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Vittoria europea e Audizione del calcio in Senato

Vittoria europea e Audizione del calcio in Senato - immagine 1
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Un’ondata di gioia

sfuggì dal cuore”.

James Joyce

 

Il calcio è bello a causa del suo regalare storie collegate visibilmente alla gente, origlia nei suoi sentimenti e gli regala emozioni sfocianti in lacrime di commozioni e ricordi. I tifosi inseguono utopie da tramandare e attendono che tutto si tramuti in fatto compiuto. Deve essere stata una bella sensazione quella provata a Dublino dai sostenitori dell’Atalanta, proprio perché l’utopia ha cessato di essere tale. Nessun bergamasco poteva seriamente pensare di poter essere un giorno al centro dell’attenzione del mondo, come tutti i tifosi al di fuori delle tre quadre italiane che contano c’è sempre stato il godimento speciale dell’amare soffrendo, e niente di più. Ma il calcio è l’orologio designato a segnare il tempo di Davide, è il recinto machiavellico dove prima o poi la fionda scaglia la pietra a centrare il bersaglio, abbattendolo. E’ una sensazione meravigliosa vincere nella debolezza, con i mezzi contati di una realtà provinciale ben organizzata ma penalizzata da un contesto urbano sorto per ammiccarsi nel sabato del villaggio più che per partire alla conquista del mondo. E’ la situazione di “quel ramo del Lago di Como” dove puoi toccare con mano paesaggi e campanili, e dove tutto si può perdere in rive di fiumi costeggiate da case e  in cime di monti all’orizzonte. E’ lo sguardo della provincia italiana, dove è riposta quasi tutta la storia della nostra nazione fatta di confini inspiegabili persino tra borgo e borgo. In questi posti si lavora e forse si sogna la metropoli, dove vincere sembra apparentemente più facile. Ma che inganno e mistificazione può essere a volte l’esistenza. “Noi siamo l’Empoli, il Lecce, il Sassuolo, l’Udinese, e tutte quelle squadre che sanno fare molto con poco. E’ per tutte loro che noi stasera siamo qui e abbiamo vinto”, ha detto un emozionato Giampiero Gasperini subito dopo il fischio di chiusura della partita da parte di Istvan Kovacs, e come si fa a non dargli ragione? Il tecnico dell’Atalanta sta esattamente al lato opposto di Pep Guardiola, non ha filosofie da venderti, considerato come queste per sostenerle abbiano bisogno di forzieri pieni di soldi, ma solo il lavoro di campo e la costruzione pezzo dopo pezzo di giocatori che a seguire, se il miracolo si compie, diventeranno una squadra. “Siamo il calcio che sa vincere senza i debiti”, ha dichiarato con orgoglio a Lele Adani nel post partita di Dublino, ed in questa frase c’è un messaggio contenuto nella bottiglia della vittoria lanciata nel mare: un altro calcio è possibile?

Ci si può infilare tutti dentro una macchina del tempo e tornare indietro, quando i soldi certo contavano ma contavano anche le idee? I 175 milioni che gli arabi dell’Al-Hilal starebbero per versare nelle case del Milan per coprire la clausola rescissoria di Leao e portarselo tra le dune, parrebbero andare nella direzione opposta del miracolo orobico di ieri sera, un pizzicotto fastidioso a richiamare tutti alla realtà del calcio contemporaneo, dove la tesi abbracciata sono i soldi a contare sempre di più. La Fifa organizzatrice di un campionato del mondo per club, ovviamente sempre i soliti noti, non vuol dire forse una nuova cascata di soldi su club già forti rispetto agli altri e resi quindi ancora più forti? Il “voto ponderato” nella Lega di Serie A (ovvero una deroga al principio della eguaglianza dei club) chiesto da Aurelio De Laurentiis nella sua  audizione al Senato, definendo come necessaria, pena il tracollo economico del calcio, il potere decisionale maggiore per i sei club più forti della nostra Lega, va esattamente nella direzione della soverchia dichiarata di chi si sente potente e fa della tracotanza uno stile di vita. Non si vede in giro una volontà di mettere argini all’idea di far diventare il tifoso un “cliente” e di rivalutare la logica del borgo rispetto a quella della metropoli. Ma il calcio ha un dna talmente forte da aver messo in scena ieri una finale europea tra due club fino a quest’anno praticamente disattesi dalla vittoria, a dimostrazione come sia difficile uccidere una idea sportiva ancestrale sostanziata nel cuore della cultura europea. Ovviamente inutile chiudere gli occhi davanti ad un paziente calcio al momento moribondo, occorrente di una urgente cura per farlo uscire dal coma, e deve essere chiaro come da giugno, all’apertura del mercato, diversi giocatori atalantini andranno verso altri lidi, in cambio di robusti corrispettivi in denaro. E allora dalle parti di “Zingonia” si dovrà ricominciare daccapo e probabilmente anche senza Giampiero Gasperini, che voci di mercato vedono vicinissimo ad accordarsi con il Napoli.

Ma in questo momento in cui giustamente si esaltano le doti dell’allenatore piemontese, non bisogna dimenticare il grande lavoro fatto dalla famiglia Percassi in queste anni, da non confondersi con l’inizio di un nuovo “Termidoro” in stile “Rivoluzione Francese”, ma che può comunque risuonare come una speranza di un esempio da poter seguire per potersi opporre alle suggestioni in banconote degli Infantino e dei Ceferin. Ai Senatori presenti in sede di Audizione davanti ai presidenti di Calcio della Serie A, dovrebbe essere un bel monito questa affermazione europea dell’Atalanta, da opporre come valido argomento all’ingordigia malcelata dei De Laurentiis e dei Lotito, determinati nel far di tutto per convincere la politica a considerare il merito sportivo ormai un orpello desueto di un calcio novecentesco destinato a non tornare più, pressando sul porre l’attenzione sull’aspetto industriale del gioco più seguito in Italia. La cosa fa ridere di gusto (d’altronde basterebbe ascoltare tutto l’intervento del Presidente del Napoli, per capire l’assoluta selva di banalità, con punte di infantilismo inconscio, con cui sono capaci alcuni soggetti di infarcire i loro discorsi, pur di arrivare alla “ciccia” interessata. Siamo in mano a bottegai investiti di una responsabilità economico/sociale di cui non sono minimamente all’altezza e consci), specie da parte di un sistema calcio italiano capace di coprirsi di debiti di cui non si conosce la fine, con uno sport capace di generare denaro senza nessun particolare sforzo. Siamo alla presenza di club impegnati quotidianamente con la scandalosa pratica delle plusvalenze fittizie, approfittando biecamente di vuoti normativi imbarazzanti. Club continuamente prodighi a promettere da anni stadi nuovi di proprietà moderni e funzionali, e che regolarmente disattendono tale promessa. “Senatori date il potere alle sei società che portano avanti il campionato - ha detto ieri il presidente del Napoli - … queste con la maggioranza creerebbero quei presupposti di maggiore economicità della quale beneficerebbero anche le squadre minori, che però si devono fidare…  tutto il resto è fuffa”.

Di fronte a certe affermazioni ci sarebbe solo da ridere se non si stesse parlando di cose serie, perché affidare una gestione democratica di una istituzione come il calcio sulla base della fiducia conferita ai potenti, ai quali i meno potenti devono credere ad occhi chiusi e senza nessuna guarentigia, era una cosa proponibile solamente da un arcitaliano smarritosi tra il “Miles Gloriosus” di Plauto e l’Alberto Sordi di innumerevoli film. Una persona evidentemente cresciuta convinta della bontà del metodo elitario appreso tra le soffici stanze del circolo romano dell’ “Aniene”. Noi, i meno potenti, si attende ancora delle delucidazioni veramente convincenti sull’operazione di mercato che a suo tempo portò Victor Osimhen all’ombra del Vesuvio. Ma noi siamo quelli pronti ad entusiasmarci per la vittoria dell’Atalanta, quelli contenti di vedere i borghi tornare ad invadere le strade per ubriacarsi di felicità, siamo tra coloro non arrendevoli di fronte ad arabi e fondi speculativi venuti nella Vecchia Europa a pervertire un gioco inventato per la gente e non per ingrossare a dismisura la ricchezza di pochi. Ha ragione Gasperini, la gioia catturata in questo momento da Bergamo è la gioia di tutte quelle generazioni che hanno amato il calcio come momento di incontro familiare, amicale e di campanile. Un tempo era lo spirito autentico della nostra Italia. Forse non tornerà più, ma grazie alla finale di Dublino è stato bello riviverlo almeno per un attimo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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