di Michele Ferrero
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La noche del 10
di Michele Ferrero
Il 10 è il numero dei massimi campioni, dei giocatori di fantasia che nessun modulo tattico schema potrà mai ingabbiare. Maradona è stato il più grande di...
Il 10 è il numero dei massimi campioni, dei giocatori di fantasia che nessun modulo tattico schema potrà mai ingabbiare. Maradona è stato il più grande di tutti. Proprio a lui, tramite il titolo della trasmissione che lo ha rilanciato anche come uomo, è dedicato il titolo dell’articolo di oggi. Non importa se per noi granata è stato solo un avversario: per me Diego non ha maglia, è il calcio, quello che sa dare emozioni impareggiabili.
Ma anche il Toro ha avuto i suoi fuoriclasse. Non posso raccontare Valentino Mazzola e Dennis Law, ci sono persone più adatte che li hanno vissuti di persona. Parto da Zaccarelli, il 10 dello scudetto, per arrivare a Rosina. Ci trovo in mezzo anche Sixto Mumo Peralta, ma non importa: al Toro siamo abituati a vedere di tutto, ecco perché quando ci capita un campione vero lo sappiamo amare ancora di più.
Se scorro i trequartisti granata trovo gente niente male. In senso assoluto le carriere di Francescoli, Martin Vazquez e Abedì Pelè sono state costellate di vittorie internazionali e riconoscimenti individuali. Sono stati campioni a tutto tondo, anche se al Toro hanno giocato uno o due anni al massimo. Ma anche la caratura di Zaccarelli, Dossena e Scifo è da giocatore di rango.
Considerato che Zaccarelli si è affermato anche da mediano e da libero, pur essendo stato in gioventù un 10 dalla falcata elegante e poderosa, credo che sia Dossena ad averci lasciato il segno più importante in questo ruolo.
Beppe era un giocatore completo: sapeva essere regista illuminato ma anche sacrificarsi e coesistere con un altro fantasista come Hernandez. Correva e giocava di prima molto più spesso di come fanno i numeri 10, generalmente innamorati del pallone. Il suo dribbling era essenziale, la sua forma quasi sempre perfetta, sia nel fisico che nella mente.
L’uruguaiano Francescoli è stato un idolo in Sud America, preceduto nella sua epoca solo da Maradona e Zico per prestigio e popolarità. Intelligente e tecnico, misurato nei comportamenti, campione anche fuori dal campo. Da noi è arrivato trentacinquenne quasi a fine carriera, appena in tempo per mostrare qualche sprazzo di classe, intervallato da pause talvolta anche vistose. Del resto il ritmo non è mai stato il suo punto di forza nemmeno nei momenti migliori. El Flaco in Europa ha comunque ben figurato in Francia ed anche in Italia nel Cagliari.
Rafael Martin Vazquez è stato potenzialmente uno dei più grandi giocatori mai visti. Aveva fisico solido, corsa resistente (quando aveva voglia) e due piedi ugualmente pregiati. L’uso dell’esterno, talvolta esagerato, il suo marchio di fabbrica. Non era però caratterialmente un cuor di leone. Dopo cinque anni di trionfi madrileni venne da noi un po’ appagato: iniziò benissimo, poi si sedette presto, fin quasi a diventare un giocatore normale. Diverse volte Mondonico lo relegò sulla fascia destra, per farlo coesistere con Scifo. L’elegante italobelga occupava teoricamente la stessa posizione in campo alle spalle delle punte, ma le sue caratteristiche erano differenti, tendeva a tenere palla più che ad aprire il gioco, era senza dubbio più regista che fantasista.
Abedì Pelè era l’uno e l’altro messi insieme, almeno come rendimento. Era un uomo-squadra come pochi: inventava, dribblava, correva senza mai fermarsi dando una mano anche dietro, e segnava parecchio. Era molto più concreto di qualsiasi altro 10 del suo tempo. In Africa lo ritengono tuttora il più grande di sempre, davanti a gente come Weah, Madjer e Drogba, giusto per rendere l’idea.
Non considero invece Hernandez un grande giocatore. A me il dribblatore piace, intendiamoci, ma per una giornata in cui faceva stravedere, Pato poi ne faceva seguire almeno tre dove perdeva davvero troppi palloni. Analogo discorso per Giuseppe Greco e per Pinga, che rispetto all’argentino aveva ancora meno resistenza. Si tratta di elementi parecchio dotati da madre natura che avrebbero potuto fare molto di più, anche se è nell’indole di molti trequartisti difettare in continuità.
Uno che invece ha saputo andare oltre i propri limiti è Ricky Maspero. Tecnico, malizioso, sempre lucido. Col cervello ha sopperito alla lentezza. Averlo in squadra era una fortuna, indipendentemente dalle sue giocate individuali.
In altre squadre, purtroppo non nel Toro, hanno dimostrato buone qualità anche D’Amico, Carbone, Osio e Fiore. Benny Carbone in particolare aveva genio e piedi eccellenti, ma il fisico troppo minuto non gli ha consentito di dare una svolta decisiva alla sua carriera. Di questi è l’unico che ha mostrato per intero il suo valore anche con la maglia granata, gli altri tre si sono abbastanza nascosti.
Bloccati da seri infortuni il promettente Zago, il giovane scuola Filadelfia Menghini ed in parte Scarchilli, anche se la sua consacrazione stava arrivando da centrocampista e non più da fantasista come si era proposto agli esordi.
Improponibili a certi livelli il camerunese Simo, buttato nella mischia appena sedicenne, ed il già citato Peralta, che l’Inter aveva parcheggiato da noi. Uno dei capolavori del baffo Mazzola.
Per finire Carlos Ariel Marinelli, l’emblema del 10, delle contraddizioni di questo ruolo, degli umori instabili che rendono spesso incompiuto il giocatore che lo interpreta. Alcuni tifosi granata si erano innamorati di lui, perché il sinistro e certe intuizioni erano luccicanti. In realtà era molto lento e se nessuna squadra al mondo ha mai puntato seriamente su di lui vi lascio immaginare il suo equilibrio mentale. Coloro che hanno rimpianto Carlitos, vedendo giocare adesso Rosina, credo si siano convinti che i fenomeni sono quelli che fanno anche gol.
Alla prossimaMichele
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