“L’orgoglioso entusiasmo”
columnist
Il calcio come diritto ad esistere
Fedor Dostoevskij
Un amico tifoso (molto tifoso) del Toro si è chiesto in questi giorni di chiara depressione del popolo granata, se avesse fatto bene a trasmettere al figlio questa passione, che è stata felicemente denominata “religione” da Claudio Ranieri. È, questa del mio amico, un’evidente provocazione al suo stato d’animo provato dallo spettacolo non molto decoroso messo in scena dalla squadra granata in questo campionato. E non tanto per i risultati non all’altezza delle aspettative della scorsa estate, ma perché numerose voci di corridoio e dicerie parlano di distrazioni da mercato dei giocatori più talentuosi del roster granata. Il solo pensiero che una cosa del genere possa essere accaduta, ha sgretolato diverse certezze reali ed emotive dei tifosi del Toro, e ha generato come conseguenza uno scetticismo totale nei confronti di Urbano Cairo. Il quale temo non stia valutando nel modo più consono la gravità della situazione. Perché è preoccupante quando un genitore si chieda se abbia fatto bene a trasmettere la sua visione del mondo ad un figlio.
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Se abbia avuto il diritto di conferirgli una passione, ora vista irrimediabilmente stravolta dagli eventi del calcio moderno. Questo perché si è passati da un tempo in cui un campione di livello mondiale come Gigi Riva non tirava indietro la gamba per il suo Cagliari, ad un tempo in cui un più modesto (rispetto a Riva) Nicolas Nkoulou si “distrae” per motivi di mercato in un importantissimo match di Europa League. Ciò non dovrebbe stupire, perché ormai i giocatori sono diventati oggetto di movimenti di capitali, più che simboli “totemici” di un club. In un’intervista in cui ripercorreva la sua carriera, Zlatan Ibrahimovic ha confessato di aver baciato lo stemma sulla maglietta del Barcellona, irritando e deludendo fortemente i tifosi dell’Inter appena lasciati, su ordine preciso dell’ufficio marketing della società “Blaugrana”. Era un bacio necessario, erano soldi. I sentimenti dei tifosi dell’Inter dovevano farsene una ragione. Un americano acquista la Roma solo perché ne intravede un affare, e fa tenerezza Sebino Nela quando in una recente intervista (a proposito: in bocca al lupo per la sua battaglia contro il tumore) invita chi cura gli affari di Nicolò Zaniolo a portarlo “un giorno a Trastevere o dentro una macelleria di Testaccio, per fargli respirare le viscere di Roma”.
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Fa tenerezza, Sebino Nela, perché al massimo Zaniolo sarà accompagnato a respirare le viscere della “Samocar” di fronte a “Villa Borghese”, dove da decenni gli impiegati della famiglia Malagò si preoccupano di vendere Ferrari e Maserati al popolo creso di Roma. Un respiro di lusso da gustare magari dopo la firma di un ricco contratto di sponsorizzazione. D’altronde, perché preoccuparsi del macellaio di Testaccio? Magari un domani, o un susseguente dopodomani, Nicolò Zaniolo starà camminando per “La Rambla” di Barcellona, e il “Camp Nou” avrà agevolmente sostituito l’Olimpico. “La patonza deve girare”, pare abbia detto spiritosamente l’Avvocato Agnelli per giustificare al mondo (o a se stesso?) il fatto di essere appena stato scaricato da un’amante. E il destino degli amanti, si sa, è proprio questo, girare all’infinito per cercare piacere e godimento. Esattamente come fanno i giocatori di oggi, sempre meno inclini ad incastrarsi in un matrimonio noioso e senza più appetiti da soddisfare. Difficile, in tale contesto, mantenere in vita una religione come quella del Toro, a meno che il Toro stesso non provi a modificare il suo dna metafisico in un dna da libero mercato, estremamente concreto e razionale. Una modifica dove al massimo potrebbe diventare un feticcio del ricordo di quello che fu, ma mai più modo o indicazione di come stare al mondo. Forse bisognerebbe interrogarsi cosa davvero vogliamo e possiamo essere, se non altro per smetterla di prenderci in giro.
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Sarebbe bene allontanarci dalla retorica, sovente foriera di bugie a buon mercato per intenzioni farlocche. Cosa è la squadra di calcio per noi? Perché stiamo male o gioiamo per essa? Cosa significa per il nostro destino? Può arrivare un momento, nella vita, in cui non si crede più a niente, e si diventa cinici. Stiamo vivendo il cambiamento di un’ ”Era”, e tante cose o sono cambiate o si apprestano a cambiare definitivamente. In meglio? In peggio? Solo il futuro potrà dirlo, ma fa impressione come nella Repubblica Popolare Cinese (teoricamente ancora una società con aspirazione al comunismo) un appartamento nelle zone “nobili” di Shenzhen (terza città della Cina) sia arrivato a “prezzare” ventimila euro al metro quadro. Secondo Alberto Forchielli del “Mandarin Capital Management”, uno dei più importanti fondi di “private equity” rivolti al mercato dell’Oriente, il settore mondiale del “lusso” ricava quasi il 50% dei suoi proventi dal mercato cinese. A questo punto ci si può chiedere, legittimamente, se la Repubblica cinese possa fregiarsi ancora del titolo di “popolare”, se non sia questo titolo rimasto un semplice nominalismo per non modificare nulla dello stato d’animo della Cina moderna cominciato a plasmarsi nella “Grande Marcia” di Mao degli anni trenta del secolo scorso. Questo cambiamento di “Era” in corso sembra avere gli stessi connotati del cambiamento di “Era” avvenuto alla fine del settecento, allorché James Watt inventò la macchina a vapore, modificando per sempre ogni metodo di lavoro, ogni metodo di relazione sociale, ogni metodo di commercio.
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I modi di operare nell’occidente furono rivoltati come un calzino, e non oso nemmeno immaginare quale traumi provocò alle persone del tempo nel loro quotidiano. Deve avere avuto risvolti terribili e di non facile gestione per le psicologie umane più semplici. Svegliarsi la mattina e non riconoscersi più in niente, perché una forza misteriosa e completamente avulsa da te ha deciso come la tua vita debba forzatamente cambiare. Il calcio, dal suo ingresso in “borsa” e dal suo essere regredito al livello di una qualsiasi iniziativa d’impresa, ha cessato nel tempo di essere un fenomeno culturale, trasformandosi in fenomeno di consumo. Certo sono ancora in vita le ultime generazioni che hanno vissuto lo sport più popolare del mondo come un fenomeno esistenziale dai risvolti romantici, ma temo siano, appunto, le ultime. Le nuove generazioni vivono il calcio come un fenomeno di costume dal carattere televisivo e patinato, e l’unica cosa ad importargli è il bacio mediatico che il nuovo campione acquistato fa sul logo della loro squadra. Tutto per una foto postata immediatamente sul web, al fine di generare la vendita di maglie con il numero e il nome della star. E’, per intenderci, tutto una nuova puntata di un reality show preconfezionato e con sentimenti eterodiretti, al quale vogliamo obbligarci a credere. Perché più che viverlo, abbiamo bisogno di consumarlo. Funziona così nell’Era dove un conglomerato come “Amazon” ha sostituito il diritto di commerciare al potere soverchiante ottenuto dal commerciare. E a sentire gli umori in giro, pare siano tutti ben felici di aver conferito questo potere ad Amazon. E’ la cosa inquietante è come questo potere, dalle genti, sia stato conferito all’azienda americana senza farsi un minimo di domanda, senza porsi un minimo di pensiero sulle conseguenze. Bene ha fatto Claudio Ranieri a ricordare come il Toro sia una religione, in un estremo tentativo, fatto da una persona veramente perbene, di sottolineare a tutti noi, a partire da Urbano Cairo, come la squadra granata sia il simbolo di un’idea. E l’idea metafisica del Toro è quella del diritto dei più deboli di provarci, è quella della fiducia come qualcosa di buono possa sempre accadere nelle nostre vite, è quella del granatissimo Ettore che va ad aspettare lo juventino Achille davanti alle Porte Scee, perché più della paura della morte vince la necessità di combattere. Il Toro è sempre stato amato da tutti, perché si è elevato ad archetipo. È il “non arrendersi mai” di Winston Churchill ancora presente tra i corridoi dei “Comuni”, è lo slalom di Maradona fatto ai giocatori inglesi andando a segnare il gol del secolo da dedicare ai suoi giovani compatrioti caduti nel conflitto Malvinas/Falkland, è il Grande Torino che urla al mondo come l’Italia esista ancora sotto le macerie del dopoguerra. Al mio amico tifoso del Toro dobbiamo dire di non rammaricarsi di avere trasmesso al figlio la passione granata, perché le parole di Claudio Ranieri nascondono un sottotesto importante: tutti abbiamo bisogno della religione del Toro, oggi più che mai. Urbano Cairo prenda davvero in mano la situazione e dia la guida tecnica della sua squadra ad una persona portatrice di un’idea, e al quale gli si dia tempo per costruire qualcosa a durare nel tempo. Il mondo ha bisogno più che mai di Ettore, oh se ne ancora bisogno. Ci vediamo tutti davanti alle Porte Scee, amici miei. E non dimentichiamo di portare il nostro entusiasmo, i nostri ricordi e la nostra fiducia nel futuro.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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