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”Do Prado al Toro? Non ce lo possiamo permettere”

di Edoardo Blandino

Il calcio italiano ormai è in crisi. Non è un mistero. Quest’anno sono fallite 21 squadre militanti in campionati professionistici ed il quadro per il...

Edoardo Blandino

di Edoardo BlandinoIl calcio italiano ormai è in crisi. Non è un mistero. Quest’anno sono fallite 21 squadre militanti in campionati professionistici ed il quadro per il futuro non sembra molto più roseo. Questo è la situazione corrente nel Bel Paese secondo Lorenzo Minotti, Direttore dell’Area Tecnica del Cesena. Ma insieme al dirigente romagnolo, in esclusiva per TN, abbiamo toccato anche altri temi: dalla Serie B agli obiettivi di mercato di Torino e Cesena.Direttore, come mai il mercato diventa sempre più difficile anno dopo anno?«Il calcio è in grande difficoltà perché dal punto di vista economico c’è grande difficoltà in tutti i campi e il mondo del pallone ne risente ancora di più. Se non si pensa ad un calcio diverso, nuovo, andremo incontro ad un momento poco felice. Ce lo insegnano altri Paesi come Germania, Inghilterra o Olanda, Belgio e Austria. Oggi le società solide sono improntate su un modello aziendale: non sono solo gestite come squadre e hanno gli stadi di proprietà».Oggigiorno, il mercato delle squadre medio-piccole italiane quanto dipende dalle operazioni delle grandi squadre?«Era così una volta, ora non più. Le operazioni che le grandi squadre stanno trattando non vertono su giocatori italiani. L’Inter va sugli stranieri, la Juve idem per non parlare di Milan e Roma che non hanno neppure capitali da investire. Nel circuito italiano non vengono immessi soldi. Le squadre di bassa Serie A o Serie B o Serie C che una volta avevano soldi da investire, ora non se lo possono più permettere. Nessuno ha dato il giusto risalto all’accaduto, ma 21 squadre non si sono iscritte al prossimo campionato. La situazione non può che peggiorare».Come mai si è arrivati a questa situazione?«Stiamo raccogliendo i frutti di quello che è stato seminato. Bisogna avere senso di responsabilità, buon senso e coraggio di guardare in faccia la realtà: bisogna ridisegnare il calcio professionistico cambiando le regole ed il numero di squadre. Pensiamo solo al fatto che l’accordo collettivo tra giocatori e lega è scaduto e non c’è intenzione di rinnovarlo. La Serie A e la Serie B si sono scisse creando due leghe proprie. Questo è un momento critico».Considerati tutti questi problemi, che tipo di mercato prevede da qui alla fine della finestra dei trasferimenti?«Credo che come sempre ci saranno tanti scambi, ci saranno prestiti e diritti di riscatto vari. Si cercherà di scaricare gli ingaggi dei giocatori in qualche modo. Penso che ci saranno poche operazioni a soldi».Cambiamo argomento e parliamo di Serie B. Che cosa serve per centrare una promozione?«Credo che serva un’organizzazione chiara dal punto di vista societario. Serve un gruppo di giocatori che sono un giusto mix tra giovani, esperti e giocatori di qualità. È importante lo spirito di gruppo e noi lo abbiamo dimostrato: siamo arrivati dalla Lega Pro e abbiamo cambiato poco. Il gruppo era sano e solido. Oggi la B si è molto livellata. Gli ingredienti giusti sono un gruppo saldo, motivazione giusta, gestione di società e staff corretta. Poi, ci devi aggiungere tre o quattro elementi che facciano la differenza».Quali giocatori l’hanno più impressionata in Serie B la passata stagione?«Dei nostri ragazzi mi hanno sorpreso positivamente Giaccherini, Volta e Do Prado. Hanno fatto un campionato importante, al di là delle previsioni. Ma di giocatori importanti nella categoria ce ne sono stati parecchi: dal centrale del Sassuolo Rossini, giocatore di assoluta prospettiva, ad Antenucci, decisamente una rivelazione. Il campionato di B ogni anno propone giocatori nuovi. Quello che sta succedendo, secondo me, è però un livellamento verso la Serie C. Negli anni scorsi c’era un forte salto dalla C alla B, mentre i campionati di A e B oppure quelli di C e D si assomigliavano. Oggi, invece, il divario si è assottigliato tra la C e la B e molti ragazzi che arrivano dalla Lega Pro possono fare bene in cadetteria, mentre c’è un grosso salto tra la A e la B e tra la D e la C».D’altronde oggi la Serie A garantisce grossi introiti a livello economico e quindi una capacità di investire sul mercato che la B non si può permettere.«In realtà non è proprio così. Varia molto in base a criteri che rispecchiano il bacino di utenza, la storia e gli anni in Serie A. Per il Toro è qualcosa che cambia tanto, ma per quanto ci riguarda la cifra non è così alta come si possa credere. Certo, meglio avere queste entrate piuttosto che rinunciarci, ma le nostre avversarie, escluse Lecce e Brescia, partono con 10-12 milioni di più. Non è poco».Lei prima ha fatto il nome di Do Prado. Nelle scorse settimane si è parlato di un interessamento del Torino nei confronti. Che cosa ci può dire?«Do Prado è uno dei giocatori che piacciono a Lerda e Petrachi e quest’anno ha dimostrato in B di essere un giocatore determinante in grado di fare la differenza in tanti frangenti. Insomma, c’erano i presupposti per intavolare una trattativa, ma da lì al concluderla c’era ancora tanto lavoro da fare. Il Torino ha il problema di dover smaltire i giocatori. Non può fare operazioni a “secco”. Solo che gli ingaggi che garantiscono i granata noi non possiamo permetterceli e non potevamo venir loro incontro».Il Toro sta valutando Sgrigna e attende l’occasione buona per intavolare una trattativa. È vero che lo state seguendo anche voi?« A noi piace pur avendo già una certa età. Non sarebbe un investimento sul futuro, ma uno sulle prestazioni attuali. Pur non avendo fatto la A può starci molto bene secondo me. Ha l’età giusta per fare ancora qualche campionato importante. Ci siamo interessati a lui, ma al momento non siamo in grado di chiudere la trattativa. Questa, insieme ad altre, sono operazioni che abbiamo preparato nel caso arrivassero offerte irrinunciabili per i nostri giocatori».