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4 maggio, Don Robella: “Dalla cronaca alla storia. 75 anni è un passaggio nodale”

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L'omelia del cappellano granata tenutasi durante la Santa Messa a Superga in occasione delle ricorrenze del 4 maggio
Redazione Toro News

Uno dei momenti più solenni che ogni 4 maggio si rivive a Superga è la recita della Santa Messa tenuta come sempre da Don Riccardo Robella che si è espresso con i presenti con un sentito e apprezzato discorso. Davanti ai calciatori del Toro, i dirigenti, il presidente Cairo, alcune figure del passato come Fossati e Cereser oltre a molti altri presenti nella basilica tra cui anche il sindaco torinese Lo Russo, il cappellano granata ha tenuto una lunga omelia nella quale ha voluto far riflettere tutti: "Chi sceglie chi nella vita? Gesù quando parla ai suoi apostoli è chiaro: non avete scelto voi me ma io ho scelto voi. Chi si riconosce nella fede in Gesù non può dire di aver scelto. Se sono stato scelto lascio all'altro l'iniziativa, ma Gesù sottolinea che ci ha chiamati amici e non servi. Nessuno di noi ha scelto di tifare Toro, ne avremmo potute scegliere molte altre in giro per Italia, Europa e Sud America. Questo ci rende meno eroici, ma sicuramente più fedeli. Ancora oggi, dopo 75 anni, con la testardaggine e la fedeltà di chi è stato scelto siamo saliti per sentire la Parola, per ringraziare il Signore per il dono della vita e per sentire pronunciare dei nomi. I Loro nomi. 75 anni è un passaggio nodale: stiamo passando dalla cronaca alla storia. Cambia il modo di guardare le cose. La cronaca analizza le cose, la storia le interpreta".

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In una basilica come di consueto gremita, Don Robella riporta poi alla memoria dei presenti le gesta e l'importanza per la gente degli Invincibili: "Siamo qui a raccoglierci, a pregare e commuoverci. La commozione è il moto dell'anima che porta ad una lacrima. Superga non è solo questo: oggi in qualche modo è anche una festa. C'è da festeggiare perché quei ragazzi non vanno racchiusi solo nel 4 maggio, c'erano anche tutti gli altri giorni. Sono stati per quasi un decennio una festa per chi andava a vederli, incontrarli. Per cui tutte le domeniche chi vi vedeva capiva che il calcio è molto di più, nel disagio della vita povera c'era un fiore, un momento di bellezza in cui si poteva dimenticare. Ed erano loro: erano la gioia, la bellezza, un sorriso. Loro sono soprattutto tutto ciò che precede la loro fine. Ecco, la festa. Non è vero che tutto finisce, tutto quello che sentiamo è la resurrezione, che è di Gesù, ma anche nostra e loro. E tutto quello che hanno fatto rimarrà per sempre, nell'eterno, ma non nel ricordo ma nella realtà. Dopo 75 anni, oltre alla lacrima possiamo metterci un sorriso. Se non facessimo così, loro non sarebbero contenti perché loro hanno dispensato sorrisi. Ciò che unisce il nostro popolo oggi è una buona storia. La nostra storia non è buona, ma ottima. È grande. Non disperdiamola, ripartiamo da lì, ma non come farebbero i brontoloni. Quelli che dicono che bisogna vivere come nel passato, rendendo vecchia e stantia la squadra. Abbiamo bisogno di cantori, di aedi che raccontando il passato ci dicono chi siamo, chi dovremmo sforzarci ad essere. Sappiamo che quello che abbiamo costruito finora tutti insieme, con un'anima sola e un intento solo, è una partenza da cui partire per il futuro. Un futuro che dovrà sempre donare un sorriso. La consapevolezza che la grandezza non si misura in scudetti. Tutto quello che abbiamo costruito resta, e resterà per sempre. Questa è la nostra consapevolezza".

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