostile originario, decide di rifugiarsi nella storia ambientata in Arizona, che aveva cominciato a costruire.E di non tornare mai più

ArizonaTempo imprecisatoJim si voltò lentamente, dopo aver udito il colpo con la palla da biliardo.Un uomo con un cappello da cowboy e la barba lunga stava lottando con la schiuma del suo boccale di birra, tutto intento a guardare una corsa di goffe dune buggies che si azzuffavano nel fango, su uno dei tanti video al plasma.Lei era poco più in là.Era scivolata in avanti, sul tappeto verde del biliardo, cileccando completamente la palla bianca e colpendo con la stecca direttamente la biglia numero otto, che roteava beffarda accanto a lei.I loro occhi si incontrarono buffi e lei sorrise imbarazzata.- Ho sempre dei problemi a spingere in buca la palla nera… – disse arrossendo.Jim fece mezzo passo in avanti per aiutarla a sollevarsi, ma lei si era già rimessa in piedi.- Mi scusi… - mormorò.- E di cosa? – replicò Jim sorridendo.Indossava un top nero senza maniche ed un paio di jeans sportivi. Aveva capelli biondi e cotonati come andava di moda negli anni Ottanta, occhi profondi e scuri, mani delicate da pianista.Jim si guardò attorn,o nell’interminabile attimo che sapeva intercorrere tra il loro saluto e l’inevitabile arrivo di un armadio con la camicia a scacchi ed il cappello da cowboy.

Tutto bene cara? E’ successo qualcosa?

La radio della camera del motel continuava a trasmettere la stessa canzone che la sua Impala suonava da sempre.

Take another shot of courageWonder why the right words never comeYou just get numb…

Si sentiva a suo agio all’interno di quella camera e gli spiacque il pensiero di doverla abbandonare la mattina seguente. Certo, avrebbe potuto fermarsi quanto voleva in quel posto sperduto e bellissimo, luogo di saltuari rumori di motori che sfrecciavano placidi in un ping pong lento e disordinato.Qualcosa però gli diceva che avrebbe dovuto proseguire.La radio insistette e lui rifletté su quelle parole.Già, take another shout of courage.Quanto ne avrebbe avuto bisogno nella sua vita quando si era lasciato sopraffare dalle decisioni, anziché affrontarle. Quando aveva lasciato sfuggire dalle dita i bivi che lo avrebbero potuto portare in salvo.L’aveva lasciata andare via così, con un abbraccio reciproco un po’ triste, e Margot lo aveva guardato con sguardo dolceamaro.Quanto erano state importanti le cose dal retrogusto amaro, in molte sue vicende, il cerchio fatto quadrare in maniera imperfetta ma sublime?Anche lei sarebbe ripartita l’indomani mattina, forse prima di lui.Perché l’aveva lasciata scappare credendo che il suo tempo fosse eterno?Il quadrante dell’orologio continuava a pulsare di verde smeraldo e quel mondo sapeva di nuovo.

Partì di buon’ora, lasciandosi un senso di malinconia alle spalle, per quel piccolo Motel, abbandonandolo con una gustosa colazione.Malinconia, imperfezione che si portava dietro.Voleva che il mondo nel quale era definitivamente scappato potesse essere senza regole di spazio e poter ripresentare in ogni luogo le cose alle quali era legato, senza doverle rimpiangere.Senza trascorrere il suo tempo desiderando una persona che non c’era.Ci sarebbe arrivato, forse.Col tempo ci sarebbe arrivato.

Dopo qualche minuto giunse in vista di un lungo rettilineo, percorso circa un chilometro del quale, una struttura bianca e scheletrica dava il suo strano saluto a coloro che attraversavano quella valle deserta.Tutto era inondato da un sole che doveva essere soffocante, eppure Jim, spinto da un luccichio che aveva visto sulla collina, azionò l’indicatore di direzione ed entrò nel piazzale polveroso della struttura.Era un vecchio distributore di benzina, abbandonato probabilmente da anni, con annesso quello che doveva essere stato un negozio di souvenir.La porta del gabbiotto del gestore sbatteva metallicamente spinta dal vento ed il suono si disperdeva nell’Arizona.In un angolo del piazzale, tra erbacce e vecchie taniche rovesciate, giaceva la carcassa di una vecchia De Soto bianca, terza serie, risalente probabilmente alla fine degli anni ’50.Chissà quale poteva essere stata la storia di quella vecchia e sfortunata macchina, si chiese Jim.Anche se non ricordava come, nulla in quel mondo era stato lasciato al caso, un giorno gli sarebbe piaciuto scoprirne la storia.Mentre la mente si perdeva in quel mondo, completandolo, la sua attrazione fu attratta da un luccichio sul fianco della lunga salita che da lì iniziava ad arrampicarsi verso un contrafforte roccioso.Lo stesso luccichio che aveva attirato la sua attenzione poco prima, mentre era alla guida.La spettacolare collina, fatta nella prima parte di cespugli, saliva lentamente oltre il distributore.Quasi sul culmine di essa, proprio sotto un anfratto, rivide per un istante il riflesso.Incuriosito, fece qualche passo in avanti, abbandonando il piazzale.Ebbe un singulto di paura nel pensare ai serpenti a sonagli che sicuramente si annidavano in ogni dove nelle vicinanze. Poi si rilassò. Sapeva bene che non ne avrebbe trovati. Non esistevano lì e quand’anche ci fossero stati, non lo avrebbero importunato. Era stato lui a stabilire le regole, disegnando il mondo con la mente, prima di scriverlo su carta.Giunto a metà della collina, guardò su e vide un uomo seduto nell’anfratto.Indossava vesti di pelle, aveva un’età indefinibile e due lunghe trecce gli scendevano si lati del capo.Lo riconobbe subito. Era l’Indiano, che tante volte, inspiegabilmente, aveva incontrato nei suoi racconti. Guardava fisso di fronte a sé, un orizzonte che probabilmente si rifletteva nella vallata di fronte.Jim si domandò se salire ancora per raggiungerlo, poi alzò le spalle turbato da quel personaggio che non aveva mai riconosciuto come proprio, e si riavviò verso il distributore abbandonato, dimenticandosi ben presto di quell’ospite enigmatico.

Si fermò poco più di 150 miglia più a Ovest, dove la strada digradava in un’ampia curva panoramica. Da lì si apriva lo spettacolare scenario sulla Monument Valley, che gli tolse improvvisamente il fiato.Sono arrivato alla fine della strada, pensò, di fronte a tanta maestosità.Era fantastico viaggiare senza limiti di tempo in quell’universo dalle strade lunghissime, ed era accattivante fermarsi quando si voleva, senza lancette nell’orologio, che non fosse la luce verde del mondo che si stava componendo.Infilò una strada sterrata in leggera discesa sulla sinistra, poco dopo la curva, preceduta da un cartello che indicava un motel con brethtaking view sui colossi della natura.Il motel era decisamente più turistico rispetto a quello da cui era partito quella mattina stessa. La strada non permetteva un accesso agevole ai lunghi trucks che ancora scorrazzavano da quelle parti e la struttura aveva l’aspetto di un discreto albergo piuttosto che di un modesto motel.Infilò la sua Chevy Impala accanto a una scintillante Plymouth Fury rossa e bianca della fine degli anni ’50, al limitare della staccionata del posteggio.Gli altoparlanti esterni del motel rovesciavano lentamente le basse note che lui conosceva bene.

Ev’ry night when the sun goes down,Just another lonely boy in town…

Arrivare alla fine della strada ed essere raccolto da qualcuno…

Erano i suoi pensieri sconnessi, era ciò che gli sarebbe piaciuto.Raccolse la borsa grigia dei ricordi, ai quali non era riuscito a rinunciare, e si registrò al motel, dove aveva deciso di trascorrere la notte.Uscito nuovamente fuori, si diresse al punto panoramico oltre la staccionata.Il caldo della giornata, stranamente moderato dalle volate di vento che sollevavano piccoli turbini di sabbia, rendeva in rilievo i contorni delle cose.Si appoggiò alla balaustra e tirò un lungo sospiro, facendo poca attenzione alla persona poco più in là.Sospirò chiudendo gli occhi e sentendosi al sicuro. Da quanto tempo cercava una pace simile?Quando li riaprì, la persona si era avvicinata armeggiando col suo treppiede. Aveva lunghi capelli cotonati e stava cercando di inquadrare uno dei colossi.Non si era accorta di lui.Si sentì osservata e si voltò.Si sorrisero con sollievo, come se si mancassero reciprocamente da ben più che un’eternità.- Ciao…- Ciao…!

Fu così, che cominciò, anzi continuò, al termine di un’altra serata trascorsa su bistecche il cui grasso sembrava la cosa più salutare del mondo.- E’ tua la Plymouth? – le domandò dopo cena, quando stavano indugiando in una passeggiata tra le vetture del parcheggio, vedendola armeggiare con l’ampio baule.- Ti piace? E’ del 1958, a dire la verità era del mio ex marito, lavorava in una officina dove restauravano vecchie macchine. Me l’ha regalata e alla fine è rimasta mia. Costa un occhio della testa di carburante, ma non la cambierei con nessun’altra vettura al mondo. Perché fai quella faccia? Ti ricorda qualcosa, vero?Per un istante Jim ebbe la certezza che Margot stesse leggendo nel suo pensiero.- In effetti... sì. Mi ricorda qualcosa. – Era la protagonista di un romanzo che aveva letto molti anni prima. In quella che era stata la sua vera vita.Poté intuire il sorriso complice della ragazza, prima che proseguissero nella passeggiata.

- Ma davvero, anche a te piacciono gli Eagles? Non trovi che questo scenario si adatti alla perfezione? Non farei che ascoltarli…- Quel film… uno dei più belli che abbia mai visto… ma davvero anche tu…- Alle volte non c’è bisogno di parlare, vero. Parla già il piacere di esserci, non trovi?- Ti piace davvero quel libro? Hai letto anche gli altri? L’ultimo poi è bellissimo…

Andarono avanti fino a tarda sera, incrociando i destini che sembravano segnati, fino all’ingresso delle camere del Motel.Avevano dato per scontato che si sarebbero nuovamente detti addio, prima di ripartire separatamente, il giorno dopo.- Allora… arrivederci Jim. Se è destino, vorrà dire che ci rivedremo ancora…- Lui scosse la testa.- No, non voglio che te ne vada…Lei inclinò il volto appena stupito.- Ascolta… – proseguì Jim – perché non… E se poi non dovessimo reincontrarci? Io non sono sicuro che le cose siano così scontate… C’è un posto qui vicino, su un contrafforte roccioso. Non ci sono mai stato ma so esattamente cosa si deve vedere dall’altra parte… mi piacerebbe portarti… Non voglio che tu vada via…Lei deglutì, cercando con lo sguardo un punto dietro di lui.- E... le mie fotografie…?Era una domanda inutile, lo sapevano entrambi.Se avesse detto di no, lui non l’avrebbe trattenuta. Non ne aveva più la forza- Allora… vorrà dire che mi prenderò un giorno di vacanza… - disse tentennando, lo sguardo che non incrociava il suo.- Uno solo?Lei lo guardò timidamente.- Il posto è carino…, ci sono molti scorci suggestivi dai quali fare fotografie… potremmo fermarci un paio di giorni…- Difficile ma ci penserò – rispose Margot con sguardo furbetto.Poi richiuse la porta della sua camera alle spalle.

Giunsero in cima al contrafforte roccioso, spazzato dal vento e completamente solitario, dopo un’ora di cammino silenzioso.La prese per mano per aiutarla a superare l’ultimo scalino e lei ricambiò la stretta, staccandosi soltanto dopo qualche secondo.Non parlarono, emozionati, sedendosi rinfrancati da quella brezza in direzione della vallata che si apriva oltre di loro.Jim trattenne il fiato. Era la prima volta che vedeva tutto quello, anche se sapeva che lo avrebbe trovato. Si chiese come avrebbe reagito Margot. Nulla era come doveva essere.L’arido ma suggestivo paesaggio dell’Arizona lasciava spazio nella vallata successiva ad un orizzonte che si estendeva a perdita d’occhio, fatto di prati verdi e boschi, per poi variare, in un limitare di mare, con colori più tenui, simili a quelli della città che aveva amato tanto.Sulla sinistra, in lontananza, gli parve di vedere un aereo sollevarsi in volo in silenzio. Lo riconobbe, era uno spitfire rosso.Laggiù… - mormorò con voce insicura – ci deve essere un vecchio aeroporto. Ci sono due ragazzini che ho conosciuto so che c’è anche una ragazza con una Mini cabrio, che scorrazza verso il mare… e che forse si ricorda di quello che è successo…Appoggiò mani e mento sulle sue spalle, continuando a guardare l’orizzonte.Vide i contorni della città, fece uno sforzo per mettere a fuoco e gli parve di scorgere un pullman, lontanissimo, forse solo immaginato.Si chiese se in ultima fila fossero seduti due ragazzi, che stavano per venire a sapere che il loro disco era stato trasmesso da una radio.- E lì… - prese fiato.- So tutto di te – disse lei con la voce più calma del mondo.Jim non avrebbe dovuto essere stupito, ma si sorprese.- So tutto di te. So tutto dei tuoi mondi…. So di quanto hai sofferto nel tuo per scappare via dal tuo mondo, so della vita che non riuscivi più a condurre. So di quanto hai creato e dei tuoi amici…L’orologio di Jim pulsava del giallo che era sempre stato il suo colore preferito, mediano tra il verde e il rosso e per la prima volta sentì che quel mondo era il posto giusto per lui.- So che hai racchiuso tutte le cose più care che hai qui… ti mancano molto i tuoi amici? – indicò l’aeroporto di Biggin Hill.Il vento suonava tra di loro. Jim sapeva che non avrebbe smesso la sua canzone, che parlava di uno shot of courage.- Sono parte di me – disse con rassegnata tranquillità. Si volse per guardarla, ma non riuscì ad alzare lo sguardo stanco.- Tu mi manchi, da una vita. Anche se non ti ho mai conosciuta prima.Margot pose la sua mano sulla sua. Sentiva che stava imparando, ma aveva ancora bisogno di lui per conoscere.- Perché qui… perché ora? Come mai non ti sei fermato in uno dei mondi… in uno dei racconti che hai creato? Perché te ne sei sempre andato?Lui tornò a guardare l’orizzonte di quel posto pieno di infinito - Alle volte le storie non devono far quadrare il cerchio, per essere reali… forse devono avere un sapore dolceamaro… per essere stupende, non trovi?Margot poggiò il capo sulla sua spalla- Ti è mai passata per la testa l’idea che potresti essere tu a non essere reale? Magari qualcuno ha creato te, come tu credi di avere fatto con gli altri… - sussurrò e lui sobbalzò a quel buffo pensiero.Lo abbracciò, e lui appoggiò il capo su di lei.- Sei arrivato alla fine della strada – gli disse sussurrando – Ora non devi avere più paura. Di niente. Sei al sicuro con me… Non devi avere più paura.Jim la strinse a sé, sprofondando il capo su di lei, sospirando forte e lasciando scorrere via le sue paure.L’avrebbe portata in capo al mondo, ne era sicuro.Avrebbe creato per lei i posti dei suoi desideri.Magari San Francisco, perché no.La San Francisco dell’estate 1967, dove invecchiare con lei e perdersi nel suo amore.Perché no?L’avrebbe portata lì.Il giorno si lasciò trascorrere con loro due abbracciati.

CaliforniaUn anno dopo - E’ questo il posto? Fa freddo oggi…- Freddo? Che esagerata? A San Francisco in questo punto tira sempre una bella aria, ma mai gelida…Margot si strinse nella giacca di jeans e rabbrividì.- E’ questo il forte? – indicò la costruzione alla propria sinistra, a ridosso del terrapieno.- Sì – spiegò Jim – Questo posto è chiamato Fort Point, oppure Old Fort Point, in memoria di quello che è stato uno dei simboli della città. Soltanto che un tempo tutto questo non c’era… - indicò l’enorme struttura rossa del Golden Gate che si stagliava proprio sopra di loro – Non è spettacolare?La ragazza annuì ammirata. Poco più in là, alla loro sinistra, basse nebbie si condensavano, mangiandosi parte del panorama.Le abbracciò le spalle – Vuoi sapere allora perché ti ho portata fin qui? E’ da una vita che voglio arrivare in questo posto…- Dimmelo, scrittore – mormorò Margot – aveva occhi leggermente lucidi che scrutavano la baia.- In questo posto… - disse Jim con tono enfatico – è stato girato il mio film preferito…- Quale? Aspetta, lasciami indovinare… - fece con una punta di ironia.Jim prese per mano Margot e la condusse al limitare del marciapiede, proprio di fronte alle corde che impedivano pericolosi salti sulle rocce della baia poco sotto.- Ecco, mettiti qua, guarda il mare, fai così…- Ma io…- Fallo, dammi retta. Ecco, io mi metterò là – indietreggiò di una decina di metri – ora, tu sei Kim Novak e sei vestita di verde. So che sai chi è Kim Novak e non c’è bisogno che te lo spieghi. Io invece sono un corpulento signore inglese di 58 anni, che sta per dirigere il suo capolavoro. Ora tu ti getterai nella baia e io, che mi trasformerò in James Stewart, mi getterò per salvarti, va bene?- Non ho nessuna intenzione di gettarmi nella baia! Tanto più che oggi non sono in forma…- Non ce ne sarà bisogno – la rincuorò Jim correndo verso di lei e abbracciandola – Non so nemmeno nuotare e non potrei salvarti. Mai sentito parlare di Vertigo? La donna che visse due volte, di Alfred Hitchcock?- Me ne avrai parlato almeno 50 volte… amore... O forse 500? Ma non l’ho mai visto…Una smorfia di dispiacere si dipinse sul volto dell’uomo – Che peccato… pensa che in città c’è un locale dove trasmettono vecchi film. Questa settimana in programmazione ci sarà proprio Vertigo…- Lo voglio vedere!- Dici sul serio?- Sì, andiamo anche stasera, se vuoi. Ci tengo… ti farebbe felice?- Certo… temo che tu lo sappia bene…- Ottimo allora. Mangeremo qualcosa fuori, poi ce ne andremo al cinema, sperando che questo freddo mi passi, ok?I due si avviarono lungo il marciapiede della passeggiata, lasciandosi alle spalle il forte e il Golden Gate, fatti pochi metri però lui si fermò di colpo.- Aspetta…!- Che ti succede, amore?- C’è qualcosa… qualcosa di strano… guarda là… nell’acqua.- Che cosa? Non vedo niente…- Guarda bene… - indicò un punto preciso dell’acqua, dove si era formata una chiazza.- Vedi quella roba… ? – rabbrividì Jim – è… non dovrebbe esserci...- E’ vero… è viola. Ma cos’è?Restarono a guardare la strana macchia in quell’universo di serenità. Poi si allontanarono senza parlare, fino a dimenticarsene.

Pioveva su San Francisco.Pioveva da due giorni e faceva freddo.Giove pluvio aveva veramente deciso di scatenare qualcosa di particolare su quel tratto di California, dal clima fresco ma mai estremo.Jim scostò le tende e guardò in strada sentendosi a disagio. Poco più in là Margot si rigirava nel letto per la febbre. Era così da due giorni ormai.No, non quadrava. La sensazione di estraneità aumentava col passare del tempo.Quella non era la città che aveva disegnato con la mente per il suo racconto. Quello che aveva visto dalla finestra era un mondo grigio, dove la gente camminava con la testa bassa. Freddo e grottesco di ostilità. Non era un mondo armonico anche nelle sue contraddizioni, come aveva immaginato il suo rifugio. Era diventato grossolano, come se un pittore l’avesse dipinta con un machete.Continuava a ripensare al camion che era sbucato fuori dal muro, tagliando loro la strada qualche sera prima.Non avrebbe mai potuto scrivere una cosa simile, neanche se gli fosse involontariamente sfuggito. Sarebbero morti, la testa di Margot sarebbe saltata via contro la lamiera del camion, se lui non avesse potuto contare sul vantaggio di essere il creatore di quel mondo.Guardò il quadrante dell’orologio. Il rosso stava cominciando lentamente a lampeggiare.Sarebbe potuto tornare indietro a fare eventuali modifiche, ma soltanto finché la luce avesse continuato ad esserci. Un istante più, non avrebbe più potuto fare ritorno, come spesso aveva rischiato nei tanti racconti nei quali era entrato e che aveva finito per credere veri.Tornare? Lui non voleva entrare. Chi poteva dire quanto tempo era passato nel suo mondo, ma La Presenza Ostile lo avrebbe aspettato per fargliela pagare, ne era certo.E poi, modificare che cosa…?Camminò su e giù per la stanza come un leone in gabbia, quindi decise che doveva capirne di più.Domandò a Margot se per caso si sentisse in grado di venire con lui, ma lei sussurrò di essere troppo stanca.Le diede un bacio e le rimboccò le coperte, non capendo.La guardò. Era bellissima, ciò che aveva sempre desiderato per tutta la vita, nella sua semplicità.Come poteva soffrire, nel mondo che aveva creato? Che cosa stava succedendo, qual era la nota stonata?- Torno presto, amore – le sussurrò.- Ti aspetto – rispose la giovane donna, ma gli sembrò che una piccola lacrima spuntasse dai suoi occhi stanchi.Jim scese nella pioggia e saltò sulla Impala.

La macchina impiegò cinque minuti a partire, altra stranezza, poi si mise in moto rombando.Accese la radio, ma anziché udire Tequila Sunrise, la canzone che aveva sempre accompagnato i suoi attimi di serenità, dall’autoradio uscì una canzone dozzinale italiana.Jim si accigliò e si domandò come potesse essere possibile. Tutte le stazioni trasmettevano la stessa terribile canzone. Fece per spegnere la radio, ma la radio non si spense ed il volume non ne volle sapere di abbassarsi.La macchina si infilò nella pioggia, nonostante il fastidio insopportabile.All’angolo della strada Jim vide un ragazzo fradicio che stava forzando un distributore automatico di bibite. Poco oltre due giovani erano impegnati in una scazzottata su un marciapiede. Uno dei due scivolò e piombò in strada, proprio davanti ai fari della Impala.Jim sterzò violentemente, evitando il contatto di un soffio.Di lì in avanti cominciò a sudare freddo, avendo compreso di essere vittima di una battaglia.Cominciò a grandinare violentemente, chicchi enormi, Jim non li aveva mai visti. I colpi sulla Impala sembravano volerla squarciare. Poco più avanti un pullman scoperto ospitava tanta gente al piano superiore, che per qualche strano motivo non riusciva a scendere e veniva bombardata dalla grandine.Assurdo, tutto era assurdo.Jim lo sapeva, non poteva soccombere, ma voleva vederci chiaro. Se quello stava capitando nel mondo che lui aveva disegnato e creato con la mente meglio di qualsiasi altro posto, cosa stava capitando ai confini del mondo, il territorio che lui aveva soltanto tratteggiato, senza soffermarvisi troppo?

Il sole splendeva oltre il Golden Gate, il fortunale aveva ingenuamente concentrato le sue forze soltanto su San Francisco.La radio continuava a suonare incessantemente terribili canzoni italiane tratte da un reality e non c’era modo di farle tacere.Tutto era diverso oltre il ponte.Case piatte, senza tetto, che sarebbero state più adatte ad un altro tipo di nazione o di clima. Costruzioni che gli procuravano disgusto. Altre strane costruzioni storte, ardite, sfidavano la legge di gravità, frutto di qualche concezione contorta.La strada si faceva sempre meno asfaltata, lunghi tratti di sassi e qualche masso, si alternavano con pezzi nei quali il selciato tentava di resistere.Il cielo si era fatto viola, viola come quella prima macchia aliena che avevano intravisto quel giorno nei pressi di Fort Point.Il paesaggio era spaventoso, alberi ingobbiti, che sembravano sagome e strani esseri simili a gigantesche tartarughe senza testa che si spostavano lungo i pendii.Ville liberty abbandonate i cui occhi neri lo guardavano beffarde e maligne.Ne ebbe abbastanza, aveva visto troppo.Lui non avrebbe mai potuto scrivere tutto quello.Fece per tornare indietro, ma un pensiero terribile gli attraversò la mente.Chi aveva creato quello, quel goffo e imbarazzante mondo, aveva lasciato tracce del suo passaggio, creatura aliena che aveva contaminato le cose col suo passaggio.Ma il suo obiettivo, quello verso il quale le sue energie si erano focalizzate, dovevano essere state ben altre.- Margot… - mormorò tremando - Cosa ti ha fatto?Comprese solo allora e tornò indietro, facendo rombare la Impala.Il quadrante dell’orologio pulsava rosso come fosse sangue.

Guidò evitando pericoli di ogni tipo e goffi pericoli abortiti prima del nascere, in quella alienità, fino al freddo e al diluvio di san Francisco.Fece le scale di corsa, quando arrivò, perché l’ascensore non funzionava.La trovò riversa a terra, priva di conoscenza.Aveva tentato di raggiungere il bicchiere d’acqua sul comodino accanto al letto, ma era caduta.La pelle scottava, aveva il respiro affannoso e, Jim se ne accorse soltanto allora, numerose macchie violacee lungo il corpo.Gridò. Gridò di rabbia e disperazione piangendo, mentre la avvolgeva in alcune coperte che la potessero proteggere dalla furia degli elementi.Scappò via, con lei tra e braccia e le coperte che svolazzavano.L’orologio del suo quadrante batteva sempre più all’impazzata.

Tutto sembrava tranquillo e normale nello studio medico dell’ospedale. Forse chi si era intromesso non aveva pensato a quel luogo, modificandolo, o forse aveva già creato devastazioni sufficienti.Era stato uno stolto a non aver previsto tutto questo. A non averci pensato.A non aver previsto.Il tempo passava. Il pulsare ritmico del rosso stava diventando frenetico.Rimaneva pochissimo tempo, poi sarebbe rimasto bloccato in quel mondo.Proprio in quell’istante la porta dello studio si aprì.Jim scattò in piedi e quasi corse verso il giovane dottore con il volto sereno.- Dottore! La prego, mi dica… devo sapere subito…Il giovane si arrestò in mezzo alla stanza – Si accomodi, la prego…- No, non mi accomodo. Lei non capisce. Ho bisogno di sapere subito!!!- L’ansia non ci aiuterà, mi creda, ora se mi vuole attendere altri cinque minuti, vado a prendere le car…Jim con mossa fulminea gli fu addosso, lo prese per il bavero e lo spinse contro il muro. Estrasse una siringa, che aveva raccolto dal tavolino e gliela puntò verso la giugulare.- Ascoltami bene, pezzo di merda, ti ho creato troppo bene. Ma io ti ho fatto e io ti distruggo in un niente se ti faccio entrare aria qui dentro, mi capisci? Adesso mi dici esattamente che cos’ha, se si salverà. Me lo devi dire con parole chiare ma in fretta, capisci…? Fai una mossa falsa e sei morto!Jim gli sussurrò rabbiosamente le parole all’orecchio, spingendo la siringa contro il suo collo e tenendolo fermo.- Combattiamo un nemico troppo forte – disse con dignità il dottorino…- Che cosa vuoi dire. Parla chiaro…!Il dottore tentò di mantenersi calmo, poi sospirò.- Se soltanto lo avessimo saputo prima… La signora sapeva da tempo di essere malata. Non ha mai detto nulla… ora è tardi, purtroppo. Possiamo al limite lottare per qualche ora, forse un paio di giorni…- Che cazzo dici, maledetto? – lo strattonò.- Ho detto quello che ho detto – sibilò il medico cercando debolmente di divincolarsi – Non possiamo fare più niente, il tempo per cercare un donatore compatibile al 100% è ormai nullo… Il suo sangue non ce la farà ancora a lungo…Jim strinse a sé più forte il medico, il suo volto illuminato dal lampeggiare ossessivo del rosso.- Ascoltami… parla chiaro e pensa a quello che dici. Voglio sapere esattamente se c’è una possibilità di salvarla e cosa dovrei fare…- Dovrebbe avere avuto un fratello e lì forse…- Forse?- Forse ci potrebbero state buone disponibilità… di salvarla.Jim spinse lontano il medico, che terminò contro il lettino dello studio, massaggiandosi immediatamente il collo, là dove era stata puntata la siringa.La decisione era presa. Sarebbe tornato ancora una volta nel suo tempo e avrebbe riscritto il finale di quella storia, salvandola, per poi tornare da lei.La consapevolezza dei mondi differenti questa volta gli avrebbe probabilmente risparmiato lo shock da ritorno.Schiacciò il quadrante dell’orologio, guardando beffardo il dottorino.Non capitò nulla.Guardò il quadrante.Non lampeggiava più.Era troppo tardi, non sarebbe più potuto tornare indietro.Era bloccato lì, a vederla morire.

Lanciò un grido rabbioso mentre il dottorino cercava di fuggire verso la porta.Lo colpì più volte con dei pugni, all’addome e al viso. Uno solo dei suoi tentennamenti erano costati la vita a Margot.- Dov’è? Voglio vederla…- Chi…? – tossì il dottore.Jim lo colpì ancora una volta con un calcio – Parla! Non mi costa niente farti fuori…- Al piano di sopra. Nelle camere sterili…Jim aprì la porta, poi si voltò ancora verso l’uomo steso a terra – Prova a dare l’allarme e ti distruggo.Jim sapeva bene di non potere.Non poteva più modificare quel mondo.

Riuscì ad uscire dall’ospedale tramite un’uscita secondaria, poco prima che l’intero ospedale venisse circondato. La Presenza Ostile, che aveva modificato il suo scritto e rovinato una volta di più la sua vita, non poteva competere con lui, che era stato il primo creatore di quel mondo e ne conosceva i passaggi meglio di chiunque altro.L’orologio era spento, quel mondo ormai immodificabile, definitivo.Significava che non sarebbe stato possibile schierare altre forze in campo e che la Presenza non avrebbe potuto fagli precipitare un meteorite sulla testa, ne sarebbe certo stata capace, lungo la sua disperata corsa.Corsa verso dove?Margot stava morendo, quello sarebbe diventato il suo mondo, un mondo triste, solitario e alieno, dove lui sarebbe stato condannato a vivere per sempre di rimpianti.A meno che…A meno che non potesse cercare una disperata salvezza in quello che era sempre stato un tassello traballante dei suoi mondi.Se mai fosse riuscito a trovarlo.

Arizona,tempo imprecisatoViaggiò quasi per due giorni, sfuggendo alla polizia che lo braccava dall’alto, anche con gli elicotteri. Per la Presenza Ostile il gioco era concluso con la malattia incurabile di Margot, non c’era stato bisogno di mettergli fuori uso anche la Impala, perché lei non aveva previsto il suo gesto disperato.Pensò a Margot, pregando che fosse ancora viva, che avesse resistito per lui.Anche se probabilmente una via d’uscita da quel mondo perduto, non esisteva e nulla avrebbe potuto evitare quell’amaro finale.Percorse strade secondarie, dormì un paio d’ore per volta, nascondendosi in polverose strade desertiche, il volteggiare instancabile degli elicotteri sopra di lui incessante.Superò alcune deviazioni e sfondò un blocco stradale col pensiero di Margot che stava morendo come un faro che lo riempiva di una forza incosciente e disperata.Riuscì a sostituire la sua Chevy Impala, alla quale si era affezionato, con un più anonimo Plymouth Voyager Expresso, uno degli ultimi modelli prodotti dalla gloriosa casa automobilistica.Questo gli fece guadagnare qualche ora nei confronti dei suoi inseguitori, che tuttavia non tardarono a ritrovare la Chevy, che aveva nascosto nei sobborghi di una piccola cittadina fantasma.Discese la California e corse lungo l’Arizona, in un tardo pomeriggio, lungo la strada che attraversava la sabbia rossa, tornando verso i luoghi dove tutto era cominciato, mentre la radio trasmetteva le note languida di una canzone senza speranza.

I close my eyes, only for a moment, and the moment's goneAll my dreams, pass before my eyes, a curiosityDust in the wind, all we are is dust in the wind…

La polizia non tardò a rimettersi sulle sue tracce.Maledì la fretta che lo aveva diretto verso una vettura così lenta e cominciò a spremere il motore, fino a farlo urlare, disegnando un suono inseguito da altri suoni più acuti, quelli delle macchine che lo inseguivano.Vide le luci dei lampeggianti nello specchietto retrovisore, poco prima di intravedere lo scheletro del benzinaio abbandonato sulla sinistra, il luogo dove si era fermato, richiamato da un luccichio, all’inizio di quella avventura.Spense i fari ed il motore poco oltre la curva, lasciando che la vettura si adagiasse sulla stradina sterrata che partiva sulla sinistra.Priva di servofreno, la macchina si infilò nel buio dell’imbrunire, sollevando una nuvola di polvere quando la vettura era ormai nascosta dalla strada. Jim schiacciò il pedale del freno che non rispose e la vettura si inclinò di lato, fino a fermarsi contro un terrapieno sabbioso.Udì le vetture della polizia sfrecciare nella strada principale. Non si erano accorti di nulla, ma non avrebbero tardato a farlo.Jim, dolorante a una gamba tentò di uscire dalla vettura, ma lo sportello alla sua sinistra era bloccato. Si fece largo nell’abitacolo fino a spalancare la portiera del passeggero e cominciò ad avviarsi lungo la stradina in direzione del benzinaio. Correndo per quanto la gamba glielo permettesse.

Risalì il pendio, con l’ansia che gli si abbatteva nella gola e la sensazione di sentirsi sempre più sbagliato. Sapeva che lo avrebbe trovato, anche se non ebbe mai la forza di alzare il capo.Dal basso, in lontananza, gli giunse l’eco delle sirene della polizia, che avevano invertito la marcia.In pochi minuti avrebbero seguito le sue orme nella sabbia, grazie alle torce, e lo avrebbero raggiunto.Tentò di correre, il cuore in gola, la bocca che si riempiva di polvere sabbiosa. Annaspò nei cespugli, ruzzolò, si rialzò.Poi lo vide, poco sopra.Avanzò lentamente verso il Capo Indiano, seduto sul limitare di un terrapieno, la vista che poteva spazzare lungo tutta la vallata.I loro sguardi si incontrarono e gli si sedette lentamente accanto, intervallando i respiri affannosi alla contemplazione di quello scenario.La luce del giorno moriva lentamente dalla parte opposta della vallata ed il cielo stava cominciando a riempirsi di puntini luminosi. L’aria era tersa e rendeva i contorni delle cose nitidi e ovattati.Gli venne in mente Tequila Sunrise, la canzone che lo aveva sempre accompagnato.- Secondo te… è possibile che esista un paradiso… - gli chiese - dove… dove tutto questo non vada perduto…? - aveva gli occhi gonfi e la canzone che pulsava nelle vene.Ripensò alle volte in cui aveva sfiorato quella sensazione, per finzione o per verità. A quel giorno sul pullman, quando aveva preso per mano Valentina. All’estate del 1969. Alla serenità di tutte le cose che non aveva mai vissuto.- Che cos’è l’arte? - gli domandò il Capo Indiano.Era la prima volta che sentiva la sua voce, cosi profonda, e tuttavia tranquilla.Si voltò a guardarlo con occhi stanchi. Più giù le torce della polizia si avventuravano verso la salita.Un elicottero con un faro tentava invano di individuarli volteggiando a breve distanza.- Che cos’è l’arte, se non la capacità di racchiudere in pochi istanti sensazioni che portano i tuoi sensi lontano… Via, liberi, in un posto dove tutto ha un senso…Il capo indiano chiuse gli occhi e inspirò profondamente.- I saggi dicono che esiste un posto alla fine della strada, in cui rivivere in continuazione tutti i momenti più belli della vita nello stesso istante. Per l’eternità.Jim socchiuse gli occhi, le parole consolatorie del Capo gli parvero acqua per un assetato.- Come posso salvarla… tu puoi aiutarmi? Te ne prego…Il capo indiano sospirò, aprendo le sue mani.- La ami davvero?- Tanto. Da morire – rispose Jim.- Lo leggo nel tuo cuore - sussurrò il capo indiamo, mentre paesaggio, melodie e sensazioni si fondevano in un’unica cosa – Ho sempre saputo che stavi cercando una persona come lei…Restarono in silenzio, le voci dei poliziotti, e l’abbaiare dei loro cani, sempre più vicino.- Puoi tornare, se vuoi. Adesso, subito. Forse sei ancora in tempo. Riscrivi il finale, salvala…Jim non ebbe tempo di dire grazie o di emettere un suono.- Sarà l’ultimo dei tuoi racconti. Non potrai più tornare qui, scrivere o creare altri mondi nei quali vivere. Questa è la scelta di cui devi essere consapevole in questo momento. E’ nell’ordine delle cose, quando il quadrante smette di pulsare. Questo significa, figliolo… che anche se la salvi… non potrai più tornare a vederla, capisci vero?Jim si sentì sereno e stanco. Nel cuore solo infinito affetto verso una persona che per lui era sempre stata reale.- Margot aveva ragione – pensò guardando i poliziotti ormai a poche decine di metri Le storie più belle erano quelle con un finale dolceamaro, quelle in cui il cerchio non si chiudeva. Lei lo sapeva. L’aveva capito.- Accetto – disse quasi senza emozione. Lo disse prima poter cambiare idea.- Accetto, ti prego, fammi andare via, prima che sia troppo tardi…L’indiano non si mosse, rivolse soltanto i palmi delle mani leggermente all’insù. - E sia allora - L’Indiano guardò davanti a sé - Salvala… vai e salvala.Jim si alzò, ma esitò ad avviarsi.- Chi sei? - disse tenendo lo sguardo fisso sulla linea di fuoco delle montagne, dove gli ultimi raggi di sole addolcivano le vette - Chi sei? Io… io non ti ho mai descritto… E non credo di avere mai scritto questa conversazione… Chi sei allora? Il Capo Indiano continuò a fissare lo spazio di fronte a se, ravvolse un sassolino e lo scaglio lontano, lungo il pendio sabbioso, nell’oscurità.L’uomo vide il suo profilo diventare ombra a mano a mano che la luce scompariva. Si voltò per andarsene, fece qualche passo lungo il sentiero, poi si fermò.Tornò a voltarsi, ma lassù dove solo fino a pochi istanti prima era stato il Capo Indiano, tutto era diventato ombra.

It’s another tequila sunriseStaring slowly, ‘cross the skyThe days go by…

Take another another shout of courage,Wonder why the right words never comeYou just get numb…

"Due anni dopoIl lago della montagna riusciva ancora a regalargli qualche istante di serenità.Era nascosto dietro a una curva della strada sterrata che si doveva seguire per un paio d’ore.L’acqua scura ed il silenzio assordante della montagna, unita al belato di qualche capra ed al raro fischio delle marmotte, gli regalavano la voglia di appartenere a quel posto, forse l’unico per il quale valesse ancora la pena di respirare.Gli piaceva trascorrere le giornate specchiando il suo profilo stanco lungo le rive, o tentando di sincronizzare il suo respiro su quello del vento.Nulla più. Lasciarsi vivere il più possibile dove le cose avessero un senso che non andava spiegato.L’anno precedente era stato aperto un accogliente rifugio, poco più a monte, dalle cui vetrate le acque del lago assumevano la forma di un’ampia superficie color smeraldo.Jim sorrise nella sua mente e scacciò il lontano ricordo.L’indiano era stato di parola. Non aveva più scritto mezza parola, né aveva cercato di farlo, da allora.Non sarebbe stato capace, ma si era presto accorto di dover uccidere anche i ricordi, per non venirne sopraffatto.Entrò nel rifugio, nel quale poche persone parlavano sottovoce.Si serviva polenta e spezzatino, l’inevitabile che diventava sublime, che non richiedeva spiegazioni.Raccolse il suo zaino e uscì fuori, appoggiandosi lungo la balaustra del piazzale, dal quale si potevano osservare i rilievi erbosi sopra il lago, così come un tempo lontano e dolorososi era appoggiato ad una balaustra che dava sulla Monument Valley.Credette fossero i ricordi a confondersi, ascoltando le noti frizzanti e senza tempo che la brezza portava a tratti

"It’s another tequila sunriseStaring slowly, ‘cross the skyThe days go by…

"It’s another tequila sunriseStaring slowly, ‘cross the sky

"Avrebbe voluto voltarsi ma non lo fece. Un istante eterno, nel quale si sforzò di non aggrapparsi ad alcuna emozione.Poi udì le sue parole.- Avevo sempre desiderato fare la scrittrice… ma non mi ero mai applicata, ricordi? Ci ho messo un po’…Jim spalancò gli occhi incredulo, mentre la testa vorticò di blu.Quando si voltò, lo fece imponendosi di non aggrapparsi a nessuna speranza.Era a pochi metri da lui, col suo completo da montagna e lo zaino ai piedi.Margot lo guardò con sollievo, e con occhi tanto dolci.Indossava un orologio al polso, che brillava di verde smeraldo intenso e bellissimo.

"Ti è mai passata per la testa l’idea che potresti essere tu a non essere reale? Magari qualcuno ha creato te, come tu credi di avere fatto con gli altri…

"FINE

Grazie di cuore a chi ha voluto farsi del male leggendo tutte le puntate di questo racconto, credo particolare.Tequila sunrise è ovviamente una splendida canzone degli Eagles, momento in cui arte, poesia e serenità si sono fuse in una semplicità disarmante, un momento che fa star male per la sua bellezza.La DeSoto bianca è una citazione del film “Vertigo”, così come la Plymouth Fury rossa è un’ovvia citazione del libro di Stephen King “Christine, la macchina infernale".

MAURO SAGLIETTI

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