"Il Mondiale 1934 fu la grande vetrine del calcio italiano. Il regime volle in tutti i modi che dalla kermesse internazionale uscisse l'immagine di un paese ordinato, all'avanguardia e accogliente. I nuovi impianti costruiti dal partito dovevano rappresentare la novità e l'efficienza. Fu anche il momento in cui il calcio raggiunse una popolarità nazionale diventando con il ciclismo lo sport più amato dagli italiani. I tifosi che frequentarono gli stadi in quei giorni tifarono senza badare troppo alle sovrastrutture di regime: così se dai resoconti ufficiali molta è l'attenzione alle metafore politiche e alla presenza in tribuna di gerarchi o dello stesso duce (che anche in quest'occasione volle far sapere di aver regolarmente pagato il biglietto), le immagini restituiscono stadi strapieni di autentica passione popolare.
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Toro, non adatto ai deboli di cuore
Vej Turin / Nel 1934 ancora salvi all'ultima giornata
"Scorrendo i nomi della formazione campione del Mondo non appaiono calciatori granata. Il Toro, che negli anni passati aveva dato agli azzurri il meglio della propria rosa, viveva stagioni travagliate: un tredicesimo posto conquistato ad aprile, all'ultima giornata 1933-34 (il campionato si chiuse presto, per lasciare spazio al Mondiale) e una stagione che si aprì con speranze, dubbi e incertezze. Il Torino si presentò ai nastri di partenza puntando ancora sui giovani e su una vecchia volpe quale Toni Cargnelli, richiamato sulla panchina granata per fare da chioccia agli enfants terribles.
"La partenza fu buona e dopo le prime quattro partite il Toro veleggiava nella parte alta della classifica. Il 21 ottobre i granata pareggiarono 1-1 il derby giocando una partita feroce e determinata, poco tecnica e molto animosa. Il Toro, badando alla concretezza, si presentò schierando tre terzini dietro ai quattro mediani: mossa scaltra, e in qualche modo anticipatrice della rivoluzione tattica che il calciò subì qualche decennio dopo, quando s'iniziò a parlare di gioco all'italiana. Un Toro furbo, più che difensivista, capace di contenere la Juventus del quinquennio e di ripartire.
"A dicembre la squadra era già scesa a metà classifica, ma continuò a battersi con il suo ardore giovanile: l'antivigilia di Natale i granata furono battuti in rimonta a Napoli, aiutati anche da un rigore più che dubbio fischiato dall'arbitro Mastellari. Fu con una vittoria roboante per 5-2 ai danni della Sampierdarenese, invece, che i granata inaugurarono l'anno 1935. Parve un buon augurio ma fu invece l'anticamera della delusione: il Torino pareggiò tre partite e ne perse una, concludendo il girone di andata ottavo su sedici squadre; perfettamente a metà classifica.
"Il disgelo fu tremendo quell'anno per i granata: 5 sconfitte di fila tra febbraio e marzo fecero sprofondare la squadra relegandola al quartultimo posto. Bisognava stringere i denti e il Toro lo fece: infilò di seguito un pareggio contro il Milano, una vittoria 3-0 a Vercelli, contro una Pro agonizzante all'ultimo posto, e una vittoria al Filadelfia contro la Fiorentina. Punti fondamentali per il Torino, che conquistò uno scalpo importante risalendo la china, segnando quasi a fine gara; sconfitta tremenda per i viola, in corsa scudetto fino a quel momento.
"Ma ancora una volta non si trattò di una svolta: il Toro dopo l'1-0 alla Fiorentina non vinse più, perdendo due gare e collezionando un numero esorbitante di pareggi (saranno 9 a fine anno, contro 8 vittorie e 13 sconfitte). Con l'acqua alla gola i granata si presentarono all'ultima giornata contro il Livorno. Una sfida salvezza: con la vittoria il Toro avrebbe avuto la certezza di restare in Serie A, altrimenti sarebbe stata Serie B. Ancora una volta, come l'anno precedente, il fattore campo fu dalla parte granata: la partita si sarebbe giocata in casa, tra le mura amiche del Filadelfia. Era il 2 giugno 1935 e al mattino apparve un trafiletto sulla Stampa con cui si cercò di caricare l'ambiente, i calciatori e i tifosi: «all'epoca della tua fondazione i tuoi soci cantavano una canzone che aveva un ritornello: Torino no, no, Torino non perirà! conferma coi fatti questo ritornello a 40 anni di distanza».
"Salendo dal sottopassaggio le due squadre trovarono ad attenderle la grande cornice di pubblico del Filadelfia strapieno; un rumore assordante circondava i calciatori. Il Torino iniziò all'attacco, lanciandosi con tutto l'impeto contro la difesa amaranto che, ben organizzata, respingeva gli assalti alla baionetta dei granata e reimpostava il contropiede: uno di questi, con tiro in porta fuori di pochissimo, fece raggelare lo stadio. La difesa del Torino resse la prova di maturità e ordinatamente impostò il gioco mentre Janni, in mezzo, dirigeva l'orchestra. Davanti, invece, il Toro sbagliava palloni, s'ingarbugliava e si complicava l'esistenza: ai tifosi parve di avere davanti agli occhi un film già visto. Alla ripresa dopo l'intervallo il risultato era ancora fermo: 0-0. Al cinquantaduesimo il Torino, proiettato avanti, conquistò un angolo. Lo batté Bo sulla testa di Allasio che colpì. Respinta da un difensore amaranto la palla ruzzolò verso Prato che calciò senza pensarci troppo. Gol. Il Filadelfia ruggì forte e il grido non scese che dopo qualche minuto. I granata triplicarono gli sforzi e attaccarono per mezz'ora, inutilmente. Ancora molte le palle spagliate in area avversaria. Il Livorno diede tutto negli ultimi dieci minuti, chiudendo i granata nella loro area di rigore. Janni, ancora una volta mostruoso, arretrò un poco la posizione per dare manforte dietro. Al triplice fischiò lo stadio ruggì ancora più forte di prima: il Toro era salvo e i giocatori, in festa, si abbracciavano in campo esattamente come i tifosi in tribuna.
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